Reviews from Rock - West: various / reportages

2021, july: Walnut Ridge, Beatles City, Arkansas

2017, april: Valentina Biasetti - Black Sugar

2014, november: Music Bin: stop, look and listen

2009, february: Roll Another Number / le vendite del 2008 negli U.S.A.

2007, december: Roll Another Number / le vendite dei dischi natalizi negli U.S.A.

2006, march: South by South West #20 (Austin - Texas)

2002, march: South by South West #16 (Austin - Texas)

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Walnut Ridge, Beatles City, Arkansas

Walnut Ridge, Arkansas
C'è una small-town in Arkansas che ha un particolare legame con il rock, ma non con Johnny Cash, Levon Helm, Louis Jordan o con altri musicisti nati nel Natural State. Questo legame, che dura da ben 57 anni, è con gli inglesi Beatles.
A Walnut Ridge, oggi poco più di 5.000 abitanti, la notte di venerdì 18 settembre 1964 atterrò un aereo proveniente da Dallas. Tre adolescenti del luogo si diressero curiosi all'aeroporto ed ebbero la sorpresa di vedere John, Paul, Ringo e George che passeggiavano sulla pista. L'atterraggio sarebbe dovuto avvenire in gran segreto ma il rombo dei motori nella notte aveva attirato i tre ragazzi. La voce si sparse, così quando la domenica mattina i 4 ripartirono (erano stati ospiti in un ranch ad Alton, Missouri) trovarono una vera e propria folla a salutarli. Alcune strette di mano, alcuni autografi e poi i Beatles decollarono per New York dove li aspettava la fine del tour.
Per i Beatles la visita a Walnut Ridge fu sicuramente un trascurabile episodio della loro vita, eppure la piccola cittadina non li ha mai dimenticati: un festival musicale, Il Beatles Park con una scultura dei 4 che attraversano sulle strisce pedonali e una camminata a forma di chitarra (denominata appunto Guitar Walk) situata nel Cavenaugh Park (di quest'ultima Angie aveva già postato una foto tempo addietro dando il via alla mia curiosità e il la a questo articolo) sono la testimonianza del loro passaggio. Gli abitanti sono consapevoli di avere solo una piccolissima parte nella storia del quartetto di Liverpool, ma con rispetto, amore e passione, hanno scelto di portarne avanti la leggenda.
Walnut Ridge, Beatles City, Arkansas.

(esclusiva www.facebook.com/groups/2796357970470900)

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Valentina Biasetti - Black Sugar

"Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso e si usano le opere d'arte per guardare la propria anima."
(George Bernard Shaw)

E' l'artista stessa a dirsi affascinata dagli specchi, che da oggetti che dovrebbero limitarsi a riflettere la realtà, si trasformano sovente in magici strumenti per raggiungere luoghi fantastici.
Laureata all'Accademia di Belle Arti di Bologna, Valentina Biasetti espone in giro per l'Italia da almeno 15 anni, a dispetto della sua giovane età.

Black Sugar è il titolo della mostra allo Spazio 5/A.
Tele di piccole, medie e grandi dimensioni si alternano sulle pareti, creando una narrazione circolare che trasporta il visitatore da un inizio, uno specchio vero, ad una fine, sempre lo specchio. Ma ognuno può crearsi il proprio inizio e la propria fine, a piacimento, dando libero spazio all'immaginazione. Anche solo spostandosi di qualche centimetro ora a destra, ora a sinistra, ora un po' più indietro, oppure avanzando di un passo in direzione dello specchio in questione potrete vedere confluire in esso molti dei dipinti esposti.

Figure (o anime?) spesso in pose anche maliziose, talvolta sì irriverenti ma sempre aggraziate, occupano gli spazi sulle tele; i colori sono importanti, ma la stessa importanza è data al bianco e nero, anche sulla stessa tela, dialogando e mai entrando in diatriba.

Le tele paiono uscire dalle scure pareti in cerca della luce artificiale che le illumina, ma in realtà sono esse stesse a diffondere la luce della primavera di cui sono ammantate (non credo sia un caso, Valentina è nata il 21 marzo). L'oscurità della sala è solo un freno, peraltro inutile, ma ti costringe piacevolmente ad avvicinarti di volta in volta ai quadri, alla continua ricerca di nuovi particolari.

In terra c'erano alcuni vestiti, con delle scarpe solo disegnate: sembrava un progetto solo abbozzato in attesa di prendere il volo e cercarsi il suo posto tra le altre opere, sulle pareti. Poi ho iniziato a pensare che forse lassù c'era prima che io arrivassi, era solamente stato il primo ad "evadere".

Dopo il primo giro "convenzionale" mi sono divertito a vagare tra i dipinti, mi sentivo come se stessi passeggiando in collina ascoltando un disco qualsiasi degli Old Crow Medicine Show o meglio ancora i country sbilenchi di American Stars'n'Bars di Neil Young.

Spesso l'idea di partenza sembra essere una fotografia, anche se usata solo come modello. Poi subentra la pittura, conseguenza logica nel percorso evolutivo di queste opere, perché la fotografia ruba la vita alla realtà, la pittura di Valentina gliela restituisce sfondando la barriera della ragione e regalandole un'anima.

"Bellezza è l'eternità che si contempla in uno specchio; e noi siamo l'eternità, e noi siamo lo specchio."
(Kahlil Gibran)

(www.picturesfromrock-west.it e facebook.com/luca.vitali.315)

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Music Bin

stop, look and listen

La musica... rock, country, blues, soul... ammesso che sia giusto (probabilmente no, anche se capisco che possa essere comodo) dividerla in categorie/generi. Diceva qualcuno anni fa che i generi sono poi solo due: la buona e la cattiva musica. Per parlarne (e per scriverne) bisogna che ci sia passione, competenza, voglia di confrontare i propri gusti con quelli degli altri. Tutto questo lo trovate nel nuovo blog http://themusicbin.wordpress.com nato da poco che, per il momento raggruppa poche recensioni, è in attesa di crescere velocemente nei prossimi mesi. Proprio come Tabata, che cura e segue con amore il blog, ma non da sola, ovviamente!

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it e facebook.com/luca.vitali.315)

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Roll another number

le vendite del 2008 negli U.S.A.

E' fuor di dubbio che la stragrande maggioranza dei dischi di cui leggiamo la recensione su rootshighway.it provenga dagli Stati Uniti. Già, ma quanto vendono questi dischi negli States? Che posizione in classifica raggiungono nomi famosi o meno?
A parte il solito Springsteen e pochi altri, dimentichiamoci cifre da capogiro: se non sei un rapper, se non sei un gruppo alla moda (vedi Coldplay), se non sei un gruppo famoso che torna dopo anni (AC/DC o Metallica, mentre Guns'n'Roses è stato un flop), se non sei strafica (le varie Leona Lewis, Rihanna, Alicia Keys), se non salti fuori da qualche film prodotto dalla Disney (Taylor Swift, Jonas Brothers) è difficile superare il milione di copie, soprattutto ora, con un mercato che si riduce anno dopo anno del 10, 15, 20%.
Ma veniamo ai nomi che possono in qualche modo interessarci, partendo da albums che sono usciti sul finire del 2007, ma che hanno protratto le vendite per gran parte del 2008.
Detto di Bruce Springsteen, che con Magic ha raggiunto il milione, non si può non parlare del ritorno degli Eagles, che di copie di Long Road Out Of Eden ne hanno vendute 3.200.000, e del "furbetto" Kid Rock, 2.600.000 copie vendute di Rock N Roll Jesus.
Dal maggio 1991, negli U.S.A., è la Nielsen Soundscan che si occupa di fornire i dati (che coprono circa il 90% del mercato) di vendita, e in base a questi dati Billboard compila la sua famosa Top 200.
Proprio gli Eagles sono stati al centro di una curiosa storia: la catena Wal-Mart aveva l'esclusiva sul disco di ritorno delle aquile, ma solitamente Wal-Mart non passa i dati alla Nielsen; si sarebbe arrivati così al paradosso di un disco che pur vendendo tantissimo non sarebbe stato in classifica, ma poi l'accordo è stato trovato.
Negli U.S.A. un disco raggiunge lo status di Disco d'Oro con 500.000 copie, di Platino con 1.000.000, ma attenzione, perché in realtà non è una cosa automatica! È la casa discografica che, pagando la Recording Industry Association of America, richiede le certificazioni, ma lo fa sulle copie spedite ai negozi, non sulle vendite effettive al pubblico.
Per tornare agli Eagles, il loro disco è certificato sette volte Platino (in quanto doppio) pur avendo venduto meno di 3.500.000 di copie. Altri dischi "più o meno country" che hanno superato i due milioni nel 2008 sono Carnival Ride di Carrie Underwood, Still Feels Good dei Rascal Flatts e The Ultimate Hits di Garth Brooks. Oltre il milione vanno segnalati 5th Gear di Brad Paisley (1.200.000), Duets di Reba MCEntire, Raising Sand della coppia Robert Plant & Alison Krauss, Let It Go di Tim McGraw, Just Who I Am: Poets & Pirates di Kenny Chesney. Oltre le 600.000 copie c'è Miranda Lambert con Crazy Ex-Girlfriend, oltre 500.000 Trace Adkins con American Man: Greatest Hits Volume II e Toby Keith con 35 Biggest Hits.
Fino a qualche anno fa, un disco entrava in sordina in classifica, saliva lentamente per arrivare al top, per poi ridiscendere; una specie di parabola insomma. Ora non è più così: la prima settimana c'è il botto, poi già la settimana successiva le vendite calano del 50-60% e in poco si esce di classifica.
Solo il leader dei Pearl Jam Eddie Vedder (con la colonna sonora del film Into The Wild ) è arrivato alle 400.000 copie "all'antica", la stessa cosa è successa ai Fleet Foxes, che hanno venduto più di 140.000 copie in 25 settimane del loro disco omonimo.
Parlavamo del botto della prima settimana.
Alcuni dei nomi a noi cari hanno esordito addirittura al primo posto, quest'anno:
Jack Johnson con Sleep Through The Static (ben 375.000 copie la prima settimana, tre settimane al primo posto, 1.500.000 in totale), Neil Diamond con Home Before Dark (145.840 la prima, 400.000 in totale) e le tre country-star George Strait con Troubadour (oltre 750.000 copie vendute nel 2008), Alan Jackson con Good Time (oltre 600.000) e Kenny Chesney con Lucky Old Sun (500.000). Sheryl Crow (con Detours) ha esordito al secondo posto, i Counting Crows (Saturday Nights & Sunday Mornings) e l'emergente Ray LaMontagne (Gossip In The Grain) al terzo.
Il buon successo del precedente live One Man Band ha permesso a James Taylor di far esordire Covers al quarto posto, posizione raggiunta anche dai Flogging Molly con Float (e questa è una sorpresa). Quinto posto la prima settimana per The Black Crowes (Warpaint) e Toby Keith (That Don't Make Me A Bad Guy), sesto per Rascal Flatts (Greatest Hits Volume 1) e Bob Dylan (The Bootleg Series Vol. 8: Tell Tale Signs: Rare And Unreleased 1989-2006). John Mellencamp con Life Death Love And Freedom ha esordito al settimo posto, mentre Jewel (Perfectly Clear) e i Mudcrutch di Tom Petty hanno raggiunto l'ottava posizione. Tim McGraw (Greatest Hits 3), Brad Paisley (Play) e addirittura Lucinda Williams (Little Honey) e My Morning Jacket (Evil Urges) sono stati al nono posto, mentre hanno provato l'ebbrezza della top ten anche Van Morrison con Keep It Simple e Tim McGraw (ancora lui!) con Greatest Hits: Limited Edition. Ottimi l'undicesimo posto di Ben Folds (Way To Normal) e Ryan Adams & The Cardinals (Cardinology), il quindicesimo di Carly Simon con This Kind Of Love e Conor Oberst, il diciassettesimo di Dolly Parton (Backwoods Barbie), il diciottesimo di Hank Williams III (Damn Right Rebel Proud) e il ventesimo delle vecchie glorie Willie Nelson / Wynton Marsalis (Two Men With The Blues) e Jackson Browne, con Time The Conqueror.
Ai nomi famosi cominciano quindi ad alternarsi le nuove leve. Qualcuno rimane in classifica poche settimane, qualcuno di più.
Certo, se le circa 5.000 copie vendute (si parla sempre di albums venduti durante la permanenza in classifica, ricordiamolo) possono essere un successo per Donavon Frankenreiter, Moe., North Mississippi All Stars, John Michael Montgomery o Jason Boland, lo stesso non si può dire di nomi come Joan Baez o Ray Davies, dal passato glorioso ma con un numero di fans in declino (al di là della qualità del prodotto offerto), oppure Shawn Mullins, Patty Loveless, Tift Merritt e Bodeans, dai quali ci si aspettava sicuramente di più; la stessa cifra hanno raggiunto live degni di nota quali Déjà Vu / Live di CSNY (altro flop), At The Roxy dei Phish, Rocking The Cradle: Egypt 1978 dei Grateful Dead, Live: From Nowhere In Particular di Joe Bonamassa.
Molti nomi, più o meno storici, si affidano proprio al "live in concert", pescando spesso nel passato: durante l'anno appena passato (o a cavallo tra 2007 e 2008) abbiamo avuto le 50.000 copie vendute da Simon & Garfunkel (Live 1969), Jackson Browne (Solo Acoustic Vol. 2) e Neil Young (Sugar Mountain - Live At Canterbury House 1968), e le 70.000 di Willie Nelson & Wynton Marsalis con Two Men With The Blues; un caso a parte è quello dei Counting Crows che hanno venduto più di 8.000 copie del loro Live From Soho, reso reperibile solo su iTunes.
Continuando, appena sopra le 5.000 copie abbiamo James McMurtry, Reckless Kelly, Kathleen Edwards e The Gaslight Anthem (il loro The '59 Sound è entrato in classifica anche in U.K.); attorno alle 10.000 copie certificate da Soundscan si sono attestati i Little Feat di Join The Band, i Calexico, Dar Williams, Alejandro Escovedo.
Se saliamo a quota (circa) 15.000 troviamo altri nomi interessanti quali John Hiatt, Tracy Chapman (sono passati esattamente 20 anni dal suo esordio, capace di vendere oltre 6 milioni di copie negli U.S.A., 2 milioni e mezzo in Inghilterra, quasi 20.000.000 nel mondo), Susan Tedeschi, Widespread Panic, George Jones (il disco di duetti Burn Your Playhouse Down), Ani DiFranco, Old 97's, Nick Cave & The Bad Seeds.
Ancora a salire, tra le 20.000 e le 25.000 copie: gli Old Crow Medicine Show di Tennessee Pusher e Eli Young Band (che con Jet Black & Jealous sono arrivati alla posizione n° 30 nella Top 200). Moment Of Forever di Willie Nelson è attorno alle 30.000 copie, un po' meglio hanno fatto Hank Williams III con Damn Right Rebel Proud, Lee Ann Womack con Call Me Crazy e i Drive-By Truckers con Brighter Than Creation's Dark (che erano saliti fino alla posizione n° 36).
A quota 40.000 ci sono Brian Wilson (That Lucky OId Sun) e Randy Newman (Harps And Angels), a 50.000 la sorpresa Conor Oberst e la conferma Los Lonely Boys.
Ben Folds e Jackson Browne hanno venduto quasi 60.000 copie dei loro Way To Normal e Time The Conqueror, sorpassate abbondantemente da Cardinology di Ryan Adams & The Cardinals. 80.000: Levon Helm con Dirt Farmer e l'esordio solista di Jakob Dylan, Seeing Things, che vede il padre Bob Dylan (con il Volume 8 delle Bootleg Series) quasi 10.000 copie più su, attorno alle 90.000 copie, con altri bei nomi: Randy Travis (Around The Bend) e Emmylou Harris (All I Intended To Be).
Lucinda Williams (con Little Honey vede accrescere sempre più la sua popolarità), Carly Simon (con This Kind Of Love, bella sorpresa!), i riformati Mudcrutch di Tom Petty e Van Morrison (con Keep It Simple) superano la linea delle 100.000 copie, meglio ancora fanno i ritrovati Black Crowes con Warpaint (110.000), Brad Paisley con Play (oltre 120.000), i Flogging Molly (oltre 125.000 copie vendute di Float), Zac Brown Band (The Foundation, 130.000 copie).
Altre due grosse sorprese sono rappresentate sicuramente da Ray LaMontagne e dai My Morning Jacket, entrambi oltre 135.000.
Niente male l'ex coguaro John Mellencamp, con 145.000 copie vendute di Life Death Love And Freedom.
Qualcuno storcerà il naso se la cito, ma Perfectly Clear è l'album più country di Jewel, e infatti ha venduto solo (si fa per dire, ma per lei è chiaramente un flop) 200.000 copie.
Da qui in avanti, ovviamente, solo nomi ultra conosciuti: John Fogerty (Revival) e Brandi Carlile (con The Story, nuova stella, probabilmente sopravvalutata, ma che ha venduto bene in Svizzera, in Portogallo è stata n° 4 e Disco d'Oro con l'album e n°1 con il singolo, in Norvegia è stata al n° 7) tutti sulle 270.000 copie, poco meno di That Don't Make Me A Bad Guy di Toby Keith, battuti dai già menzionati Counting Crows di Saturday Nights & Sunday Mornings e Covers di James Taylor che superano le 300.000.
A questo punto, detto di Sheryl Crow (che ha venduto oltre 380.000 copie di Detours) e di Faith Hill (470.000 copie di Joy To The World), si torna ai nomi già citati ad inizio articolo.
A parte il live per iTunes dei Counting Crows, non pare che internet e download interessino gli appassionati di rock, roots, country e blues; c'è invece un costante (ma attenzione, le vendite sono ancora poco più che risibili) ritorno al vinile.
Risulta così che, nel 2008, Abbey Road dei Beatles chiuda al secondo posto la classifica dei vinili più venduti (16.500, dietro ai Radiohead di In Rainbows) e addirittura i Fleet Foxes siano ottavi (9.600), mentre nella classifica finale dedicata al totale artisti, i Beatles siano terzi (20.400, dietro Radiohead e Metallica), Bob Dylan quinto (15.200) e Ryan Adams settimo (14.000).
Una parte consistente delle vendite riguarda il catalogo, ovvero i dischi usciti sul mercato da almeno 18 mesi: ad esempio, Chronicle: The 20 Greatest Hits dei Creedence Clearwater Revival e Greatest Hits di Bob Seger anche nell'anno passato hanno venduto ben 270.000 copie, e anche il Greatest Hits di Tom Petty si è comportato benissimo. E che dire di Elvis Presley? 330.000 copie di Christmas Duets (negli U.S.A. i dischi a carattere natalizio, specialmente a dicembre imperversano nelle charts) e 240.000 di Elv1s: 30 #1 Hits.
Difficilmente il 2009 vedrà invertire le tendenze delle vendite (cd giù, vinile su, ma comunque totale in ribasso), ma siamo sicuri che ci porterà ancora tanta buona musica, magari da perfetti sconosciuti tipo i Fleet Foxes, magari dai soliti noti tipo Springsteen (con il nuovo Greatest Hits, anche lui in esclusiva da Wal-Mart come Eagles e AC/DC), "solo cantare una canzone non può cambiare il mondo" (tanto per citare Neil Young), ma canticchiare una bella canzone cambia sicuramente le giornate, anche le più nere.

(www.rootshighway.it del febbraio 2009)

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Roll another number

le vendite dei dischi natalizi negli U.S.A.

Si avvicina il Natale e tutto il mercato discografico può tirare un respiro di sollievo, perchè i negozi di dischi torneranno a riempirsi di gente. Ci sarà il solito proliferare di raccolte e compilation inutili, ma tant'è, si tira avanti, e per almeno un mese ci si può quasi dimenticare che anche quest'anno le vendite sono calate del 10-15% rispetto all'anno precedente.
Già, ma qual è il disco a carattere natalizio che ha venduto di più?
Ci rifacciamo al mercato U.S.A., ed in particolare per il periodo che va dal maggio 1991 all'ottobre 2007. Sono appunto sedici anni e mezzo che i dati di vendita ufficiali negli States, sono rilevati da Nielsen-Soundscan, ed in base a questi viene stilata la famosa Top 200 di Billboard, la Bibbia delle classifiche.
Questa la Top 10, con l'anno di pubblicazione degli albums:
7.195.000 (1994) Kenny G - Miracles The Holiday Album
4.838.000 (1998) Celine Dion - These Are Special Times
4.801.000 (1994) Mariah Carey - Merry Christmas
3.683.000 (1995) Mannheim Steamroller - Christmas in the Aire
3.548.000 (1988) Mannheim Steamroller - Fresh Aire Christmas
3.391.000 (1984) Mannheim Steamroller - Christmas
3.215.000 (2001) Now That's What I Call Christmas Vol. 1
2.970.000 (1993) Harry Connick Jnr - When My Heart Finds Christmas
2.735.000 (1999) Kenny G - Faith A Holiday Album
2.649.000 (1992) Garth Brooks - Beyond the Season
Da segnalare che l'album White Christmas di Bing Crosby ha venduto (parliamo del periodo 1991-2006) 1.592.000 copie.
Diverso il discorso sulle certificazioni a disco di platino (che corrisponde a 1.000.000 di copie negli U.S.A., premio introdotto nel 1976): il top seller risulta Elvis Presley con il suo Christmas Album del 1957 (9 volte platino, 1.020.000 copie Soundscan), seguito dai già citati Kenny G (8 dischi di platino), Mannheim Streamroller (6 volte platino sia Fresh Aire che Christmas), Celine Dion, Mariah Carey (entrambe 5 volte platino) e Barbra Streisand (anche lei 5, con il suo Christmas Album del 1967, 1.466.000 copie Soundscan).
Attenzione, perché le certificazioni, corrispondono ai dischi spediti ai negozi dalle case discografiche, non ai reali dati di vendita (vedi proprio Kenny G).
Nel 2006 il disco natalizio più venduto è stato Wintersong di Sarah McLachlan, con 759.162 copie vendute: chi prenderà il suo posto?
Ma, a proposito di Soundscan, cosa succede se qualcuno non vuole fornire i dati alla Nielsen?
Succede come al nuovo album degli Eagles, Long Road Out Of Eden, negli Stati Uniti disponibile solamente nei supermercati della catena Wal-Mart, che in un primo momento non voleva appunto rendere note le informazioni sulle vendite.
Incredibilmente si sarebbe stati al paradosso che un disco destinato a diventare almeno tre volte platino non sarebbe entrato in classifica. Poi tutto si è risolto e le Aquile hanno esordito al n°1 con 710.946 copie vendute solo nella prima settimana.
Sulle varie differenze del prezzo dei cd nei vari Paesi (ad esempio, Long Road Out Of Eden è venduto da Wal-Mart a $14,99 nei negozi e 11,88 in internet, ed è doppio…, 10 euro...), sul perché un disco seppur doppio come quello degli Eagles per diventare di platino deve vendere un milione di copie e non 500.000, e su stranezze e misteri del mondo discografico, torneremo nelle prossime puntate.


(esclusiva www.picturesfromrock-west.it e parzialmente Jam #143)

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South by South West #20

2006, march (Austin - Texas)

ovvero: quattro giorni all'inseguimento di Neil Young

L'atmosfera che si respirava per le strade della capitale texana era elettrizzante, vuoi perché era la ventesima edizione del festival, vuoi perché grandi nomi erano annunciati.
Su tutti Neil Young, che dell'edizione 2006 era il keynote speaker ufficiale, e a Austin presentava il film concerto diretto da Jonathan Demme Heart Of Gold.
Il giovedì mattina, quindi, tutti in fila presto per riuscire a prendere i posti migliori, anzi, per prendere almeno un posto, per assistere alla conferenza di Mastro Neil, proprio in compagnia dell'amico regista, intervistato (intervista assai banale in realtà) su ispirazione, Crazy Horse e, ovviamente, Heart Of Gold.
Già la sera precedente, quella degli Awards alla Austin Music Hall, si vociferava di una sua apparizione a sorpresa sul palco, ma gli splendidi show di Eliza Gilkyson, Kris Kristofferson e Jesse Colter non hanno avuto la tanto attesa ciliegia sulla torta; però, con la Gilkyson c'era Ray Wylie Hubbard, e soprattutto Jon Dee Graham, che non ha esitato a chiamare sul palco per una canzone il figlioletto (8 anni!) Willie.
Giovedì pomeriggio: recatomi al Paramount Theatre per vedermi Heart Of Gold, ho avuto il piacere di calpestare lo stesso tappeto rosso sul quale sarebbero passati pochi istanti dopo Young, la moglie Pegi e Demme, intervenuti giusto giusto per augurare buona visione al pubblico in sala. Il film è girato con gusto, in Italia non arriverà mai, se non in dvd.
Uscito di corsa dal Paramount per raggiungere il mitico locale Antone's trovo la brutta sorpresa di una fila lunghissima di gente in attesa di entrare. Il motivo è semplice: Richie Furay. Dopo i successi con Buffalo Springfield, Souther-Hillman-Furay band e Poco, si era ritirato a fare il predicatore in Colorado, e questo è il ritorno ufficiale alla musica. Già nella mattinata, in un'intervista radiofonica, aveva lasciato intendere che durante un medley di canzoni dei Buffalo Springfield (Flying On The Ground Is Wrong, Do I Have To Come Right And Say It, Nowadays Clancy Can't Even Sing, tutte scritte dal canadese), sarebbe potuto arrivare Mr. Young. Ovviamente era una bufala, ma il suo set è stato molto interessante, tra brani vecchi e meno vecchi. Dopo di lui, in rapida successione, Stephen Bruton (uno dei migliori chitarristi in ambito country-blues), Uncle Earl (frizzante miscela dai gusti irish proposta da cinque scatenate ragazze), Radney Foster (come tanti suoi colleghi, dal vivo molto più rock che country), Marty Stuart (con i suoi Fabulous Superlatives, grande set rock'n'roll, appena appena venato di musica delle radici), James Mc Murtry (semplicemente il numero uno attuale ad Austin, con We Can't Make It Here canzone politica del 2005), Hank III, il nipotino di Williams.
Ma facciamo un passo indietro: come tutti gli anni, la "vera" apertura del festival è lo Swallen Circus che si tiene il martedì sera all'Hole In The Wall, locale ai margini della zona universitaria. E' un po' l'apertura non ufficiale, perché è il luogo di ritrovo dei vari musicisti e giornalisti appassionati di Americana che arrivano dall'Europa. Tra i nomi più importanti, tra i gruppi che si sono esibiti (tre pezzi a testa), citiamo Dayna Kurtz (sempre più brava), i Silos, Jon Dee Graham, Scott Kempner con Ed Pettersen. Come al solito gira un gran quantità di birra, e il tutto somiglia ad un party.
Ecco, i parties. Dal martedì al sabato ce ne sono un'infinità, basta scegliere, e avere l'invito….
Al Guitartown organizzato dall'Austin Chronicle (settimanale imperdibile su tutto quanto fa spettacolo in città) c'erano James Mc Murtry, Tom Freund, Steve Wynn (tecnica e potenza, ogni volta che lo vedo mi piace sempre più), Jon Dee Graham, Will Sexton, Stan Ridgway, Tres Chicas, Silos, Willie Nile….
All'Opal Penn Field (locale nuovo poco fuori dal centro) c'erano Jimmy La Fave e James Talley.
Al Dog & Duck si esibivano Richie Furay, Willie Nile, Steve Wynn, Peter Case….
Al Jovita's, party della Sugar Hill c'erano Garrison Starr, Scott Miller (omaggio a Neil Young con una epica versione elettrica di Motion Pictures), i Nickel Creek. Ma si potrebbe proseguire ancora a lungo.
E gli showcases nei negozi di dischi? Tre nomi per tutti: da Waterloo c'era Beth Orton, vista da Cheapo segnaliamo Carolyn Mark, ma soprattutto, da Antone's Records c'era Sal Valentino, che nei sixties era la voce dei Beau Brummels.
Torniamo ai concerti SxSW. Mentre rumors davano Neil Young praticamente ovunque (c'era in città per due date anche il suo amico Willie Nelson), noi non ci siamo lasciati sfuggire Beth Orton (veramente brava!), i Plimsouls, Billy Bragg (uno degli show più belli), Monte Warden, Richard Hawley (ex chitarrista di Beth Orton), la serata al Parish del venerdì che vedeva in rapida successione Tom Russell, Rodney Crowell e Lyle Lovett, per arrivare al sabato con uno scatenato Garland Jeffreys e al gran finale (udite, udite) alla Central Presbiteryan Church, per una Hootenanny che prevedeva Joe Henry, Billy Bragg, Jolie Holland, Marty Stuart, e il mitico Ramblin' Jack Elliott, un po' malfermo sulle gambe, vista la venerabile età, ma ancora capace di stenderti con la sua voce e con le sue canzoni. La Hootenanny, vista da posizione privilegiata, è stata la splendida conclusione di cinque massacranti giorni (e notti) fatti di tanti concerti, tanta birra, tanti amici vecchi e nuovi, ma anche poco sonno… molto poco sonno…

(da www.blackdiamondbay.it e da www.highwayofdiamonds.135.it)

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South by South West #16

2002, march (Austin - Texas)

Per il secondo anno di fila ho partecipato "per lavoro" al festival musicale più famoso del mondo: il South By South West. Mi attraeva particolarmente l'idea di poter fotografare Robbie Robertson, i Flatlanders, Jon Dee Graham e, perché no, anche Courtney Love, Norah Jones e Kelly Willis.
Stavolta me la sono presa comoda arrivando negli States due settimane prima dell'inizio della manifestazione, toccando via via città che non avevo mai visto come Boston, Hartford e Harrisburg, oppure rivisitando Buffalo e Nashville, il tutto con la mia "Chevy" a noleggio, per miglia e miglia (alla fine saranno 4.000). Ma quel che più conta è che già prima di arrivare in Texas son riuscito a vedere CSNY, Voices On The Verge, Say Zuzu, Natalie Merchant, Ralph Stanley, Victor Mecyssne, così che al mio arrivo Austin, la Mecca della musica dal vivo, le mie orecchie erano già state deliziate da tante ore di ottima musica.
All'arrivo ad Austin la prima cosa da fare è incontrare gli amici, tutta gente che ha frequentato queste pagine, da Dirk Hamilton a Sarah Pierce, da quel pazzo di un chitarrista flamenco che risponde al nome di Teye, a quella enciclopedia vivente sulla storia del rock (perché ha contribuito a farla, la storia) che è Merel Bregante, dal fisarmonicista Ponty Bone a … Mauro Eufrosini.
In attesa dell'inizio ufficiale del SXSW ci sono "antipasti"come Lisa Tingle, oppure i grandi Slobberbone, una delle migliori giovani band che mischiano radici e rock (hanno da poco riedito Crow Pot Pie dove già si notava di che pasta sono fatti, prima dell'esplosione con lo stupendo Everything I Tought Was Right Was Wrong Today). Tutti gli anni la serata all'Hole in The Wall, fumoso locale su Guadalupe a due passi da Tower Records, catalizza le attenzioni pre-festival. Il tutto è organizzato da Walter Salas-Humara, leader dei Silos, visti di recente in Italia. Una decina di gruppi, tre canzoni a testa, e già un nome che bisogna segnarsi, perché Tom Freund (è appena uscito un disco intitolato Simpatico) è un personaggio coi fiocchi; si alterna tra chitarra e contrabbasso e delizia il pubblico (quasi tutti addetti ai lavori, cantanti, giornalisti, gestori di locali anche europei) con le sue canzoni. Di rilievo anche le esibizioni degli stessi Silos, di Michael Hall con i suoi Woodpeckers e di Tommy Womack.
Dappertutto si respira musica, dappertutto si vive in mezzo alla musica; non solo festival, ma in tutti i locali impazza la musica dal vivo: non solo country o rock o blues, ma pop, reggae, jazz, hip-hop, tutti i generi più disparati sono rappresentati. Basta armarsi di quell'ottimo settimanale che è il Chronicle per farsi un programma, ricordandosi che anche nei negozi di dischi ci sono palchi più o meno improvvisati, e che anche all'aeroporto suonano dei bei nomi. Purtroppo diventa impossibile vedere tutti quelli che vorresti e ci sono stati tagli dolorosi come Nathan Hamilton, Johnny Lang, Monte Montgomery, Jimmy LaFave e Lyle Lovett.
Le mattine servono per saccheggiare i negozi di dischi ma già nel primo pomeriggio iniziano i concerti: set brevi, di quaranta minuti, in 48 diverse venues, dalla grande Austin Music Hall, al famoso Antone's, dal tempio dell'honky tonk Broken Spoke, al più raccolto Hideout.
Mercoledì 13: Lyle Lovett è l'ospite a sorpresa degli Awards per un tributo allo scomparso Champ Hood, e nella stessa serata mi perdo anche gli Asleep At The Wheel, ma sinceramente non me la sono sentita di guardarmi tutta la cerimonia delle varie premiazioni che hanno poi visto protagonisti Bob Schneider e Toni Price. Ho optato per un paio di nomi che alla fine son risultati tra le cose più belle viste quest'anno: Ruthie Foster al Pecan's e Malford Milligan da Steamboat. Entrambi di colore, la Foster ha due album all'attivo: buone canzoni di stampo folk blues, chitarra acustica più le percussioni dell'amica-manager Cyd Cassone; ma la differenza la fa la voce, bella, potente, capace di raggiungere tonalità altissime. E un'altra grandissima voce è quella di Malford Milligan, nero albino, già negli Storyville: blues, gospel, soul, jazz, ben supportato da un'ottima band.
Il finale della serata è da Antone's con Lee Roy Parnell, country e rock a gran velocità; il locale era gremito, ormai Lee Roy è una star da quelle parti.
Si finisce sempre oltre le 2 di notte, dopodiché, nonostante la stanchezza si va a cercare un posto dove mangiare. Ma non è facile perché in questo periodo oltre alle persone interessate al festival, ci sono in giro migliaia di studenti (tra l'altro Austin è città universitaria) che approfittano della pausa primaverile delle lezioni per tirare tardi la sera. E va a finire che anche a alle 3 e alle 4 di notte c'è da far la fila per entrare nei ristoranti!
Volendo si potrebbe dormire fin verso mezzogiorno, ma con tutti questi negozi di dischi da visitare…..
Il mattino del 14 c'è l'attesa conferenza di Robbie Robertson che in modo del tutto ironico racconta i suoi inizi di carriera. Seguiranno la conferenza solo per la stampa e un altro incontro dedicato alla riedizione di The Last Waltz. Non ha cantato, d'accordo, ma l'emozione di trovarsi a pochi passi da questo personaggio è stata enorme.
Poco più tardi, sempre alla Convention Center, ho assistito ai due bei set acustici di Jon Dee Graham e Kevin Salem. Via di corsa al party della New West, una delle etichette più importanti, ed è stato particolarmente toccante vedere sul palco Vic Chesnutt, lui, la sua chitarra e la sua malattia. Lo aveva preceduto Stephen Bruton, che continuo a ritenere un ottimo session man ma niente più. Tra i presenti anche Billy Joe Shaver, Chuck Prophet e Kinky Friedman.
E' il momento di un altro party, quello della piccola Loud House. I party servono per abbuffarsi gratis, questo è vero, ma intanto non mi sono sfuggiti R.C. Banks e Ponty Bone. Tanto cupo e serioso il primo quanto festoso e solare il secondo.
Di nuovo da Antone's per i Gourds che l'anno precedente non mi avevano entusiasmato, ma devo ricredermi. Scappo all'Hideout per un duo australiano tutto al femminile: Dirty Lucy. Ammetto che non le conoscevo e che ero attirato e incuriosito dal nome, e del resto sono qui anche alla ricerca di nomi nuovi. Beh, una bellissima sorpresa! Nicole Brophy (voce e chitarra) e Jody Moore (voce, mandolino e violino) propongono folk-rock di prim'ordine e prova ne è il fatto che il composto pubblico che solitamente frequenta il locale alla fine è esploso in un'ovazione che ha travolto la piccola mora Nicole e l'alta, magrissima, bionda Jody, costringendole ad un bis che in questa manifestazione è poco usuale, per il fatto che ci sono dei tempi da rispettare.
Il fatto che quasi tutti i locali partecipanti al SXSW siano in downtown permette nel giro di pochi minuti a piedi di trasferirsi da un posto all'altro. Sono al Buffalo Billiards: è la volta di Mary Lorson & Saint Low. Forse qualcuno l'ha notata in Italia quando apriva per i Willard Grant Conspiracy. Qui presenta il disco nuovo (Tricks For Dawn), il primo a suo nome, dopo una lunga carriera con i Madder Rose e un album a nome Saint Low. La grande sala è stracolma perchè dopo Mary c'è Ron Sexmith e l'attesa è grande: si presenta sul palco con la sua chitarra e la sua faccia da eterno bambino e nel giro di pochi minuti il pubblico è tutto suo. Non è finita qui perché sto per assistere ad un'altra delle grandi sorprese di quest'edizione del festival, ancora una volta targata Australia. Il gruppo si chiama Fruit ed è composto da tre ragazze che si alternano al canto (una suona vari strumenti a fiato, una la chitarra acustica, una l'elettrica), una bassista ed un batterista. Un misto di rock, pop, soul e chi più ne ha più ne metta, cantato con belle voci e suonato con tanta grinta. Non essendo arrivata per problemi di aereo Ana Egge che doveva esibirsi dopo di loro e chiudere la serata del Pecan's, hanno avuto la possibilità di allungare il loro set e di fare un concerto vero e proprio di un'ora e mezza, una vera delizia per le poche decine di persone rimaste lì anche a quell'ora (ormai era da tempo venerdì).
Già, venerdì. Le cose interessanti del pomeriggio sono state le esibizioni alla Convention Center di Darin Murphy (fratello della più conosciuta Trish) con il suo Beatles-sound, John Butler Trio (ancora Australia!), Caitlin Cary (che continua ad avere quell'umiltà che Ryan Adams, suo ex compagno nell'avventura Whiskeytown, ha perso da tempo) e Shana Morrison (sì, la figlia di Van) veramente bravina, con quella sua voce che ricorda un po' la Morissette.
La serata inizia nella bolgia di Stubb's, un altro dei locali storici. E' il turno di Robert Bradley's Blackwater Surprise. Questo nero (ceco) ha alle sue spalle un gruppo coi fiocchi, tutti musicisti straordinari che passano dal blues al rock duro con una semplicità incredibile. Ma è lui a calamitare le attenzioni delle migliaia di giovani e meno giovani che si son dati appuntamento in questo enorme cortile. Poi, ci si butta all'interno della Music Hall per ascoltare gli Starsailor e Neil Finn, entrambi troppo pop per piacermi fino in fondo, e stessa cosa dicasi di Josh Rouse, visto al Gingerman. Da segnalare nell'ottima band di Finn la presenza di Lisa Germano al violino, alla chitarra, al piano e al canto e di Wendy, anni fa alla corte di Prince.
E' sabato e, diciamo la verità, questa edizione, è un po' in tono minore rispetto alle ultime. Non solo per i nomi delle band, ma basta fare un giro al Trade Center per rendersene conto: meno espositori, meno gadgets, meno di tutto. Che si spieghi così la presenza di Courtney Love? L'hanno chiamata per risollevare questo festival un po' fiacco? Un po' di pubblicità non guasta mai. Anche lei come Robertson non canta, ma alla sua intervista il salone è strapieno di fotografi e giornalisti. Arriva in ritardo, si siede scoprendo leggermente le gambe, fa un po' di smorfie, si accende con mosse studiate una sigaretta, mostra di disinteressarsi dell'intervistatore, insomma fa la star. E forse la vera star quest'anno è stata davvero lei. Non può esserlo, non ancora almeno, la giovane Norah Jones, nonostante le numerose copertine delle riviste di settore. Lei è brava, anche se la voce deve maturare parecchio, solo questione di tempo. E non possono essere le star del SXSW 2002 nemmeno i Flatlanders con la loro reunion. Non so a chi possano interessare al di fuori del Texas, a parte me e a parte i lettori di Late For The Sky…..
Il sabato è anche il giorno del party della Bloodhouse allo Yard Dog: Waco Brothers, Silos e Chuck Prophet. E alla sera, prima di rinchiudermi nel forno che diventerà il Mercury per le esibizioni di Jon Dee Graham con la sua band e dei Flatlanders, passo ancora dalla Music Hall per vedere Chip Taylor (un grande!), Bruce Robison (che noia!) e Kelly Willis (che bella!). Chip Taylor, capelli bianchissimi, è sempre un piacere vederlo. Su Robison mi astengo, mentre la Willis l'avevo già vista quattro anni fa aprire per Jerry Jeff Walker e mi sembra notevolmente cresciuta. E poi, ritengo What I Deserve uno dei più bei dischi del movimento Americana.
Per chiudere in bellezza il festival quindi mi affido al grande Jon Dee (che sembra sempre appena uscito da un film su Al Capone) che propone quasi per intero il nuovo bellissimo album intitolato Hooray For The Moon. Ma l'avete sentita la sua versione di Volver? Joe Ely, Jimmie Dale Gilmore e Butch Hancock: vederli assieme sullo stesso palco è da brividi! Riusciremo a vederli dalle nostre parti? Raccontano che proprio quello stesso pomeriggio hanno finito di registrare il disco, Butch è sorridente e rilassato, gli altri due forse sentono un po' di più la serata, ma tutto gira a mille, tra canzoni vecchie e nuove.
Sono in ritardo e devo correre un po' con la macchina per riuscire a vedere Teye Y Viva El Flamenco al Clay Pit, una delle poche venues al di fuori del centro. Scopro che in realtà il Clay Pit è un ristorante indiano, ma al piano di sopra sento le note della chitarra di Teye (viene spesso in Italia, andate a vederlo) che m'invogliano a salire di corsa le scale. Lo zingaro-olandese suona come Dio comanda, Elena e Belen ballano e fanno ballare, e Mohammad, strano personaggio a metà strada tra uno sciamano e un poeta, recita e canta con il suo stentato inglese. Flamenco, virtuosismi e allegria.
Il festival è finito, ma non la musica, non a Austin.
Innanzitutto alla domenica mattina c'è la fiera del disco al Palmer Auditorium, come mancare?
E al pomeriggio rivedo Tom Freund da Cheapo Records. Le impressioni della prima volta vengono confermate: Tom è veramente bravo!
Uno dei locali più famosi è il Continental. All'esterno ci sono spesso parcheggiate macchine anni '50, all'interno ci sono sempre interessanti spettacoli: stasera in cartellone Chuck Prophet e Alejandro Escovedo. Alla fine della sua gig Escovedo chiama sul palco Prophet e i due, ben coadiuvati da un'ottima band, danno vita ad un quarto d'ora di punk rock violentissimo che richiama più i True Believers che non i Green On Red.
Un altro bel locale è sicuramente La Zona Rosa, che raggiungo dopo aver fatto un po' di foto a Sarah Pierce ai Cribworks Studio. La Pierce è una cantautrice veramente brava e se avete ascoltato Birdman ve ne sarete resi conto; sarà in Europa in autunno, con date anche in Italia.
Questo lunedì sera al La Zona Rosa è previsto un concerto acustico a quattro con Kacy Crowley (una delle cantautrici più promettenti qui nella capitale del Texas), Trish Murphy, Ginger Leigh e Sarah Dashew (le ultime due sono le leader della band Vera Takes The Cake, ex Ginger & Sarah). Sedute una di fianco all'altra, un pezzo a turno, per poi finire con il saccheggiare insieme il repertorio di John Mellencamp (vedi Jack & Diane e Pink House) e riproporre il vecchio classico dei Chicago If You Leave Me Now.
Conosco da tempo Trish, tre bei dischi all'attivo, specialmente il primo Crooked Mile, interessante Kacy, sono rimasto piacevolmente colpito dalla scatenata Ginger (che avrebbe voluto continuare a suonare per ore) e dalla bella Sarah. Tra l'altro le due parlano un italiano decisamente migliore del mio inglese.
Il martedì sera decido di passarlo lontano dal solito festoso caos della 6th Street, la via più famosa, sicuramente la più frequentata, avendo parecchi club concentrati lì; il Saxon Pub mi offre Stephanie Urbina con il suo country fortemente intriso di sonorità messicane.
Al mercoledì mi rendo conto che mi rimane una sola sera e il programma del Saxon è ancora quello più allettante: apre Kacy Crowley (stavolta con la band), proseguono in duo Darin e Trish Murphy e si conclude con Carolyne Wonderland, un'eccellente blues woman.
Il giovedì mattina è prevista la partenza per Dallas, dove mi aspetta l'aereo che mi riporta in Italia, ma prima c'è da rispettare l'impegno precedentemente preso con Vera Takes The Cake al completo (con la sezione ritmica tutta italiana) che hanno un'intervista alla KLBJ Radio: è l'occasione per conoscere un po' meglio Sarah, Ginger, Max e Carles, per dar loro l'appuntamento all'estate e al loro tour italiano, e per strappare ad Austin ancora un po' di buona musica.
Per finire, ribadisco che quest'anno sono rimasto leggermente deluso dalla manifestazione, e sorpreso da tanti piccoli segnali preoccupanti che denotano una certa crisi e che non si possono spiegare solo come "effetto 11 settembre".
Ma dove trovate un'altra città che già all'aeroporto vi accoglie con un concerto? La gente è cordiale, si sente la vicinanza con il Messico, la carne è buonissima, per non parlare della birra. Se volete ballare con la musica country il Broken Spoke è il locale che fa per voi, e poco importa che non lo sappiate fare, ci sarà sempre una bella ragazza pronta ad insegnarvi; se avete altri gusti musicali non c'è nessun problema perché i locali si contano a decine.
Avete voglia di fare un salto negli Stati Uniti e dedicare almeno una settimana alla musica? Austin, la capitale mondiale della musica dal vivo, è la città che fa per voi!

(da Late For The Sky #59)

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