Reviews from Rock - West: albums (T - Z)

The Texas Sapphires - valley so steep (2006)

Willard Grant Conspiracy - let it roll (2006)

Neil Young with Crazy Horse - Colorado (2019)

Neil Young + Promise Of The Real - the visitor (2017)

Neil Young - sugar mountain / live at Canterbury House 1968 (2008)

Neil Young - live at Massey Hall (2007)

Neil Young & Crazy Horse - live at the Fillmore East 1970 (2006)

Neil Young - living with war (2006)

Neil Young - prairie wind (2005)

Neil Young, friends and relatives - road rock vol. 1 (2000)

various artists - farm aid / vol. 1 / live (2000)

WOX - anxiety (2018)

home reviewshomepage



THE TEXAS SAPPHIRES


VALLEY SO STEEP
(LOWE FARM RECORDS) 2006

Che la musica country non sia più quella di una volta è un fatto ormai accertato. A Nashville ci si sposta sempre più verso il pop e si cerca con insistenza l'effimero successo di una canzone o di un volto nuovo che salvi la poltrona dei manager di case discografiche con l'acqua alla gola.
Ad Austin - Texas si resiste ancora. La passione di chi compone, suona, canta la musica va di pari passo con il rispetto per chi ascolta, e con il rispetto per sé stessi.
I Texas Sapphires (Best New Band del 2005 per l'Austin Chronicles e al SxSW 2006) si presentano sul mercato discografico con dodici canzoni che ci offrono una panoramica completa della tradizione musicale bianca (nessuna traccia blues) di quel paese.
Bluegrass, hillbilly, old-time music, ma suonati con l'attitudine che aveva Gram Parsons: il suo spirito aleggia qua e là sulle composizioni, e non a caso l'unica cover del disco è la sua Las Vegas.
Gli altri brani sono tutti a firma Billy Brent Malkus, magari in compagnia dell'amico Arty Hill o della cantante Rebecca Lucille Cannon.
Malkus (vocalist, chitarre, dobro e piano), un passato tra Maryland, punk, droghe e alcool, è co-autore di Tension Head, sull'album Rated R dei Queens Of The Stone Age.
Arriva dal punk anche la Cannon (un tour con Joan Jett), una voce a metà tra Loretta Lynn e Chrissy Hynde.
Le corde di banjo e mandolino sono pizzicate da Paul Schroeder, dobro e steel le suona il Cowboy Junkies Kim Deschamp; Jeff Joiner al basso e Ram Zimmerman alla batteria formano la base ritmica.
A completare la squadra intervengono il violino di Warren Hood, la batteria di Craig Bagby e il dobro, la pedal steel e l'esperienza di Lloyd Maines, che di Valley So Steep, insieme a Malkus è il produttore.
Apre la splendida ballata The Emerald Outlaw (piacerebbe allo "zio" Willie), in Driftin' In la parte solista è affidata a Rebecca Cannon. La scatenata Ladyfest, Tx riporta alla mente la coppia Parsons - Harris. La dolce Bring Out The Bible (We Ain't Got A Prayer) precede Break This Fool dove è ancora la Cannon a cantare la parte solista, con Loretta Lynn e Patsy Cline nel cuore. Le "sporche" Dirty Me, Dirty Me (I'm Disgusted With Myself) e Dirty Tattered House Shoes ci fanno arrivare veloci alla ballata Deep Gap Blue. Cold Silver Ring e Down Hard sono altri due splendidi esempi di cosa si possa ascoltare alla radio durante una corsa in macchina sulla I-35; Barstow Barstool viene dritta dritta da uno di quei locali dove i cowboys fanno la corte alle cameriere dopo una dura settimana di lavoro. Per fare un paragone, Valley So Steep ricorda Tornados And Trailers dei Deadnecks, un altro gioiello che pochi possiedono. A chiudere questi tre quarti d'ora di pura country-music texana ci pensa la già citata Las Vegas. E Grevious Angel, da lassù, approva incondizionatamente.

(da www.rootshighway.it del 26 marzo 2007)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

WILLARD GRANT CONSPIRACY


LET IT ROLL
(GLITTERHOUSE RECORDS - VENUS) 2006

Band da sempre aperta ai cambi di formazione, da un paio d'anni pare aver trovato una fisionomia più definita; attorno al perno centrale Robert Fisher gira ora come un ingranaggio perfetto un manipolo di amici in grado di assistere il leader sia nelle ballate, sia nelle canzoni dove il volume si alza.
Lo straordinario chitarrista Jason Victor e il bassista Eric Van Loo arrivano in prestito dai Miracle 3 di Steve Wynn (che è coautore del brano Flyng Low e compare assieme alla compagna Linda Pitmon ai cori), la batteria è nelle mani di Tom King, alle tastiere troviamo la fedele Yuko Murata, Josh Hilmann si occupa del violino. E la coesione è una delle armi vincenti di questo album, il resto lo fanno le canzoni: speranza, disperazione, ombre, luci confortanti, atmosfere desertiche, questo il cocktail che ci propone Fisher nei nove pezzi originali
La splendida From A Distant Shore precede la title track, vero capolavoro del disco, con i suoi dieci minuti di crescendo elettrico. Intense la ballata Mary Of The Angels, Dance With Me e Skeleton.
Tra gli ospiti annotiamo la presenza anche del polistrumentista David Michael Curry, della dolce Mary Lorson e Chris Eckman dei Walkabouts, ma la lista (non è una band molto aperta?) non si esaurisce qui.
L'unica cover è la Ballad Of a Thin Man di dylaniana memoria, lunga, cupa, coinvolgente.
Registrato tra la Slovenia e l'Olanda, questo sesto lavoro dei Willard Grant Conspiracy, si pone al vertice della loro produzione.

(da www.highwayofdiamonds.135.it)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

NEIL YOUNG WITH CRAZY HORSE

COLORADO
(REPRISE) 2019

Dobbiamo essere grati a quest'uomo, che pur avvicinandosi alla soglia dei tre quarti di secolo,
continua a regalarci ogni anno due/tre dischi di ottima fattura, sia nel caso di raccolte di canzoni nuove, sia nel caso di reperti del passato, più o meno recente.
Certo, non bisogna chiedergli del progetto antologico Archives Vol. 2; o meglio, chiedere si può, lui risponde anche dando date di uscita, poi puntualmente pospone.
A dispetto delle vendite calanti, la sua fama non va certo scemando. Anzi, mai come in questi ultimi anni aumentano le cover che altri artisti fanno delle sue canzoni, anche quelle più oscure e meno famose.
E poi, diciamolo, Rockin' In The Free World è da trent'anni nel repertorio di tutte le garage-band, di quelle che fanno uso di chitarre (le altre non ci interessano), e anche in quello di molti colleghi affermati, dai Pearl Jam ai Bon Jovi e ai Krokus, da Lucinda Williams a Suzi Quatro.

Colorado è l'ultima uscita discografica di Neil Young (perché è di lui che stiamo parlando).
Per l'occasione ha riunito i Crazy Horse, a distanza di sette anni dall'ultima volta.
Non solo, ma con questo lavoro Neil Young with Crazy Horse festeggiano i 50 anni di carriera: non male, per un manipolo di musicisti sempre considerati assai "poco bravi".
A Neil Young non verrà mai assegnato il Nobel per la letteratura, ma i testi di Colorado trasudano onestà, passione e amore, sbattendoti in faccia la verità in modo crudo e schietto, mentre si parla di
sentimenti, di ecologia e di politica.

Apre il tutto Think Of Me, che sembra uscire da Silver & Gold o Prairie Wind, ma l'attitudine
sgangherata dello stile dei Crazy Horse si fa subito notare; She Showed Me Love è una lunga
cavalcata elettrica dominata dal titolo ripetuto più volte come fosse un mantra ossessivo; Help Me Lose My Mind (con un coro fantastico) e Shut It Down formano la parte più rock, mentre ballate
come Olden Days (sui bei tempi andati), Green Is Blue, Eternity (che poggia su un piano da saloon
e sulla batteria) e I Do entrano di diritto a far parte delle cose musicalmente più dolci e belle
dell'intera carriera di Young; Milky Way (peccato sfumarla così dopo 5:59) e Rainbow Of Colors
crescono ascolto dopo ascolto.

Siamo lontani dal capolavoro, ma c'è dell'ottima musica qui dentro.

Le vere noti dolenti riguardano la confezione. Colorado esce nella versione compact disc con 10
brani; nella versione in vinile è doppio, ma una facciata è vuota, anche se viene aggiunto un singolo
con due pezzi (la versione acustica dal vivo di Raimbow Of Colors e Truth Kills, questa in studio
con i Crazy Horse), non disponibili sul Cd e non disponibili per il download (se non dal sito di
Young): che senso ha tutto ciò?
Inoltre nello striminzito booklet non sono inclusi i testi. A cosa serve ripetere per dieci volte i
credits praticamente uguali delle canzoni? Dal supporto "fisico" si pretende qualcosa in più, che
giustifichi anche la spesa maggiore rispetto al download o allo streaming.

Ovviamente ci sarà chi farà i paragoni con i Promise Of The Real, che hanno accompagnato in
tempi recenti Young in svariati tour, tre dischi e un film con relativa colonna sonora, oppure con l'ultimo capitolo Crazy Horse, Psychedelic Pill, considerato dai fans uno dei suoi album migliori del nuovo millennio, oppure ancora con il catalogo younghiano dei '70.
Il chitarrista Frank Sampedro, dal 1975 a fianco di Young nei Crazy Horse e in altri progetti
musicali, fa il pensionato alle Hawaii; quindi al suo posto è tornato Nils Lofgren, già in studio più volte con il canadese (ormai prossimo cittadino americano), anche se l'ultima addirittura nel 1982
(però era nella band che accompagnava Neil nell'Unplugged del 1993). Resiste, fin dal 1969, la sezione ritmica formata da Billy Talbot e Ralph Molina. Insieme al primo chitarrista Danny Whitten, scomparso nel 1972, sono persone che hanno fatto la storia del rock, creando un suono che è diventato un marchio: direi che questo chiude la questione Promise Of The Real.
La differenza che mi sento di trovare con Psychedelic Pill è che, mentre là si sono costruite le canzoni (o almeno una parte di esse) intorno al sound Crazy Horse, qui Young ha portato allo Studio In The Clouds (Telluride, Colorado, ben oltre i 2700 metri di altitudine) i suoi pezzi già presentati in
concerto, per poi farli diventare brani del Cavallo Pazzo, con l'aiuto del co-produttore John Hanlon e con il ricordo dell'amico manager Elliot Roberts (a lui è dedicato Colorado) nella mente e nel cuore.
È vero, la creatività non potrà (no, ovvio che non può) essere quella di quaranta o cinquanta anni fa,
ma mai si potrà imputare a Neil Young di fare dischi senza sentimento e senza sincerità.
Ha senso, quindi, rivangare ogni volta Everybody Knows This Is Nowhere o Zuma o Rust Never Sleeps?
A
mio parere no.

Ascoltiamoci con calma Colorado, più e più volte, e lasciamolo fluire e crescere dentro di noi,
magari mentre ci facciamo "una corsa su una vecchia macchina, lungo la costa, sotto le stelle"
Click clack clickety-clack whooo
Click clack clickety-clack whooo
Click clack clickety-clack whooo
Click clack clickety-clack whooo

(da www.discoclubparma.it e www.rockinfreeworld.com)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

NEIL YOUNG + PROMISE OF THE REAL

THE VISITOR
(REPRISE) 2017

The Visitor è un album che ascolteranno in pochi e che ancora meno compreranno.
Ed è un peccato, anche se sono conscio che il tempo per ascoltare a fondo i dischi viene sempre più a mancare, in questo mondo frenetico, e che Young rilascia i suoi lavori ad un ritmo impressionante per chiunque, tranne che per il suo amico Willie Nelson, il quale non si fa (e non ci fa) mancare almeno un paio di uscite all'anno.
Rimane la speranza che venga rivalutato nel tempo, come avvenuto nel corso della sua lunghissima carriera per la trilogia Time Fades Away / On The Beach / Tonight's The Night, oppure, seppur in modo minore, per Trans, o ancora, in tempi più recenti, per Le Noise, passato inosservato o quasi (tranne nei paesi nordici e nel natìo Canada, dove natìo si intende sia per Young che per il produttore Daniel Lanois) nel 2010 per poi assurgere a livello quasi di capolavoro ai giorni nostri.
Secondo album consecutivo, dopo Peace Trail, ad essere inciso negli studi Shangri-La, di proprietà di Rick Rubin, The Visitor è il terzo a nome Neil Young + Promise Of The Real (The Monsanto Years e il semi-live Earth sono i precedenti).
Risulta evidente che i ragazzi (i figli di Willie Nelson Lukas e Micah, con la sezione ritmica composta da Corey McCormick, Anthony LoGerfo e Tato Melgar) in studio sono migliorati, ma non raggiungono la qualità di un Jim Keltner o di un Paul Bushnell, per rimanere a Peace Trail, o di uno Spooner Oldham, di un Nils Lofgren e chi più ne ha più ne metta, tutta gente che con Young ha lavorato e ha dato sicuramente risultati migliori; comunque risulta altresì evidente che ci mettono anima e cuore e The Visitor è un bel disco, un grande disco, coinvolgente e stordente per ritmi, suoni, voci, colori e sapori. Vocalmente tutto l'album è a livelli altissimi.
Neil Young, ben lungi dall'essere "l'anziano davanti al cantiere" che sembra in copertina, anche se lì è raffigurata un'automobile, sviscera i temi dell'Amore, della Natura, della politica (volutamente minuscolo, come minuscoli sono i suoi interpreti) con forza, convinzione e rabbia, senza dimenticare la dolcezza, seppur a volte rude, di cui è capace.
Ma davvero quest'uomo ha sempre meno gente che lo apprezza perché canta di queste cose? Mi piace, quest'uomo! Davvero la gente non compra i suoi dischi perché nelle sue canzoni si scaglia contro i potenti, facendo spesso nomi e cognomi? Adoro quest'uomo!!!
Already Great ne è il perfetto esempio: un pezzo rock che poi rallenta nel ritornello, riprende vigore quando entra il coro degli American Citizens, prima di lasciare spazio ad un assolo che prende per mano la canzone e la accompagna alla fine mentre tutti cantano "Quali strade? Le nostre strade!". E' vero, "siamo già grandi", non c'è bisogno di persone che solo per il proprio interesse e il proprio ego ci dicano cosa dobbiamo fare, e soprattutto non vogliamo "né muri, né odio, né fascismo". Bello il lavoro del pianoforte di Micah.
Fly By Night Deal musicalmente, come arrangiamenti, riporta con la mente a certe cose di American Dream (sfortunato album del 1989 a nome CSNY): effetto Niko Bolas? Può essere, però per fortuna qui il suono è caldo e il parlato quasi rap di Young ci mostra ancora una volta l'apprezzamento del canadese verso questo genere musicale, mentre la canzone si risolve in una distorta armonica.
Almost Always, inutile negarlo, sembra una out-take di Harvest Moon; se vogliamo essere cattivi possiamo dire che è un (auto) plagio. Ma va presa per quel che è: una bellissima ballata. Ci sono fans che vorrebbero solo dischi con canzoni così, inutile negare anche questo.
Stand Tall richiama in parte le atmosfere di Fly By Night Deal, ma qui entrano in gioco prepotentemente LoGerfo e Melgar e il rock si fa più selvaggio. Se parole come "stand tall for Earth, long may our planet live, together we can win" possono sembrare veramente troppo semplici o semplicistiche, ricordatevi che se vivete per poi raggiungere il paradiso da morti… beh, guardatevi intorno, il paradiso potremmo averlo già qui, adesso, se solo lo volessimo.
Change Of Heart inizia fischiettando, una ballata con un ritmo vagamente caraibico che, se cantata da un Paolo Nutini (tanto per fare un nome), sarebbe un successo a livello mondiale; sì, una canzoncina, che però non ti levi più dalla testa, in più cantata con tono caldo e quasi confidenziale da un Neil in splendida forma.
Carnival è la canzone che non ti aspetti. Ritmi provenienti da Sud del border messicano, gritos, una ragazza "con lo zucchero negli occhi", anche qui un rallentamento nel ritornello, per poi tornare veloci a "volare attraverso l'aria…nel più grande show sulla Terra". Capolavoro.
Diggin' A Hole è un bluesaccio sporco, una sorta di canto da chain-gang con accompagnamento elettrico. L'ennesimo cambio di direzione di un lavoro variegato.
Children Of Destiny la conoscevamo già perché uscita come video (con 1.000.000 di visualizzazioni in poco tempo) all'inizio dell'estate. Una specie di inno ("stand up for what you believe, resist the powers that be") con coro ed orchestra, accolto in modo controverso da critica e pubblico. Effettivamente si posiziona bene all'interno del disco, mentre presa da sola faceva storcere il naso.
When Bad Got Good, breve, si fa comunque apprezzare. È un altro blues, più in stile Tonight's The Night, anche se la cartella stampa della Reprise lo presentava come modern funk-rock.
Forever è l'altro capolavoro di The Visitor. Lunghissima ballata, folkeggiante, cantata con la voce sempre sul punto di spezzarsi. Quando entrano i sussurri dei Promise Of The Real ti viene da pensare che sì, "la Terra è come una chiesa senza il predicatore", ma a volte può bastare una canzone e il paradiso ti sembra più vicino.
Inutile paragonare The Visitor ai grandi dischi di Young del passato. Nessun disco di nessun artista di oggi può rivaleggiare con After The Gold Rush, Zuma o Rust Never Sleeps.
Ma questi dischi Neil Young li ha già fatti, erano gli anni '70. Come si fa ad amare un artista per chiedergli di rifare sempre le stesse cose?
E' l'unico della sua generazione ad affrontare certi temi, rischiando tutto in termini di popolarità. Eppure Il Visitatore va avanti, con una buona dosa di testardaggine, con coraggio e coerenza, "really want to make a difference".


(da www.discoclubparma.it)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

NEIL YOUNG

SUGAR MOUNTAIN / LIVE AT CANTERBURY HOUSE 1968
(REPRISE) 2008

Dopo che tra 2006 e 2007 avevamo avuto ben sei uscite (compreso il dvd Heart Of Gold), nel 2008 di Neil Young si erano discograficamente perse le tracce: numerosi date sia in Europa che Stati Uniti e Canada certo, poi le solite voci sugli Archivi, gli annunci di dischi live (uno del 1969, uno del 1992), e poi ancora il dimenticato Toast del 2000 registrato con i Crazy Horse, ma niente di concreto, fino all'uscita di questo Sugar Mountain / live at Canterbury House 1968.
Terzo volume (in realtà è il 00, ma sulle stranezze younghiane si possono scrivere diversi libri) delle Performance Series (il n° 3, Massey Hall 1971, è stato #1 in Canada e #6 negli U.S.A.), Sugar Mountain ci offre il meglio di due spettacoli organizzati quasi per caso all'ultimo momento ad Ann Arbor, Michigan, nel novembre '68.
L'avventura con i Buffalo Springfield era finita malamente e il canadese si trovava timoroso a testare un pugno di canzoni inedite registrate in California nelle settimane precedenti. Il primo disco solista sarebbe uscito da lì a poco e ne fanno parte The Loner, If I Could Have Her Tonight, I've Been Waiting For You, The Old Laughing Lady e la visionaria Last Trip To Tulsa.
Dal repertorio Springfield Young si porta dietro Broken Arrow, On The Way Home, Expecting To Fly, Out Of My Mind e due canzoni arrivate in classifica (seppur come retro di singoli) come Mr. Soul e Nowadays Clancy Can't Even Sing.
Niente male come song-book, per un ventitreenne! In più c'è un accenno a Winterlong, c'è Birds che apparirà nel capolavoro After The Gold Rush e c'è ovviamente Sugar Mountain, che rimarrà inedita su album fino al 1977 (era sul triplo Decade), ma come retro di Heart Of Gold (1972) arriverà al n° 1 in classifica!
Un documento storico prezioso, suono brillante, Sugar Mountain ci presenta il Neil Young più intimista, emozionante nella sua freschezza; tra un pezzo e l'altro racconta diversi aneddoti, anche divertenti, quasi ad esorcizzare "la paura" di trovarsi per le prime volte da solo davanti ad un pubblico importante. E pensare che negli anni, "la metà" acustica di Young diventerà sicuramente quella più apprezzata, a dispetto di quella "elettrica"…
Nel dvd allegato c'è un bel trailer degli Archivi, che nel 2009 potrebbero far sborsare un bel mucchio di euro ai fans più accaniti, poi si riparla di Toast, e poi ci sono le dieci (!!!) nuove canzoni che parlano di viaggi in auto, ecologia, energia alternativa e del fatto che "non si può cambiare il mondo solo cantando una canzone", presentate nelle ultime date del Fall Tour 2008… presagio di disco nuovo?


(da www.rootshighway.it del gennaio 2009)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

NEIL YOUNG

LIVE AT MASSEY HALL 1971
(REPRISE) 2007

Entro la fine dell'anno uscirà il primo volume dei tanto sospirati Archivi: 8 cd, un libro di 150 pagine, due dvd con tante immagini inedite, con piccole anticipazioni proprio nel dvd allegato a questo Live at Massey Hall 1971.
Il terzo volume delle Performance Series ci presenta il Neil Young che torna a casa a Toronto, in Canada, dopo i successi avuti sì con Buffalo Springfield e con tre dischi solisti, ma soprattutto con Crosby, Stills e Nash.
Ora è una star affermata e il pubblico della Massey Hall è ben più numeroso di quello che frequentava il Riverboat una sera di un paio d'anni prima, per quel concerto che dovrebbe costituire il primo volume di questa collezione ma che ancora latita.
Accantonati momentaneamente i Crazy Horse (spettacolare il Live at the Fillmore East 1970, Performance Series Vol. 2), Young intraprende un tour in solitaria tra States e Canada che lo porterà poi anche in Europa per un paio di shows londinesi.
Diciassette i brani in scaletta, ben nove all'epoca inediti, quattro addirittura ancora adesso, almeno nella versione in studio (Journey Through The Past e Love in Mind sono su Time Fades Away, il live del 1973; Bad Fog Of Loneliness è rintracciabile su Red Rocks, dvd del tour 2000; Dance Dance Dance è inedita assoluta). L'inizio è affidato a On The Way Home (poteva essere diversamente?), brano epoca Springfield; Tell Me Why era la canzone d'apertura di After The Gold Rush, e dallo stesso disco arriva Don't Let It Bring You Down. Old Man è la prima delle canzoni che poi verrà incisa (un mese dopo) per il pluripremiato Harvest (dodici milioni di copie nel mondo, e continua a vendere). Helpless non ha bisogno di presentazioni, ancora adesso è una delle sue canzoni più famose e persino Patti Smith ne fa una cover nel suo disco di prossima uscita.
A Man Needs A Maid e Heart Of Gold (anch'esse poi su Harvest), sono eseguite in un'unica lunga suite al pianoforte, mentre Cowgirl In The Sand e più avanti Down By The River perdono l'aggressività che hanno quando vengono suonate con i Crazy Horse, ma si tratta sempre di canzoni straordinarie. Le cupe There's A World e The Needle And The Damage Done chiudono il lotto dei pezzi che appariranno su Harvest. La drammatica Ohio è uno dei pochi veri hit in scaletta, subito dopo è la volta di See The Sky About To Rain che dovrà aspettare quattro anni per vedere la luce su On The Beach. La perfetta chiusura è un'altra song che arriva dal periodo con i Buffalo Springfield: I Am A Child, come a dire "son partito giovanissimo e ora sono famoso, ma qui mi sento a casa, e posso tornare bambino".


(da www.rootshighway.it del 23 marzo 2007)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

NEIL YOUNG & CRAZY HORSE

LIVE AT THE FILLMORE EAST - MARCH 6 & 7, 1970
(REPRISE) 2006

La scritta che campeggia in alto a sinistra sulla copertina del cd è quella che da anni volevamo leggere: Neil Young Archives.
Ben lungi dall'essere la messe di inediti che dovrebbero sbucare prima o poi dal Broken Arrow ranch, è comunque un primo passo; per non smentirsi però, invece di diradare il fumo che da tempo avvolge tutta l'operazione Archivi, il canadese aumenta la confusione e pubblica direttamente il Volume 2 delle Performances Series, con la riproposizione del set elettrico degli shows al Fillmore East di New York del marzo '70.
Probabilmente questa decisione deve intendersi come un omaggio a Danny Whitten, Billy Talbot e Ralph Molina, ovvero i Crazy Horse (con in più Jack Nitsche al piano), i musicisti che insieme a lui hanno creato un suono che anche ai giorni nostri vanta numerosi imitatori anche tra le band più giovani. Il primo e il terzo volume dovrebbero (condizionale d'obbligo) contenere due esibizioni acustiche a Toronto: quella al Riverbend del febbraio '69 e quella alla Massey Hall (19 gennaio '71) che, prevista per l'uscita già due anni fa, finì nel dimenticatoio.
Solo sei pezzi in scaletta, ma con finalmente una registrazione live ufficiale di Down By The River, uno dei capolavori del song-book younghiano: un vero delitto che si sia dovuto aspettare il settimo disco dal vivo di Young per averla tra le mani. Everybody Knows This Is Nowhere dava il titolo al primo disco con il marchio Neil Young & Crazy Horse, targato 1969: suono potente come ci si aspetta e brillante missaggio di John Nowland (a proposito, tutto il lavoro era pronto già da una decina d'anni! L'edizione in dvd audio, contenente anche una bella galleria fotografica dell'evento, è veramente superba).
Winterlong, all'epoca inedita, finirà in Decade, tripla raccolta del '77, disco precursore degli Archivi. Introducendo Wonderin' (altra inedita del periodo, confluirà in Everybody's Rockin' tredici anni dopo) il canadese dice: "questa farà parte del prossimo album, quando lo registreremo…". Quel disco, anche per via dei problemi che Whitten iniziava ad avere con le droghe, non fu mai completato, ma dopo pochi giorni uscì Déjà Vu di C.S.N. & Y. e dopo alcuni mesi toccò a After The Gold Rush (in cui comunque i Crazy Horse rivestono enorme importanza), il suo miglior disco di sempre. Proprio i problemi del biondo chitarrista (che morì alla fine del '72) allontanarono Young dai Crazy Horse, e solo cinque anni più tardi con l'ingresso di Frank Sampedro in formazione ci fu la rinascita del Cavallo Pazzo. Come On Baby Let's Go Downtown è scritta e cantata proprio dal talentuoso (è sua la stupenda I Don't Wanna Talk About It) Whitten: già incisa dai Crazy Horse per il loro omonimo disco d'esordio, verrà ripescata per Tonight's The Night. Cowgirl In The Sand è un infuocato quarto d'ora tutto duelli tra le chitarre degli stessi Young e Whitten. Il missaggio di questa canzone (a cura di Peter K. Siegel) risale proprio al '70. Wonderin', Down By The River e Everybody Knows This Is Nowhere componevano la facciata elettrica (oltre alle tre acustiche) di un doppio live del '71 mai pubblicato.
Chi lamenta la mancanza di Cinnamon Girl e altri pezzi eseguiti nei quattro set di quei 6 e 7 marzo, sappia che la casa discografica perse le registrazioni multitraccia: quello che si è salvato è qui, dopo trentasei anni, in tutto il suo splendore, compresa la voce di James Taylor che accompagna in sottofondo il vociante pubblico che lascia il Fillmore East e si tuffa nella notte newyorkese.

(da www.rootshighway.it dell'8 dicembre 2006)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

NEIL YOUNG


LIVING WITH WAR
(REPRISE - WEA) 2006

Pochi mesi fa Neil Young ha pubblicato Paririe Wind, il disco dove "riportando tutto a casa", parlava dei ricordi, del natio Canada, della famiglia. Quel disco si concludeva con When God Made Me, canzone pacifista (la sua Imagine) con tanto di coro gospel; ora, dopo aver fatto i conti con se stesso, finalmente sereno, il canadese riparte proprio da dove l'album precedente finiva, con rinnovata forza e rabbia, e ci regala un disco corrosivo, sia nei testi sia nelle musiche, tutto elettrico, con il solo aiuto di Rick Rosas al basso, Chad Cromwell alla batteria, Tom Bray alla tromba, e un coro di ben cento persone a supportarlo nel canto e nel dare ancora più forza a ciò che il canadese sente l'urgenza di dire.
Il suono ricorda la "gloria stracciona" di tanti anni fa e nelle intenzioni sfiora in violenza quello che aveva con i Crazy Horse durante il tour della prima guerra del golfo. E se lì era Bush padre nel mirino della sua Gibson (che, forse non "uccide i fascisti", ma comunque "spara canzoni che fanno male"), qui è George W. a subire gli attacchi di Young, che si unisce idealmente ai vari Steve Earle, James Mc Murtry, Greenday, Dixie Chicks, Pearl Jam.
Lasciati ancora a riposo i Crazy Horse, ritenuti forse poco adatti per l'incisività che Neil vuol dare ai nuovi pezzi, le canzoni suonano comunque in perfetto stile Young, ma con l'uso della tromba e dei cori a portare una ventata di novità. Metal-folk-protest songs: così Young ha definito queste canzoni.
After The Garden apre il disco: le persone sono alla ricerca del Paradiso, quando l'unico che abbiamo è qui sulla Terra e lo stiamo distruggendo, anche con la guerra che è costantemente al nostro fianco, ogni giorno, come in Living With War.
Al terzo pezzo arriva il botto e il disco cresce: nessuno al mondo sente il bisogno di avere al governo politici capaci solo di menzogne e The Restless Consumer arriva dritta al cuore della questione.
Shock And Awe, con la sua tromba che sembra riecheggiare sui campi di battaglia, è metal-Morricone-protest song.
Families ci racconta dei cadaveri dei soldati che tornano alle loro case avvolti nei sacchi, le tristemente note body-bags.
Flags Of Freedom potrebbe diventare uno dei cavalli di battaglia dell'ormai prossimo Freedom Of Speech Tour a nome Crosby, Stills, Nash, Young. Molto dylaniana, ricorda Chimes Of Freedom. Cromwell e Rosas non sbagliano un colpo e ci ricordano che erano la base ritmica di un album dove la parola Libertà aveva una grande importanza, Freedom appunto, che includeva Rockin' In The Free World, vero inno rock degli anni '90.
La tromba all'inizio di Let's Impeach The President è Bush che vuole stendere il silenzio sulle bugie raccontate agli americani, ma è il coro a zittire lui e a ricordargli che ha abusato dei suoi poteri. È l'atto di accusa nei confronti del presidente americano, e subito dopo, con Lookin' For a Leader ci si augura che si possa cambiare, forse con una donna, oppure con un uomo di colore (ma perché non si parla mai di native american?), comunque con una persona onesta, che non può certo essere quella che c'è adesso.
Roger And Out è la più crazyhorseiana nell'andamento lento, come tante ballate elettriche younghiane del passato.
America The Beautiful, il classico di Katharine Lee Bates scritto a cavallo tra '800 e '900, cantata a cappella dai cento coristi, chiude il disco. Un disco che gran parte delle radio americane boicotteranno, ma che sta facendo e continuerà a far discutere; un disco che non manca però di appeal commerciale e che almeno in Europa potrebbe incontrare i favori di chi vuole muovere a tempo il piede e farsi una qualche corsa in macchina.
Ma, quando si vive in stato di guerra, non può essere solo rock'n'roll.

(da www.blackdiamondbay.it)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

NEIL YOUNG

PRAIRIE WIND (REPRISE) 2005

Non date retta a chi vi presenta Prairie Wind come l'ennesimo rifacimento di Harvest: ogni volta che Neil Young vira verso il country o giù di lì, scattano i paragoni con l'illustre predecessore; ma l'unica cosa che li lega è il fatto che entrambi sono usciti sul mercato dopo periodi parecchio tribolati: se nel lontano 1971 era stata la schiena a dar problemi al canadese, ora è stata la volta di un ben più pericoloso aneurisma cerebrale, che è andata a sommarsi alla dolorosa perdita dell'anziano padre.
Tuttavia, nelle composizioni recenti, traspare una calma, una serenità e una saggezza che solo ora, a sessant'anni, questo vecchio leone sembra aver trovato.
Musicalmente il disco (registrato a Nashville) si presenta molto vario, pur restando in ambito acustico, e composizioni tranquille si alternano ad altre più mosse, qua e là innervate da fiati, archi e cori gospel. La base ritmica è fornita da Rick Rosas, Chad Cromwell e Karl T. Rimmel, e sono della partita, fra gli altri, anche i vecchi amici "Spooner" Oldham all'organo e Ben Keith alla steel (che del disco è anche co-produttore)
I testi sono improntati alla riscoperta delle cose del passato, dei ricordi, e del natìo Canada; lo si può definire un concept album, anche se non in senso stretto come fu per Greendale. Ogni canzone è Neil Young al 100%.
Si inizia con The Painter, dedicata alla figlia, ottima ballata acustica che dell'album è anche il singolo. E già qui il vecchio bisonte dell'Ontario lascia il segno, con la frase "se tu segui ogni sogno, potresti perderti". Le armonie vocali riportano alla stagione d'oro di CSNY.
No Wonder è il picco del disco: ci sono alcuni accenni a canzoni del passato (questa è una costante di Prairie Wind), ma il crescendo emozionale raggiunge alte vette, in special modo all'ingresso del violino: un grande brano. Canzone importante, con riferimenti all'11 settembre. Ottimi i cori in puro stile West Coast.
In Falling Off The Face Of The Earth, Young passa con la voce da toni bassissimi a toni altissimi, sempre rimanendo in tono confidenziale, ed è una sorta di ringraziamento ai fans per essergli stati vicini nei momenti difficili.
Si prosegue con Far From Home, bel country rock con gli inserti fiatistici di Wayne Jackson dei Memphis Horns.
It's A Dream è, come dice la canzone, un sogno. Neil al piano, e poco alla volta entrano gli archi e vorresti che la magìa non finisse mai.
Prairie Wind (la canzone) avrebbe probabilmente giovato di un minutaggio più breve, ma ascoltata in macchina durante una tempesta di neve o in una notte nebbiosa, trova la sua giusta collocazione, e il ritmo ossessivo imposto dai fiati e dai cori ("il vento della prateria soffia attraverso la mia testa…") ipnotizza e trasporta in un'altra dimensione. Ai cori anche la moglie Pegi.
Here For You è, in questa raccolta di nuove canzoni, quella dalla struttura melodica più esile, mentre nella successiva This Old Guitar, Young, insieme a Emmylou Harris, ci presenta la sua chitarra (una delle sue chitarre…) appartenuta a Hank Williams.
Sull'onda dei ricordi è anche il rock sporcato dai fiati di He Was The King, dedicata con devozione a Presley (chi si ricorda "il Re se ne è andato, ma non è stato dimenticato"…?).
Con When God Made Me ci viene regalata una toccante Imagine Part 2, a dimostrare che a venticinque anni dalla morte di Lennon le cose non sono cambiate. Sostenuto dal coro gospel Jubilee Singers della Fisk University, mette da parte la serenità che ha contraddistinto le canzoni precedenti e tira fuori la rabbia dell'uomo che si accorge che il mondo va a rotoli, fagocitato dall'ipocrisia e dalle menzogne dei potenti, laici o religiosi che siano.
Nell'edizione contenente anche il DVD, possiamo vedere all'opera tutti i musicisti coinvolti nelle sessions, mentre nei primi mesi del 2006 verrà edito Heart Of Gold, film concerto girato al celebre Ryman Auditorium da Jonathan Demme.
Per concludere: un ottimo disco, un'occasione per far rifiatare il Cavallo Pazzo, e l'ultima (pare… speriamo…) tappa d'avvicinamento ai tanto sospirati Archivi.

(da www.blackdiamondbay.it e www.rockinfreeworld.135.it)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

NEIL YOUNG, FRIENDS AND RELATIVES


ROAD ROCK VOL. 1 (REPRISE) 2000

Il vecchio bisonte chiude il millennio con l'ennesimo disco dal vivo, il sesto della carriera solista, dopo la raccolta di inediti nel '73 (Time Fades Away), i tre con i Crazy Horse (Live Rust del '79, Weld del '91, Year of the Horse del '97) e l'Unplugged del '93 (me ne vengono in mente almeno tre abortiti all'ultimo: '71, '76 e Dublino '95 con i Pearl Jam gruppo spalla); ora arriva Road Rock, quarto live in dieci anni. Niente a che vedere con le atmosfere fin troppo rilassate del per altro bellissimo Silver & Gold, anzi. L'inizio è violentissimo con una lunghissima Cowgirl in the Sand di 18 minuti infuocati, tanto che già dopo il primo assolo vi viene voglia di uscire a comprare una Gibson! Walk On ricorda la disperazione dei tempi difficili con droga e alcool. L'inedita Fool for Your Love esce da un baule del suo periodo blu(es). La band è a dir poco formidabile: Ben Keith alla steel, Spooner Oldham al piano, "Duck" Dunn al basso, Jim Keltner alla batteria, la moglie Pegi e la sorella Astrid ai cori. Qualche istante di tranquillità con Peace of Mind, poi uno degli highlights dell'intero tour: la lunga Words, per la felicità dei fans di vecchia data. In Motorcycle Mama spazio alle coriste, mentre l'immancabile Tonight's the Night (Neil al piano) fa da apripista all'incandescente finale di All Along the Watchtower, con Chrissie Hynde dei Pretenders (opening-act di alcune date) on stage ad accompagnare il canadese. La song di Bob Dylan è l'occasione per liberare nuovamente le chitarre, e per l'ascoltatore per fare un ulteriore balzo sulla poltrona preferita (ma siete riusciti a stare seduti?). Caro Neil, facciamo un patto: noi non pensiamo agli archivi, tu a David, Stephen e Graham; ma regalaci ancora dischi come questo, ne abbiamo bisogno anche nel prossimo millennio.
Voto: 8,5
Perché: un inedito, classici, un pezzo di Dylan, il tutto suonato come Dio comanda. Si può chiedere di più ad un disco?

(da Jam #66)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

VARIOUS ARTISTS

FARM AID / VOL.1 / LIVE (REDLINE ENTERTAINMENT) 2000

Quindicesimo anniversario: il Farm Aid ci regala un disco doppio dal vivo. Ci regala si fa per dire, visto che il prezzo in Italia è altissimo (negli States costa 25 dollari…). Le edizioni del benefit non sono tutte rappresentate, (e poi manca Dylan…), ma è solo il primo volume e comunque è irrinunciabile: vediamo il perché. Apre il disco John Mellencamp (uno dei fondatori, con Willie Nelson e Neil Young): grande versione di Rain On The Scarecrow, bissata da Paper In Fire (entrambe dal '90). Tre sono i pezzi degli Highwaymen: Nelson canta il classico City Of New Orleans, Waylon Jennings la sua (grande) I've Always Been Crazy, mentre Kris Kristofferson ci offre un'intensa Best Of All Possible Worlds (tutte dal '92). Willie Nelson torna dapprima per Sitting In Limbo ('97), poi ci regala uno dei punti più alti del disco: Peach Pickin' Time Down In Georgia in duetto con Beck ('97)! Tre canzoni anche per Neil Young: Homegrown ('94) con i Crazy Horse, Mother Heart ('95) con Mickey Raphael e l'inedita Last Of His Kind ('99) scritta anni fa appositamente per la manifestazione, ma che solo ora vede la luce in veste definitiva. C'è spazio per il blues femminile con Bonnie Raitt (Love Letter, dal '90) e Susan Tedeschi (It Hurt So Bad, '99), per le stelle country Trisha Yearwood (Wrong Side Of Memphis, dal '99), Martina McBride (Safe In The Arms Of Love, '96), Dwight Yoakam (Guitars, Cadillacs, dal '90), Deana Carter (We Danced Anyway, '96) e Marty Stuart ( Now That's Country, '93), per stelle in decadenza come Neville Brothers (Yellow Moon, '94) e Brian Adams (Run To You, '93), dinosauri come i Beach Boys (God Only Knows, '96), mostri sacri come Steve Earle (Copperhead road, '99), Johnny Cash (la sempre stupenda Folsom Prison Blues, '93) e i Los Lobos (One Time One Night, '86), per finire con le nuove star Keb' Mo' (Just Like You, '99) e Dave Matthews Band (l'hit Crash Into Me, '97).
Voto:8
Perchè: è una piccola stupenda enciclopedia di musica americana di fine millennio.

(da Jam #65)

 homepage

albums T - Z

 home reviews

WOX

ANXIETY (AUTOPRODOTTO) 2018

Hard-rock meets metal. Connubio perfetto. Basterebbe solo questo, per definire ANXIETY, ma vale invece la pena, eccome, di raccontare qualcosa in più.

Elisa Concas è una cantante dalla voce potente e graffiante, eppure sensuale come poche; Marta Vix e Martina Zavaroni si alternano alle roventi parti di chitarra, ora con ferocia ora con sensibilità, perfettamente complementari; Alice Sesenna al basso e Martina Barzaghi alla batteria compongono una sezione ritmica spettacolare per forza e dinamicità; l'apporto di Susanna Brioschi, tastiere, è indispensabile per il tocco di classicità: dopotutto Led Zeppelin, Deep Purple, Iron Butterfly, avevano (grandi) tastieristi.

Ecco, abbiamo citato alcuni dei punti di riferimento di ANXIETY, ai quali bisogna forzatamente aggiungere Black Sabbath, Guns'n'Roses, Black Label Society, e mille altri ancora, ma senza dimenticare (e come si potrebbe?) gli Iron Maiden.

Le WOX, da quasi una decina di anni a questa parte, hanno macinato chilometri su chilometri, on-stage in locali impossibili, in scalcagnate feste con i palchi sudici di birra, in motoraduni dove l'importante è tirare l'alba. Va da sé che fisiologicamente cambi di formazione ci sono stati. Eppure, man mano che aumentava a dismisura il fan base, aumentava anche la coesione raggiunta dall'attuale line-up, ormai stabile da parecchio tempo. La stesura e il graduale inserimento di pezzi autografi nelle scalette dei live hanno portato alla decisione di entrare in sala di registrazione (all'AudioCore Studio), e mai scelta è stata più azzeccata. Era semplicemente quello che doveva accadere, semplicemente al momento giusto.

Creeping Vengeance, Illusion e Shadows, il trittico iniziale, stordisce per le esplosioni melodiche, veri e propri pugni rock allo stomaco. When The Sun Goes Down è la ballata (seppur sempre molto tesa) che tutte le band vorrebbero avere in repertorio. Lost In A Maze e Through The Wall ti sputano in faccia un esaltante, sfacciato, straccione rock'n'roll.

Perché alla fine è di questo che si tratta, chiamatelo come volete, ma è rock'n'roll. Musica ed emozioni.
Amori finiti, il buio della notte, ombre (magari a volte le ombre inquietanti della foresta in copertina), labirinti dai quali sembra impossibile uscire. Ma sullo sfondo sembrano sempre esserci delle luci: magari a volte quelle dei lampioni lungo la strada da percorrere, o quelle che illuminano un concerto, oppure ancora quelle che ti fanno vedere nell'animo della persona che ti sta di fronte.

L'ultimo pezzo in scaletta è Flight Of Icarus degli Iron Maiden. È sì un omaggio ad una delle band più amate, ma credo anche che sia il modo con cui queste ragazze vogliono dire "hey, da lì siamo partite, ma avete visto cosa sappiamo fare?": le ali delle WOX sono robuste. ANXIETY è un esordio che suona fresco e contagioso; talvolta spigoloso nella sua furia, eppure arriva dritto al cuore. E se quello era il bersaglio, è stato centrato.

Pare scontato dirlo, ma è un consiglio che viene spontaneo: play it fuckin' loud!!!

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

 homepage

albums T - Z

 home reviews