Reviews from Rock - West: albums (M - S)

Mandolin' Brothers - for real (2000)

Manodopera - op-là (2006)

Jono Manson - silver moon (2020)

Guido Marzorati & The Blugos - journey of hope (2006)

Marvin - americana (2019)

Maria McKee - peddlin' dreams (2005)

James McMurtry - childish things (2005)

Kelley McRae - never be (2006)

Mé Pék e Barba - pùtost la bev tòta me (2005)

Miami & The Groovers - merry go round (2008)

Jon Nolan - when the summers lasted long (2005)

Tom Petty - highway companion (2006)

Sarah Pierce - cowboy's daughter (2008)

Gastone Pietrucci / La Macina - aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto (vol. 2) (2006)

Gastone Pietrucci / La Macina - aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto (vol. 1) (2002)

Fabrizio Poggi & Chicken Mambo - mercy (2008)

Fabrizio Poggi & Chicken Mambo - songs for Angelina (2001)

Fabrizio Poggi / Francesco Garolfi - the breath of soul (2006)

Fabrizio Poggi e Turututela - la storia si canta (2006)

Grace Potter & the Nocturnals - nothing but the water (2006)

PuntinEspansione - ... una dialettica particolare (2006)

Davide Ravera - Dr. Dave & Mr. Haze (2008)

Rein - occidente (2008)

Graziano Romani - between trains (2008)

Graziano Romani - Confessions Boulevard (2006)

Eileen Rose & The Holy Wreck - live at Longview (2008)

Calvin Russell - dawg eat dawg (2009)

Calvin Russell - unrepentant (2007)

Simona Salis - chistionada de mei (2006)

Elisa Sandrini - ... come un tic-tac (2018)

Satantango - downhill (2002)

Colin Scot - Colin Scot (2006)

Luca Serio Bertolini - manca la polvere da sparo (2006)

Emmanuelle Sigal - table rase (2017)

Spanish Johnny - Jokerjohnny.II (2007)

Spanish Johnny - Jokerjohnny.I (2006)

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MANDOLIN' BROTHERS

FOR REAL
(STUDIOTTANTA - FORTUNA RECORDS) 2000


"Ci abbiamo messo 18 anni per fare questo disco!"
Blues, country, folk e rock mischiati in modo sapiente e con il cuore da Jimmy Ragazzon e pards. Ragazzon si occupa del canto, suona l'armonica, scrive testi semplici ed incisivi, mentre le parti musicali sono divise tra il tastierista-fisarmonicista Stefano Cattaneo, il chitarrista-mandolinista Bruno De Faveri e il chitarrista Paolino Canevari, che ha recentemente festeggiato i 25 anni di attività live. Completano la band Riccardo Fortin al basso e Daniele Negro, batteria.
Un'ottima roots'n'roll band.
In sessions troviamo anche Maurizio "Gnola", "French" Scala, Fabio Nicola e le coriste Manuela Salvadeo e Isabella Del Boccio.
Le canzoni? Su tutte This Time For Real, splendida ballata col pensiero rivolto al Messico, New York Blues, ispirata da un poema di Ginsberg, Wind in My Sails, che piacerebbe molto al Boss, a Tom Petty e a Elliott Murphy, l'altra ottima ballata Can't You See; ma il livello di tutte le composizioni è decisamente medio-alto. C'è una cover: Willin'. L'originale rimane inarrivabile, ma i Mandolin' Bros., allungando la parte strumentale centrale, ne propongono un'eccellente versione.
VOTO: 7
PERCHE': da queste 13 tracce trasudano la passione e la felicità di questi sei "ragazzi" nel portare finalmente a compimento il loro sogno.

(da www.blackdiamondbay.it)

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MANODOPERA


OP-LA'
(UPR FOLKROCK) 2006

Secondo album per i veneti Manodopera, e siamo già vicini al capolavoro!
Quattordici pezzi, tutti giocati sul ritmo della musica popolare, che sia un tango, che sia musica balcanica, che si vada in America Latina, oppure in Giamaica: tanta energia, tanto divertimento, non c'è spazio per la noia.
La strada resta quella tracciata con Terratradita, sempre edito da UPR Folkrock.
I Manodopera sono Gianluca Nuti (cantante chitarrista, mandolinista, autore di musiche e testi), Mauro Gatto (batteria, percussioni, camorra, cori), Fabio Mion (fisarmonica, pianoforte, hammond, tastiere), Tiziano "Mr. Top" Melchiori (percussioni, congas, cori), Stefano Andreatta (basso elettrico e contrabbasso), Mario Vendramini (sax), Mario "Zivas" Cavacece (tromba, filicorno) e Paolo Berton (trombone); non mancano un'infinità di ospiti-amici a dare colore e calore alle composizioni.
Le primissime note di L'Eremita ("sa vivere alla grande perché ha tutto anche se non ha niente") sembrano uscire da un western di Sergio Leone, ma è un attimo e subito si parte su ritmi ska. La fisarmonica è la protagonista di La Chambre, poi arriva Il Circo.
Anita è swing e mambo, piacerebbe a Capossela, mentre forse Conte preferirebbe La Mosca D'O Bar. La Tammuriata Delle Stagioni ("nel suono della natura c'è tutta la forza dei tuoi ideali") ricorda Volta La Carta (Faber è sicuramente tra le fonti d'ispirazione del gruppo); ancora ska per Fudbalerska, mischiato con sonorità balcaniche. Africa ("respiro d'Africa, d'ambra e d'argento, etnico è il ritmo di questo andare lento") non ha bisogno di spiegazioni, così come il breve strumentale Kingston Prosit. E se La Statua ("da vivo non ti conviene farti una statua, non porta bene") è speziata di Messico, El Gæo ci riporta tra i Balcani. Sogno Blu ha i fiati in evidenza, Agua Natural e Manodopera - Ska Version ci trasportano ai Carabi.
E proprio nel testo di quest'ultima canzone c'è la filosofia del gruppo: "la musica popolare che va senza frontiere senza farsi dominare, unisce come il mare, illumina come il sole, porta alla gente vitalità e calore".

(da www.bielle.org del 5 agosto 2006)

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JONO MANSON


SILVER MOON
(APPALOOSA RECORDS) 2020

La Villa Real de la Santa Fe de San Francisco de Asìs è una meravigliosa, splendida città, posta ad oltre duemila metri sul livello del mare. Santa Fe, così è nota ai giorni nostri, è una strana capitale, la più antica capitale statale degli Stati Uniti, non dotata di aeroporto internazionale e ferrovia. Questo la rende appetibile, più ancora che dai comunque numerosi turisti, da chi ha un animo errante e vuole fuggire dal caos e dalle luci delle capitali della musica che si possono trovare sulle due coste degli U.S.A., ma anche all'interno, vedi Nashville o Austin; ed è diventata casa per scrittori, scultori, fotografi, pittori, attori… Se poi questo qualcuno ha la fortuna di trovarvi l'amore e anche l'ambiente ideale dove poter svolgere al meglio il proprio lavoro, ecco che la sua passione e la sua bravura vengono veicolate magicamente verso un album, Silver Moon, che è il suo capolavoro.

Jono Manson è l'autore di tutte le tredici canzoni del disco, da solo o in compagnia, e del medesimo è anche il produttore. Il suo studio di registrazione, The Kitchen Sink, sta rapidamente acquistando notorietà, e non è raro che da quelle parti passino, chi per incidere, chi magari anche per una chiacchierata, personaggi del calibro di Terry Allen e Tom Russell. Arrivano anche premi e riconoscimenti, vedi Land Baby di Lara Manzanares votato quale Best Album ai New Mexico Music Award.

Dai Kitchen Sink, Jono Manson parte per le sue scorribande musicali che lo portano dai locali di Santa Fe a quelli sparsi per gli States. Fino all'amata Italia: non è un caso che Silver Moon esca per Appaloosa Records (come al solito in una bellissima confezione con libretto che riporta i testi sia in inglese che in italiano), così come non è un caso che fioriscano decine di collaborazioni, come è successo con i Gang, con i Mandolin' Brothers, e per non parlare dell'esaltante risultato raggiunto con l'esperienza Barnetti Bros insieme ad Andrea Parodi, Massimo Bubola e Massimiliano Larocca.

Silver Moon è l'album della maturità musicale. Di strada ne ha fatta, Jono, dai tempi di Joey Miserabile & The Worms, passando attraverso la partecipazione a The Postman di Kevin Kostner, ammucchiando dischi e progetti uno sull'altro, suonando centinaia di concerti, fino all'impegno come presidente della Santa Fe Music Alliance, per arrivare ai giorni nostri. Qui dentro, in Silver Moon, sono raccolte tredici storie che affrontano con serenità e sensibilità temi quali vita, speranza e spiritualità, anche morte ("ma noi siamo ancora qui!!!", ci tiene sempre a precisare Jono) dando modo all'ascoltatore di compiere un percorso musicale tra ballads, rock, blues, soul e americana sulle note della collaborazione. Sono molti, infatti, gli amici in sala di registrazione, da Warren Haynes ad Elyza Gilkyson, da "Roscoe" Ambel a Joan Osborne, dallo stesso Terry Allen a James Maddock, la lista è lunga ma non si può non citare Jason Crosby strepitoso in tutto il disco a piano ed organo.

"Se da ben svegli viviamo come fanno i sognatori, allora chi può dire che i sogni non possono diventare realtà?"
Grazie Jono, queste tue canzoni culleranno a lungo anche i nostri sogni, in qualsiasi ora del giorno o della notte vengano fatti.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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GUIDO MARZORATI & THE BLUGOS


JOURNEY OF HOPE
(VELUT LUNA) 2006

Seconda prova per il veneziano Guido Marzorati, dopo l'autoprodotto "Live At Home" che risale all'ormai lontano 1999.
È incredibile come già al secondo lavoro Marzorati ci offra un disco di notevole maturità, sia per quel che riguarda le musiche, sia per i testi, con ovviamente il tema del viaggio in primis, ma sempre con riferimenti a quel che succede intorno a noi, tra piccoli fatti quotidiani, amore, guerra.
Dicevamo delle musiche: ottimamente supportato dai suoi fantastici Blugos (contrazione di blues e gospel), Marzorati dichiara il suo amore per un certo tipo di cantautorato americano in tipico stile anni settanta, con Jackson Browne su tutti, ma anche Leonard Cohen, e un pizzico dello Springsteen più intimista.
È quel che si dice rock d'autore.
Pochi i pezzi "duri": il primo è "Complainer's Disease", su uno dei mali dei nostri giorni, con tante persone, soprattutto giovani, che affrontano la vita con un'indolenza e un'apatia che rasentano l'atarassia; proprio il contrario del protagonista di "Out Of My Skin"; "Keep Beating" inizia con una chitarra "desertica" per poi aprirsi in un rock che sarebbe piaciuto molto a Bob Seger.
Ma anche quando il rock'n'roll fa capolino tra un brano e l'altro, il "rumore" delle chitarre di Marzorati, del basso di Iliano Vincenzi e della batteria di Andrea Scarpari è comunque sempre levigato dal pianoforte della fenomenale Elisa Marzorati che spesso assurge al ruolo di protagonista.
"Journey Of Hope", la title-track, narra del viaggio di un padre in un Paese straniero alla ricerca del benessere da offrire al proprio figlio.
"Come To A New Land" e "Virtual Love", seppur diverse tra loro, sono canzoni che parlano d'amore, mentre "Bloomington Roots" è il grido disperato di una persona che non vuole arrendersi mai, a dispetto delle cose brutte che possono accadere.
È "A little story of war" e in "Song from the next world" che il riferimento a Cohen diventa evidente.
La conclusiva "What Can I Do?" parte con un'armonica sbuffante che lascia poi spazio ad un pianoforte da saloon e ai cori femminili.
"Journey Of Hope" è un disco come non se ne sentivano da tempo, tutto giocato su un rock stradaiolo rivestito con melodie allo stesso tempo semplici e affascinanti.
I veneziani sono sempre stati grandi viaggiatori e Guido Marzorati è partito verso ovest dimostrandoci di aver messo a frutto le sue esperienze americane (ha suonato in locali storici come lo Stone Poney): "Journey Of Hope" ne è la summa, il suo "Il Milione".

(da www.bielle.org del 4 novembre 2006 e www.guidomarzorati.com)

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MARVIN


AMERICANA
(AUTOPRODOTTO) 2019

Il titolo dice già tutto. È una dichiarazione di intenti. È il girovagare in lungo e in largo da un angolo all’altro degli States, geograficamente e musicalmente. È un sogno che diventa realtà, una realtà che è terreno fertile per continuare a sognare.

Dallo studio Funklabmusic del produttore Alberto Benati, sono uscite sette canzoni. Sette racconti che si poggiano su chitarra, armonica, tastiere, ma soprattutto sulla calda e profonda voce di Valerio Marvin Melli, nato in quella Bassa Reggiana che ha tanti rimandi agli U.S.A.: il Po, il grande fiume associato più volte al Mississippi; la pianura e la campagna che ci riportano al Mid-west; l’afoso caldo estivo e le zanzare che fanno tanto Sud del Texas; la Via Emilia, vera e propria Mother Road per tanti italiani.

Love affairs e personaggi femminili scorrono veloci sul pentagramma di Marvin. Si sente l’urgenza di fermarsi un attimo, ripensare a queste storie e farle conoscere.

Il dylaniano soffio nell’armonica apre il disco con il viaggio tra Louisiana, Texas, Arizona e California, solo un pretesto per voler conoscere il nome della ragazza di Texarkana, TEXARKANA GIRL. Gli amori si sa, sono difficili, come nella splendida OUT IN THE WEST oppure finiscono, come nella successiva SHE AIN’T COMING HOME. DOWN & BLUE, posta esattamente in mezzo all’album, è il capolavoro della raccolta (“Troubles comes and then will pass, They’re just dirty waters under your bridges”). In RIO GRANDE il protagonista si affida al fiume per far portare via le lacrime della donna e (ne sono sicuro) spera che, una volta asciugati gli occhi, lei (per dirla alla Butch Hancock) gli parli almeno una volta in spagnolo. YOU OWE SOME KIND OF LOVE, presente anche la batteria, è gran bel rock di frontiera alla Joe Ely. Si sente la mancanza di una band in ALABAMA, MISSISSIPPI, ma la canzone regge benissimo anche così, e chiude alla grande un lavoro ispirato e positivo.

Se vi piacciono Colter Wall e Ryan Bingham, se tra i vostri miti c’è Guy Clark, questo è l’album che fa per voi. Scuotete la polvere dagli stivali e salite sul vostro pick-up, appoggiate lo Stetson sul sedile a fianco e correte a comprare qualche six-pack da dividere con gli amici. Americana sarà la colonna sonora perfetta per la vostra serata.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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MARIA MC KEE

PEDDLIN' DREAMS (VIEWFINDER RECORDS - COOKING VINYL) 2005

Evviva! Era dai tempi di You Gotta Sin To Get Saved che Maria Mc Kee non faceva un disco così bello! Mi sono avvicinato a Peddlin' Dreams con molti timori, e ho portato il lettore cd alla traccia undici, Barstool Blues di Neil Young: ebbene, Maria l'ha spogliata di tutta la sua elettricità, e l'ha trasformata in una stupenda ballata pianistica. Ecco, le ballate: in tutto il lavoro risalta l'amore per questa forma di canzone. Si va dall'acquarello folk, ad accenni country, quasi sempre il tono è sommesso, ma qua e là compaiono spruzzate di chitarre elettriche; solo spruzzate, si badi bene, ma l'elettricità l'ex Lone Justice ce l'ha nell'anima, e questo traspare in tutto il lavoro. La voce, al massimo della sua espressività, è intensa ed ispirata: ascoltatevi l'iniziale Season Of The Fair, un pezzo che piacerebbe molto a Queen Emmylou, ma ottime anche la title-track e Everyone's Got A Story. Solo sulla finale How Glad I Am si scivola appena, ma è un peccato veniale. Ben tornata Maria!

(da Jam #117)

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JAMES MC MURTRY


CHILDISH THINGS (COMPADRE RECORDS) 2005

Prendere o lasciare, James Mc Murtry è fatto così e nulla lo può cambiare. Anche in Childish Things abbina la sua abilità nello scrivere ottimi testi a ballate scarne ed elettriche, con la coerenza che lo contraddistingue ormai da vent'anni.
Qualche piccolo elemento di novità è l'inserimento di qualche intervento di sax (il figlio Curtis) del trombone (Jon Blondell) e del contrabbasso (Chris Maresh). Per il resto, grande spazio agli Heartless Bastards (Daren Hess ai tamburi e Ronnie Johnson al basso) con l'aggiunta di Tim Holt alle chitarre (che possiamo considerare il quarto Heartless) e degli amici di lunga data David Grissom, Joe Ely, Bukka Allen e Randy Garibay Jr. che supportano qui e lì il leader con la voce o con la chitarra.
L'inizio con See The Elephant è puro Mc Murtry al 100%, mentre la title track fa da apripista (significativa la frase finale "non credo al paradiso, ma credo ai fantasmi") al brano politico più importante del 2005: We Can't Make It Here. Eccoli qui i fantasmi, gli spettri, le paure, che escono dai versi della canzone a raccontarci quello che è successo e quello che sta succedendo. Su un impianto armonico che ricorda una delle grandi canzoni politiche dei '70 (Ohio di Neil Young), prendono forma immagini di veterani alla fame, fabbriche non più in grado di dare lavoro, mentre i politici e ricchi che pagano sempre meno tasse attraversano strade piene di immondizia, al sicuro nelle loro limousine. Il duetto con Joe Ely (Slew Foot) allenta un poco la tensione, e subito dopo arrivano gli assoli di Grissom in Bad Enough e Restless, per replicare poi in Pocatello, stupendamente rock'n'roll. A contendersi con Pocatello la palma di miglior canzone del disco, ci sono Memorial Day e Charlemagne's Home Town (qui con Allen alla fisa), ma come sempre accade con Mc Murtry, il cd va gustato nella sua interezza, e non ci sono momenti di stanca, come dimostrano Six Year Drought, Old Part Of Town e la conclusiva Holiday.
Io ho deciso, sto dalla sua parte, voi potete ancora scegliere: prendere o lasciare, questo è James Mc Murtry.

(da www.blackdiamondbay.it)

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KELLEY MC RAE


NEVER BE
(SONA BLAST! RECORDS) 2006

Dipinti con i colori del folk, del country, del blues e del gospel, questi undici quadretti che compongono Never Be, ci fanno conoscere Kelley Mc Rae, originaria del Mississippi, trapiantata a Brooklin, con un nome consolidato in locali della scena live newyorkese come The Knitting Factory, Pete's Candy Store, Arlene's Grocery e The Rockwood Music Hall.
Nelle sue canzoni (Time, Johhny Cash, Nothin' To Lose e Break Us su tutte), ritroviamo l'anima di Patsy Cline e il cuore di Lucinda Williams, la raffinatezza di Patty Griffin e la freschezza di Kasey Chambers.
Prodotto da J.D. Foster (anche con Calexico, Richard Buckner e Laura Cantrell), Never Be ci offre undici pezzi tutti a firma Mc Rae, con Kelley che si alterna tra chitarra, piano e banjo, e si avvale delle dolci armonie vocali di Sarah Fullen e Virginia Kull, della batteria di George Javori (Joan Baez band), le chitarre di Dave Schramm e Jake Sanders, il basso di Sean Mc Clowry e dello stesso Foster, il wurlitzer di Zach Mc Nees e l'accordion di Ted Reichman. Atmosfere soffuse, ritmi rallentati, una vera delizia per il cuore e per la mente.

(da www.highwayofdiamonds.135.it)

 

***********

Entrata nel mondo dello spettacolo come attrice, è bastato poi un corso di chitarra per cambiarle la vita, e questo Never Be è un gran bel disco d'esordio. Giovane newyorkese originaria del Mississippi, Kelley Mc Rae è uno dei nomi emergenti della scena live del cantautorato della Grande Mela, con numerose serate spese tra palchi come Rockwood Music Hall, The Knitting Factory e Living Room.
Never Be spazia tra country, gospel, folk e blues e ci presenta undici tenui ballate, sempre in bilico tra Lucinda Williams, Patsy Cline, Mary Gauthier, Emmylou Harris e, (perché no?) un pizzico di Norah Jones: raffinatezza, ma anche cuore e anima, si trovano a profusione tra questi solchi.
La produzione è affidata alle esperte mani di J.D. Foster, già al lavoro con Calexico, Laura Cantrell (altra cantautrice di stanza a New York, ma "assai poco newyorkese" musicalmente parlando) e Richard Buckner.
A dir poco splendide sono le curate armonie vocali di Sarah Fullen e Virginia Kull, mentre la band (Dave Schramm e Jake Sanders alle chitarre, Sean Mc Clowry al basso, Zach Mc Nees al wurlitzer, Teid Reichman all'accordion, e ai tamburi George Javori, già con Joan Baez) accompagna docilmente la leader che si alterna tra chitarra, piano e banjo.
Tra i titoli spiccano Johnny Cash, ma soprattutto Break Us e Nothin' To Lose.
I ritmi sono da notte fonda, le atmosfere soffuse, i toni smorzati: eppure Kelley McRae canta con forza le sue canzoni. C'è il sapore del sud, il Mississippi natìo, c'è l'indolenza tipica della grande provincia americana.
Kelley McRae dimostra di poter portare avanti contemporaneamente la carriera di cantautrice e quella di attrice (ha una piccola parte al fianco di Kim Carnes e dell'amata Patty Griffin in Loggerheads di Tim Kirkman, film del 2005 premiato al L.A. Outfest e al Nashville Film Festival, oltre alla nomination al Sundance Film Festival), tanto più che le sue canzoni fanno da colonna sonora a Mentorthat, presentato al Tribeca Film Festival.
Altre canzoni degne di menzione sono Other People's Love Songs e What Ya Get Is What Ya See, ma si corre il rischio di far torto alle restanti composizioni, perché in realtà tutto l'album risulta omogeneo, senza una sola caduta di tono. Si può passare tranquillamente tutta la notte ad ascoltare questa ragazza, senza mai stancarsi, fino all'alba, quando sarà la stessa Kelley a darvi il buon giorno con Morning Song.


(da www.rootshighway.it del 3 gennaio 2007)

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ME PEK E BARBA


PUTOST LA BEV TOTA ME
(AUTOPRODOTTO) 2005

Il titolo in dialetto, rosso, sopra una copertina in bianco e nero che raffigura un fiasco e due bicchieri appoggiati su una tovaglia a quadretti, la dice lunga sui contenuti di questo album.
In realtà il Piuttosto La Bevo Tutta Io del titolo è riferita all'acqua del Po durante una piena, ma è di vino, di osterie, di notti nella pianura padana, che sono piene queste tracce dell'esordio discografico dei Mé Pék e Barba. Capitanati da Sandro Pezzarossa (chitarra acustica), che si divide il compito di scrivere i pezzi con il fisarmonicista Federico Romano, e quello di cantare con Andrea Magni, questa scatenata banda di ragazzi della bassa parmense (ma per i concerti si è aggiunta la violinista reggiana Francesca Mantovani) ci offre nove brani in stile folk, mostrando d'aver mandato a memoria la lezione di gruppi come Modena City Ramblers e Marmaja, o di folk-rockers come Massimo Bubola.
Il breve Preludio recitato fa da apripista per la title-track, cantata in dialetto (ma nel booklet son presenti anche le traduzioni); ballata irish-style, giocata tra fisarmonica e flauto (Marco Piccini).
Con Nott Da Balòos è ancora voglia di danza, con in evidenza Davide Tonna, vero Signore degli strumenti a corda.
Cenerentola, Credevo… parte tranquilla per poi velocizzare il ritmo: una rivisitazione della nota fiaba. Esattamente a metà tra Messico e Irlanda si pone Lacrima Dorata, canzone sulla fine di una relazione. Arriva anche il rock di Fuori Chitarre, ma con gli strumenti elettrici (le chitarre di Tonna, il basso di Fabio Bianchi) e Nicola Bolsi che pesta la batteria, convivono il flauto di Piccini, la fisarmonica e il piano elettronico (sempre Romano). Torna il dialetto per La Solita Serata, bagnata dall'alcol, da tanto alcol, mentre La Festa Di Paese narra di una notte peccaminosa. In chiusura la triste storia di Siura Carla.
Sul retro del cd c'è un'altra foto in bianco e nero che testimonia l'attaccamento di questi ragazzi alle loro origini: i Mé Pék e Barba vengono dal fiume. Salgono sulle assi dei palchi indossando il kilt, si divertono e fanno divertire, e quando tutto è finito si rimettono il tabarro e tornano tra le nebbie che avvolgono tutto, il grande fiume, la pianura, perfino la notte ed i suoi ubriachi.


(da www.bielle.org del 17 settembre 2006)

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MIAMI & tHE GROOVERS


MERRY GO ROUND
(AUTOPRODOTTO) 2008

Anche nel 2008, anzi, forse proprio perchè si è nel 2008, un disco di ragazzi giovani dedicato a Woody Guthrie, non può non colpire la nostra attenzione. D'altra parte anche in questo momento "uomini ricchi stanno facendo bruciare il mondo in un'altra guerra" (da "Big Mistake", la canzone più politica del cd) e non si può far finta di niente.
Una rapida occhiata ai credits di "Merry Go Round" e si notano nomi che evocano lande lontane, eppure ci stiamo abituando a vedere nei lavori dei nostri cantautori migliori: Jono Manson ha collaborato con Stefano Barotti e Andrea Parodi, Joel Guzman con Massimiliano Larocca, portando un ulteriore tocco di classe; e non dimentichiamo che ospite su quel "Dirty Roads" che è il loro primo album, c'era un certo Marino Severini dei Gang, uno che di giovani gruppi promettenti se ne intende assai.
E allora si va ad iniziare…
Venghino Siore e Siori, i romagnoli Miami & The Groovers sono tornati sulla grande giostra del rock'n'roll! Abbiamo la voce e le chitarre di Lorenzo Semprini, abbiamo il sax di Claudio Giani, abbiamo la batteria di Marco Ferri e il basso di Luca Fabbri, e poi ancora abbiamo le chitarre alla spina (starebbe per elettriche… ehm…) di Beppe Ardito e le tastiere di Alessio Raffaelli!
Inserite il cd nel lettore, e dopo un breve "Intro" cominceranno le corse lungo la nostra SS-9, che ricorda dannatamente la I-95 americana. "One Way Ride" è già chitarre e sudore, con il testo incentrato sul non pensare troppo alle cose lasciate indietro, cercando invece di "cogliere l'attimo". "Jewels And Medicine" è un bell'omaggio ad una notte passata con in testa Janie, una bottiglia di liquore, magari ascoltando Little Richard. "Night On The Town" è l'unica cover dell'album, proviene dal repertorio dei Del Fuegos, e mentre la si ascolta si agitano furiosi i fantasmi di gruppi come Green On Red e Long Ryders. "My Sweet Rose" è la deviazione sulla I-10, e poi una volta dalle parti di San Antonio, giù verso il border, e poi oltre, in Messico; sono della partita la fisarmonica di Joel Guzman e la dolce voce alternative-country di Erin Sax Seymour. Altro ospite importante è Ron Lasalle, che arriva con "Time Has Come": soul'n'roll! Con "Broken Souls" si torna a correre sulle freeways, mentre "Love Has No Time" è una dolce ballata pianistica. "Sliding Doors" e "Big Mistake" rinvigoriscono i toni. La dylaniana "Trust Revisited" è l'occasione per invitare Jono Manson a prestare la sua voce. Il pianoforte e un bell'assolo di sax contribuiscono a fare di "It's Getting Late" un'altra delle ottime canzoni che compongono questo disco. La strumentale "Last Ride", dalle atmosfere desertiche, fa da apripista per la title-track: "Merry Go Round" inizia con il pianoforte, poi entrano gli altri strumenti e la voce di Semprini, fino a che tutti si uniscono al coro nel ritornello. Alla fine, un breve "Outro".
Certo, qua e là, risulta evidente che i ragazzi sono stati sovente a lezione da Bruce Springsteen (un altro che a sua volta ha imparato parecchio da Guthrie), ma il tutto suona fresco, godibile e credibile. Rispetto all'esordio di tre anni fa, Miami & The Groovers hanno allargato il loro ventaglio musicale, proseguendo così senza timori sulla strada della piena maturità, che vuol poi dire anche piena libertà dagli "ingombranti" Maestri. Io una scommessa ce la faccio: il prossimo disco sarà un capolavoro!
Venghino Siore e Siori, venghino…

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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JON NOLAN

WHEN THE SUMMERS LASTED LONG
(MILL TOWN RECORDS) 2005

Dopo dieci anni passati a contendere all'amico Cliff Murphy la leadership dei Say ZuZu, ecco arrivare per Jon Nolan la prova solista.
When The Summers Lasted Long è un buon "esordio", prodotto dallo stesso Nolan, e mixato da Paul Q. Kolderie, già al lavoro con Radiohead, Morphine, Ryan Adams e Uncle Tupelo.
L'iniziale So Much sembra provenire proprio dal periodo Say ZuZu, con Jon Nolan che suona tutti gli strumenti. La successiva Mary (Won't You Come Along?) è una ballata giocata tra piano e chitarre (sempre Nolan, ma aiutato da Ken Schopf, già batterista di Jeff Klein e da Dan Cantor alle percussioni). Echi beatlesiani in Every Morning, ma la canzone si fa ricordare soprattutto per una parte veramente brutta di tastiere. I Say ZuZu erano state una delle band più in vista del settore Americana: On & On ne è un tipico esempio; buona ballata, con Jabe Beyer che aiuta Nolan con il controcanto. Il disco cresce con Waiting, con ancora Nolan e Beyer a dividersi gli strumenti e a cantare insieme. Da Every Mile, l'ultimo disco a nome Say ZuZu, sono passati ormai cinque anni, passati da Nolan in tour, ad aprire per gente come Richard Buckner, Silos, Steve Wynn, Joe Ely, Slobberbone. Tutti questi incontri non possono non averlo influenzato, e il risultato è Cupboard, il punto più alto dell'album: Jon alle chitarre, Beyer all'armonica, Steve Ruhm alla batteria e Nolan McKelvey al basso, per una splendida ballata elettroacustica. Ottimo il contributo di Jim Gambino (of Swinging Steaks) all'organo in All Dried Up, la song più elettrica del lotto. Più rilassata risulta Hey Now, mentre Hope, Ar (A True Story), suonata e cantata in solitudine da Jon, chiude il disco.
33 minuti, questo il minutaggio totale di When The Summers Lasted Long. Sicuramente due canzoni (Cupboard e All Dried Up) sono ottimi pezzi, ma nel complesso ci si aspettava qualcosa di più da questo album che molti, anche in Italia, attendevano con ansia; nell'insieme, infatti, risulta di poca sostanza. Probabilmente dall'aiuto di un produttore più esperto tutto il lavoro avrebbe tratto giovamento, ma è importante sapere che Jon Nolan non si è perso per strada, anche se quella strada, appare al momento terribilmente lunga.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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TOM PETTY

HIGHWAY COMPANION
(AMERICAN) 2006

Highway Companion lo possiamo considerare il primo vero disco solista di Tom Petty: infatti sia su Full Moon Fever sia su Wildflowers i componenti degli Heartbreakers spaziavano in lungo e in largo; qui abbiamo il solo Mike Campbell alla solista, e nemmeno in tutte le canzoni. Al piano e all'organo c'è l'amico Jeff Lynne, che per fortuna non fa troppi danni quando si occupa della produzione. Tutti gli altri strumenti sono nelle mani dello stesso Petty.
Questa estate del 2006 ci porta un Tom Petty più song-writer, meno rockettaro, con più spazio alle ballate e all'introspezione, ma non mancano episodi più mossi come l'iniziale Saving Grace, che suona come un rock-blues in stile Texas. Si prosegue con l'acustica Square One per arrivare a quel palese omaggio agli amati Byrds che è Flirting With Time; dai Byrds a Dylan il passo è breve, così ecco Down South.
Si rimane in ambito sixties con Jack, mentre Turn This Car Around ci riconsegna il puro suono Heartbreakers. Di questa raccolta di dodici nuove canzoni del biondo autore della Florida, Big Weekend è un episodio dall'andamento piacevolmente "sgangherato".
Night Driver, sicuramente uno dei pezzi migliori di Highway Companion, è racchiusa nel suo titolo: un viaggio nella notte, sempre su sonorità molto sixties. Costruita in modo semplice, Damaged By Love, risente di un testo troppo "leggero". Per fortuna il disco si risolleva subito con This Old Town, con la successiva Ankle Deep (ancora reminiscenze dylaniane) e con la finale, beatlesiana, The Golden Rose.
Dove collocare Highway Companion nella discografia pettyana? Non è un brutto disco (anche se qualcuno lo potrebbe definire inutile), sicuramente lontano da un capolavoro come Wildflowers. Effettivamente gli ultimi lavori denotano una certa involuzione, pur rimanendo al di sopra della soglia della sufficienza. Ma da Tom Petty ci aspettiamo molto di più che una manciata di belle canzoni ispirate a Bob Dylan e Roger Mc Guinn.
Highway Companion può sì far compagnia per una corsa sull'autostrada, ma al ritorno viene voglia di ascoltare altro.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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SARAH PIERCE

COWBOY'S DAUGHTER
(LITTLE BEAR RECORDS) 2008

Cowboy's Daughter è il settimo album di Sarah Pierce, compreso un disco per bambini e uno a carattere natalizio.
E, per non smentire coloro che l'hanno accomunata a Emmylou Harris e Nancy Griffith, va subito detto che questa bionda ragazza ormai adottata dal Texas ha fatto un gran bel disco, cantato e suonato benissimo!
Ballate country (Last Real Cowboy, Radio e Jaqueline), ora soffuse (I Tought I Knew You) ora leggermente più mosse (l'iniziale My Day In The Sun e Wish It Away), una spruzzatina di blues (Cruel Man).
Cowboy's Daughter (la title-track) è la storia della sua vita, Charlie è più cantautorale, What Would You Do è un omaggio dei Reckless Kelly (che sono ospiti nel brano), Sun Falling Down è ripresa splendidamente dal vecchio No Place Like Home (lei stessa racconta di non ricordare nemmeno più quante volte l'ha incisa!), il disco che la fece conoscere in Italia. Tumbleweed Dreams è uno dei punti più alti dell'intero lavoro, mentre Three Cigarettes è un pezzo portato al successo da Patsy Cline tantissimi anni fa.
Ogni nota è al punto giusto (merito del produttore-batterista-marito Merel Bregante), Sarah canta come un angelo. Appaiono come ospiti Rosie Flores all'elettrica e John McEuen (Bregante suonò con lui nella Nitty Gritty Dirt Band) a chitarra, banjo e mandolino, mentre la backing-band è composta (oltre che da Merel Bregante) dagli italiani Alex Adinolfi e Maurizio Fassino (dei Chicken Mambo) alle chitarre acustiche ed elettriche, Lynn Daniel al basso, Cindy Cashdollar (Asleep At The Wheel, Willie Nelson, Dixie Chicks, Merle Haggard… cinque Grammy…) alla steel, al dobro e alla National, Doug Hudson a chitarra, mandolino e voce, Riley Osbourn (Willie Nelson, Marcia Ball) al piano.
Non dimenticatelo, Sarah ci tiene:
one earth, one chance!

(da www.rootshighway.it dell'11 gennaio 2009)

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GASTONE PIETRUCCI / LA MACINA


AEDO MALINCONICO ED ARDENTE, FUOCO ED ACQUE DI CANTO

(VOL. 2)
(STORIE DI NOTE) 2006

Coerenza. Per tante persone è purtroppo solo una parola nel dizionario e nulla più: succede spesso ai politici, ma anche ai musicisti, che magari si professano grandi ammiratori di un artista o di un genere per poi far scoprire ad ogni loro uscita discografica che in realtà le loro intenzioni sono solo biecamente commerciali.
Ma ci sono anche persone che della coerenza hanno fatto uno stile di vita; è il caso di Gastone Pietrucci e de La Macina.
È il dodicesimo disco in oltre trentacinque anni di carriera, il secondo volume della trilogia "Aedo Malinconico Ed Ardente, Fuoco d Acque Di Canto".
Anche qui come nel primo volume (uscito nel 2002) l'intento è di recuperare antichi canti della tradizione marchigiana, ridare loro smalto, colore e calore, e riconsegnarli alla gente, perché non vadano perduti.
Un altro filo che lega il secondo volume al primo è la presenza di Giovanna Marini (che canta il "La Bella Leandra", insieme a Moni Ovadia) e di Marino (che duetta con Gastone in "La Sposa Morta") e Sandro (alla chitarra elettrica in "Bello Lo Mare E Bbella La Marina…") Severini.
Con i fratelli Severini, anzi, con i Gang (qui compaiono anche Francesco Caporaletti al basso in cinque brani e Fabio Verdini, ex tastierista dei Gang, piano e hammond in tre canzoni), Gastone e La Macina hanno pubblicato in condivisione nel 2004 lo splendido "Nel Tempo E Oltre, Cantando", dove la tradizione si sposava perfettamente con il rock.
Ma ci sono anche un paio di novità, con ospite ancora Moni Ovadia, e in un certo senso sono due "tradimenti": uno è "Pan Pentito", che arriva dalla Toscana, dal repertorio di Dodi Moscati; l'altro è "Unter Dayne Vaise Shtern", canto della tradizione Yiddish scritto da Sutskever e Broda, tradotto letteralmente da Gastone in "Sotto La Tua Bianca Stella".
Donne che muoiono per amore, canti di emigrazione, di lavoro, di guerra, di ragazze rapite che diventeranno regine: Adriano Taborro, Marco Gigli, Michele Lelli, Roberto Picchio e Giorgio Cellinese, qua e là aiutati da Federico Mondelci al sax, accompagnano Gastone Pietrucci nelle dodici storie, dodici canzoni che compongono l'album; anzi tredici, perché c'è una ghost-track nella quale, nella prima parte c'è ospite Allì Caracciolo perché "…abitare una traccia fantasma è il luogo deputato della poesia…".

(da www.bielle.org del 17 settembre 2006)

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GASTONE PIETRUCCI / LA MACINA

AEDO MALINCONICO ED ARDENTE, FUOCO ED ACQUE DI CANTO

(VOLUME 1)
(STORIE DI NOTE) 2002

Un'altra parte importante dell'antica cultura orale delle Marche è trasposta su disco, grazie alla paziente, appassionata, meticolosa ricerca di Gastone Pietrucci e de La Macina.
È l'ennesima selezione, dieci sono i dischi che l'hanno preceduta, ma con Aedo Malinconico Ed Ardente, Fuoco Ed Acque Di Canto si imprime un'apertura verso nuove sonorità a tutto il lavoro fatto nel passato, rendendolo allo stesso tempo antico e moderno, riportando a vita nuova vecchissimi testi a rischio oblìo.
Marco Gigli (chitarra, cembalo, voce), Michele Lelli (percussioni, batteria, voce), Roberto Picchio (fisarmonica, voce), Adriano Taborro (chitarra, mandolino, voce), coordinati da Giorgio Cellinese; e poi lui, Aedo (termine con il quale anticamente si indicava il cantore girovago) dei nostri giorni: etnomusicologo e ricercatore sul campo, laureato con una tesi sulla "Letteratura tradizionale orale marchigiane e spoletina", Gastone Pietrucci, con la sua voce rauca, calda, ora rabbiosa, ora disperata, è lo strumento in più che arriva dritta alla meta, il cuore.
Grande spazio è riservato alle donne, alle loro storie, dando così loro il giusto spazio nella Storia con la S maiuscola: da Sotto La Croce Maria a Collage Di Canti Del Repertorio Minore Della Filanda Jesina (in questi due brani c'è la partecipazione di Giovanna Marini), da La Guerriera a Cecilia, oppure ancora Monaca A Forza. L'altra ospite femminile è Rossana Casale in Dormi Dormi Core Mia e in Bovi Bovi.
Riccardo tesi è presente con il suo organetto in Benediciamo A Cristoforo Colombo, splendido testo sul movimento migratorio della seconda metà dell'800 verso l'America (anzi, Lamerica), ma anche in Io Me Ne Vojo Andà Pel Mondo Sperso.
Ci son voluti quasi trentacinque anni (metà vita, ci raccontava il Poeta) di carriera, ma questo disco è un capolavoro, un'opera fondamentale per fare uscire dai suoi ristretti confini le musiche, ma soprattutto i testi, della tradizione marchigiana.
Tra gli amici ospiti vanno citati anche Sandro Severini dei Gang alla chitarra elettrica, Antonio Felicioli al flauto, Costantino Ravarelli con le nacchere e Diego Ravarelli con il cembalo.
Il punto più alto dell'intero album è probabilmente l'omaggio a Giuseppe Gasparrini, detto Peppe de Birtina, con La Ballata Del Brigante Pietro Masi Detto Bellente; la narrazione della storia di Pietro Masi, disertore dall'esercito napoleonico divenuto poi brigante e ucciso in un'imboscata quando aveva solo ventitre anni, diventa il pretesto per uno splendido duetto con Marino Severini dei Gang, a sua volta autore di una grande galleria di personaggi che si potrebbero tranquillamente affiancare al Bellente (da Il Bandito Trovarelli a Bandito Senza Tempo, da La Pianura Dei Sette Fratelli a Comandante). Ancora oggi nel maceratese le persone ostinatamente irriducibili, vengono chiamate Bellente. La partecipazione a questo disco dei fratelli Severini sarà foriera di future collaborazioni: i Gang, anch'essi marchigiani, sono sì un gruppo rock, ma profondamente legato alla propria terra, alle proprie radici.
Cantato e suonato con classe e passione immensi, Aedo Malinconico Ed Ardente, Fuoco Ed Acque Di Canto è un baule colmo di tesori riportati alla luce, con quel "volume 1" posto alla fine del titolo che ci fa pensare che Gastone Pietrucci e La Macina non si fermeranno certo qui, perché dopotutto, anche le vecchie canzoni "se ne vojono andà per il mondo sperso…"

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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FABRIZIO POGGI & CHICKEN MAMBO

MERCY
(ULTRASOUND) 2008

Il ragazzo che suonava la sua armonica sotto il cielo del sud è cresciuto. Dall'ultimo album in compagnia dei Chicken Mambo son passati dieci anni, anni passati viaggiando alla ricerca, alla riscoperta e alla salvaguardia delle musiche e delle liriche popolari del proprio Paese (vedi il progetto Turututela, con due ottimi dischi all'attivo) e a scrivere testi sull'armonica. Ma sono stati anche anni bui, nei quali c'è stata molta "pioggia nel suo cuore"; eppure proprio questa pioggia ha permesso alle canzoni di "Mercy" di germogliare. La sua stessa musica lo ha guarito, così come la musica del ragazzo di cui sopra "guariva" chi lo ascoltava.
Spesso è proprio "riportando tutto a casa" che si trova la forza di ripartire dopo i momenti tristi. Già, la casa di Fabrizio Poggi è sì la Lombardia dei Turututela, ma anche la Louisiana, il Texas, il Mississippi dei Chicken Mambo. La casa di Fabrizio Poggi è in qualsiasi posto ci sia gente disposta a suonare e cantare con passione e cultura. E addirittura stavolta il viaggio rigeneratore non è stato nella solita direttrice est-ovest lungo le Interstate 10, 20 o 40 ma, al contrario, fino a Woodstock, fino alla mitica Big Pink dell'amato gruppo The Band, con Garth Hudson che impreziosisce con la sua presenza un già di per sé prezioso disco (appare nella title track e nelle splendide versioni di "John The Revelator" e "I Want Jesus To Walk With Me").
Le "dusty roads" sotto il cielo del sud degli States non sono diverse da quelle che ci sono nelle nostre campagne, il sudore dei lavoratori nei campi di cotone non è diverso da quello delle nostre mondine o dei nostri contadini, le lacrime di una persona rimasta sola sono uguali ad ogni latitudine, il sangue di chi muore sul lavoro o sul campo di battaglia è sempre rosso. È da questo sudore, da queste lacrime, da questo sangue, che arrivavano le folk songs dei Turututela, e sempre da lì arrivano questi spiritual-blues.
È incredibile come gente che risponde al nome di Seth Walker (in "Cross Road Blues"), Rob Paparozzi (Blues Brothers Band e Blood Sweat & Tears, alla voce in "Walkin' Blues" e "Nobody's Fault But Mine"), Donnie Price (bassista per Willie Nelson e Jerry Jeff Walker), Ponty Bone (leggenda texana della fisarmonica al pari di Flaco Jimenez e Joel Guzman), oltre ai coniugi Hudson (Garth e la moglie Maud), si sia fatta in quattro per essere in queste sessions. Ma se siete soliti fare le vostre vacanze nel sud degli Stati Uniti, non di rado vi verrà chiesto se conoscete Fabrizio Pogghi (pronunciato proprio così, non è un errore), perché anche chi l'ha visto una sola volta su un palco ben difficilmente se lo dimentica.
Ma sono i Chicken Mambo tutti, a rendere eccezionali performance in "People Get Ready", "Down By The Riverside", "Jesus On The Mainline", "Amazing Grace" (ascoltate il piccone che batte e dà il ritmo): del resto Maurizio Fassino (chitarre) è con Fabrizio da una vita, Francesco Garolfi (chitarre, lap steel e mandolino) è stato compagno di viaggio di Poggi negli U.S.A. in più di un'occasione, e Bobby J. Sacchi (accordion), Roberto Re (basso) e Stefano Bertolotti (batteria) completano una formazione molto affiatata; in più va citata la voce "nerissima" di Betti Verri in tre brani.
Posto alla fine del disco c'è un frammento di una vecchia versione di "Amazing Grace", per dare un senso di circolarità al tutto, per racchiudere tutto in un cerchio, musica, amicizie, bevute in compagnia: "Will The Circe Be Unbroken".


(da www.bielle.org del 31 LUGLIO 2008)

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FABRIZIO POGGI & CHICKEN MAMBO


SONGS FOR ANGELINA: TEN YEARS ON THE ROAD...
(NEW FRONTIERS) 2001

Con precisa cadenza biennale i Chicken Mambo ci consegnano il loro nuovo album, il quinto per la precisione. Ed è l'occasione per ripercorrere dieci anni di carriera passati in giro, sui palchi di Italia, Svizzera, Slovenia e U.S.A.
Blues, country, folk, zydeco, mischiati ad arte da Fabrizio Poggi e i suoi pards Micio Fassino, Joe Barreca, Michele Vittori, insieme agli amici e agli eroi che si sono alternati nel corso degli anni.
E' una raccolta, ma non mancano i pezzi nuovi, come la dolce Song for Angelina, che è più di una canzone, è una bellissima dichiarazione d'amore alla compagna della vita; possiamo riascoltare Fabrizio mentre duetta con Jerry Jeff Walker in I'm on the Road Again, oppure mentre ripropone Hey Evangeline con Zachary Richard e What the Cowboys say con Ponty Bone e Don McCalister; ci sono rivisitazioni di Knockin' on Heaven's Door , La Bamba, Guantanamera e Stand by Me; c'è Bayou Queen, registrata dal vivo a un programma televisivo americano; ci sono i classici del gruppo, come la stupenda Mexican Moon e come Under the Southern Sky (dal vivo), un'altra dichiarazione d'amore, stavolta all'armonica, alla musica, ai sogni, ai cieli stellati.
Voto: 7,5
Perché: è il modo perfetto per salutare tutti gli amici dei primi dieci anni di carriera, e per dare il benvenuto a quelli che arriveranno.

(da www.blackdiamondbay.it)

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FABRIZIO POGGI / FRANCESCO GAROLFI


THE BREATH OF SOUL
(ULTRASOUND) 2006

Esistono gli istant-album, esistono le istant-star, questa è una istant-review: non appena ho ascoltato questo disco ho sentito il bisogno di iniziare a pestare con le dita sulla tastiera del computer.
Mai titolo avrebbe potuto essere più appropriato: The Breath Of Soul. Traducete come volete la parola breath: può essere il respiro dell'anima inteso come funzione vitale dell'anima; ed è importante che la nostra anima sia viva, che continui a provare emozioni per le cose belle della vita, che spesso sono le più semplici: la musica, gli amici, l'amore. Oppure la si può intendere come soffio: credo che sia la conseguenza di quanto si diceva sopra. Un'anima viva, pulsante, trasmette vitalità, allegria, gioia. La traduciamo come alito? L'alito dell'anima è come quello del bue e dell'asinello nella stalla di Betlemme: un dolce tepore rassicurante, un profumo inebriante.
Tutte queste cose possono venire trasmesse anche da un semplice dischetto, l'importante è, appunto, che sia fatto con l'anima, che è poi lo strumento in più di The Breath Of Soul, così parco di strumenti musicali: l'armonica di Fabrizio, le chitarre (l'acustica, la lap steel, la National resofonica del 1930) e il mandolino di Francesco. E le due voci, calde e rilassate.
Le tredici canzoni che il duo Fabrizio Poggi / Francesco Garolfi ha messo su cd sono il logico risultato di tanti concerti, tante serate, tanti kilometri (o miglia) passati insieme tra Italia e Stati Uniti. È blues, blues fino al midollo, con qualche concessione alla ballata.
Il repertorio è quello dei traditionals (John The Revelator, Glory Glory / Swing Low Sweet Chariot, Another Man Done Gone) e dei classici di Blind Willie Johnson (The Soul Of A Man), Robert Johnson (Dust My Broom, Cross Road Blues), Mississippi John Hurt (Pay Day), Sonny Boy Williamson II (Checkin' Up On My Baby), mischiati con autori meno noti al grande pubblico come Sleepy John Estes (Diving Duck Blues), James "Son" Thomas (Beefsteak Blues). La title-track è firmata da Fabrizio Poggi, così come la dolce Song For Angelina. Chiude un altro traditional, registrato dal vivo alla KFFA Radio di Helena, Arkansas: Sitting On Top Of The World.
Anima, cuore, passione, amore, blues: parole che non hanno bisogno di traduzioni e spiegazioni.

(da www.rootsandblues.org)

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FABRIZIO POGGI E TURUTUTELA


LA STORIA SI CANTA
(DUNYA RECORDS / FELMAY) 2006

Il senso del disco è racchiuso nel titolo: cantare la storia significa dare voce a chi, nei campi, nelle risaie, nelle fabbriche, sui campi di battaglia, emigrando per cercare un presente e un futuro migliori, ha fatto la storia italiana del secolo scorso pur senza comparire sui libri.
Fabrizio Poggi arriva al secondo volume del progetto Turututela ("Canzoni Popolari", uscito nel 2002, aveva ricevuto il plauso unanime della critica) ed è il brillante risultato di tanto tempo passato a frugare nei vecchi bauli impolverati ed ammuffiti del canzoniere italiano.
Recuperare le radici, e con esse tante storie che tanti preferiscono far dimenticare a vantaggio della vacuità dei nostri tempi, è quello che da trent'anni fanno Gastone Pietrucci e La Macina per quel che riguarda le Marche, quello che hanno fatto Bruce Springsteen con le Seeger Sessions e Francesco De Gregori nel sodalizio con Giovanna Marini, quello che fanno i Gang con le loro storie che arrivano dal passato vestendosi di rock, quello che lo stesso Fabrizio fa da anni con il blues e ora anche con questo secondo malloppo di canzoni che arrivano dritte dal nostro patrimonio musicale.
Oltre a Fabrizio Poggi voce e armonica (e chitarra e organetto in "O cara moglie" di Ivan Della Mea), i Turututela sono Roberto G. Sacchi alla fisarmonica, Marco Rovino alla chitarra e al mandolino, Odette Lucchesi ai cori.
Si inizia con "Bella ciao delle mondine" e con la dedica all'armonica a bocca di "La suneta". "La terribile sciagura di Mattmark" ricorda le ottantotto vittime di un ghiacciaio svizzero nell'agosto del 1965. "Vola colomba" arriva dal Festival di Sanremo del '52, quando ancora si poteva davvero parlare di festival della canzone italiana.
Non c'è nostalgia in queste riproposizioni, non c'è tristezza: il suono è scintillante, c'è più l'atmosfera di una festa popolare, un tappeto sonoro acustico che fa sfoggio anche di contrabbasso (Roberto Re) e percussioni (Stefano Bertolotti).
"La Mundena" è una poesia di Angelo Vicini messa in musica da Poggi, in "Sciur padrun da li beli braghi bianchi" e in "Saluteremo il signor padrone", altri due tra i più famosi canti delle mondine, partecipano ai cori Renato Franchi, Viky Ferrara e Claudio Ravasi, mentre "Anche per quest'anno le ragazze ci han fregato" vede come ospiti Paolo Millet all'armonica e Chiara Negro alla ghironda.
"Mamma mia dammi cento lire" non ha certo bisogno di presentazioni essendo una delle più celebri canzoni sull'emigrazione, e anche "Miniera" sembra arrivare dall'altra parte dell'oceano, dall'assolato border tra Messico e Stati Uniti.
Qua e là si possono apprezzare il lavoro di Maurizio "Micio" Fassino alla chitarra e di Giovanni Lanfranchi al violino, ma vanno citati anche i cori di Erica Opizzi, Laura Marchesi e del Sacher Quartet.
"Mamma perché non torni" è tratta dal repertorio del cantastorie pavese Adriano Callegari e proprio ai cantastorie è dedicata la title-track, scritta da Sacchi, Poggi e ancora Vicini.
Chiude il disco una traccia nascosta: "Miniera" cantata a metà degli anni '70 da Vincenzina "Vice" Mellina Cavallini.
Sensibilità e passione vanno a braccetto per tutto il disco e per chi da anni conosce il bluesman di Voghera, in "La storia si canta" troverà la più piacevole delle conferme.

(da www.bielle.org del 14 settembre 2006)

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GRACE POTTER AND THE NOCTURNALS

NOTHING BUT THE WATER
(RAGGED COMPANY RECORDS) 2006

Rock, blues, accenni soul e gospel: questo è Nothing But The Water, terzo disco di Grace Potter, che viene dopo Original Soul (2004) e Live Oh Five (2005).
Sentendola cantare il pensiero corre agli Stati del sud, Texas, Alabama, Louisiana… Eppure la ventiduenne Grace è originaria del Vermont, e con questo nuovo lavoro si sta avviando sulla strada della maturità, sia nel cantare che nel comporre. I Nocturnals sono un brillante nucleo di musicisti (Scott Tournet alle chitarre, Bryan Dondero al basso, Matt Burr alla batteria) che asseconda alla perfezione la leader nelle sue scorribande al piano, al Wurlitzer e all'Hammond B-3.
Voce grintosa e calda, vengono in mente Susan Marshall (ricordate il progetto Mother Station?) e le texane Carolyn Wonderland e Mary McBride, così che il tributo pagato a Janis Joplin risulta evidente, ma non si può dimenticare Lucinda Williams, della quale Grace Potter, on stage, riprende una porzione di Joy per mischiarla alla sua Joey.
Left Behind e il blues di 2:22 sono episodi prettamente acustici, mentre Treat Me Right, Sweet Hands, la stessa Joey e Some Kind Of Ride, sono cavalcate elettriche, sempre sostenute da piano e organo; All But One è, per contro, una stupenda, dolce, ballata pianistica. C'è spazio per atmosfere bluesate anche nell'iniziale Tootbrush And My Table, mentre Ragged Company viene direttamente dall'anima. Il breve strumentale Below The Beams fa da apripista per la title-track, lunga e divisa in due parti, la prima solo voce, la seconda che vede tutta la band impegnata in un elettrizzante tour de force che finisce, ancora influenzata dal gospel, laddove iniziava, con le voci e il ritmico battere delle mani.
C'è anche allegato un dvd con cinque pezzi dal vivo (Joey, Here's To The Meantime, Left Behind, Over Again, Nothing But The Water), registrato all'Higher Ground Ballroom di Burlington, nel natìo Vermont.
Anima e personalità, la giovane Grace, quanto basta perché il cd rimanga intrappolato nel lettore e non ne voglia più uscire: sono bastate dodici magiche scintille rock-blues per stregarlo.


(da www.rootshighway.it del novembre 2006)

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PUNTINESPANSIONE


…UNA DIALETTICA PARTICOLARE
(OTIUM RECORDS) 2006

Quattro anni di rodaggio, tanti concerti, un cd autoprodotto con quattro brani a fine 2003, ora finalmente il progetto PuntinEspansione arriva alla meta del primo disco vero.
"L'allegria vince su tutto il resto" e "Non prendersi troppo sul serio, visto che decisamente seri non siamo" sono i motti del gruppo, e già dalla copertina (c'è un bambino che fa una linguaccia) si capisce che i cinque hanno mandato a memoria la lezione di Rino Gaetano e Fabrizio De Andrè.
Graffiante ironia nei testi per raccontare il sociale, l'amore, storie a metà tra il serio e il faceto, con musiche che spaziano dal folk al rock, magari un accenno di tango, passando per la canzone d'autore.
Francesco Mastrangelo (voce e chitarra acustica) è l'autore dei brani, il resto della banda è formato da Pepe Laterza (mandolino e voce), Fabio D'Agrosa (basso e cori), Marcello Malagnino (chitarre), Giuseppe Tria (batteria): i cinque ragazzi pugliesi portano a compimento questo lavoro composto di nove brani originali, una cover, una traccia nascosta che serve di presentazione.
Si parte alla grande con Pascal ("la vita è molto bella per quelli che come lui hanno deciso di vivere di speranza"), si prosegue con l'amara ironia di Un'Estate Di Duro Lavoro In Un Campo Sperduto Nel Cuore Del Sud… (titolo alla Lina Wertmuller).
Il Testimone ("driiiiiiiinn… di domenica mattina") è puro divertimento, e nessuno si offenda! Cercati Negli Occhi e L'Ancien Tango sono, seppur diverse tra loro, dediche all'amore. Si prosegue con Disattendo e Il Valzer Della Terra ("uomini, donne e bambini vivevano a rischio") per arrivare a Bocca Di Rosa: qui i PuntinEspansione si prendono il lusso di ridare smalto e vigore ad uno dei brani più famosi della storia della musica italiana. Non Venirmi A Dire e Il Principe E Il Custode chiudono nel migliore dei modi questa opera prima.
Passione e anima, …Una Dialettica Particolare è un disco solare anche quando qualche tenebra vorrebbe calare a rattristarci, ma d'altra parte "nella vita l'importante è ridere", parola dell'immortale Conte Mascetti.

(da www.bielle.org del 5 settembre 2006)

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DAVIDE RAVERA

DR. DAVE & MR. HAZE
(HAZYMUSIC) 2008

Perseveranza, ovvero fermezza e costanza di propositi, opinioni e opere.
Queste "2001 recordings" ci hanno messo sette lunghi anni (sull'importanza del numero 7 date un'occhiata, per esempio, a Wikipedia), ma alla fine hanno visto la luce.
Operazione importante per Davide Ravera, doveroso ricordo delle esperienze del passato (alcune dolorose, ma anche tanti viaggi tra Europa, India e Africa), per passare senza rimpianti a presente e futuro, con un disco in italiano registrato in studio e intitolato Bolero.
Ma veniamo a Dr. Dave & Mr. Haze, diviso in due parti: la prima registrata durante uno show alla radio olandese Vara One, con la presenza di Anna Palumbo all'accordion ad ingentilire le tracce, la seconda (più corposa) composta di homemade recordings in solitaria; il tutto rimasterizzato presso i Sex Blues Studio di Reggio Emilia.
Sin da Sonya Yana Meme Komba il disco prende il volo, anche se con Big City Blues (tra zydeco e rock'n'roll) e Born In A Minor Key si avverte la mancanza di una band. Wind From Seattle è disarmante nella sua splendida, ingenua ("let the kids come out to play and resurrect a dream that's fine, a brand new season's just on time"), semplicità.
Headful Of You, I Got 2 Girls e Without A Smile sono omaggi agli amati cantautori texani (Townes Van Zandt su tutti). I Wish I Was In Barcelona gioca tra profumi di late night hours e ritmi spagnoleggianti. Se Crazy è potenzialmente un ottimo rock, con Shades Of Blue e Wired si ritorna alle atmosfere intimiste care ai vari Guy Clark e compagnia. Red Light Angel è ben giocata sulla slide, Woman's Revenge è un fragile acquerello, Rock'n'Roll Preacher ("he's gonna write a letter to the ghost you keep inside") è dedicata allo scrittore Hank Beukema. La lunga Lighthouse ("friends they move to nowhere with paintings on their minds") è forse il manifesto dell'album, ma forse è anche il manifesto della sua vita.

(da www.rootshighway.it del 2 marzo 2009)

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REIN

OCCIDENTE
(AUTOPRODOTTO) 2008

Coraggio a volte fa rima con Incoscienza. In questo caso fa rima con Indipendenza.
Autoprodurre un disco doppio con venti canzoni (e in più c'è nascosto qualcosa), nel 2008, può sembrare una pazzia, e forse la è.
Non solo: seguendo la strada già intrapresa dai Marmaja, chi vuole può scaricarlo gratuitamente da internet, mentre chi ama avere tra le mani cd originale e booklet può riceverli a casa con poca spesa.
A rincarare la dose c'è da aggiungere che i Rein si sono tolti dalla SIAE, contraria a riconoscere ai propri iscritti il diritto di disporre della propria opera, di renderla liberamente condivisibile, ad esempio.
Le canzoni di "Occidente" sono state scritte (Gianluca Bernardo, chitarrista e cantante, ne è l'autore) in un lasso di tempo abbastanza lungo, dal 2001 al marzo 2008, date in cui è iniziata e finita la stesura di "Genova", uno dei brani portanti dell'album, posto al centro del lavoro (la decima canzone, l'ultima del primo cd).
Gianluca Bernardo, Luca De Giuliani (chitarre), Claudio Mancini (chitarre), Pierluigi Toni (basso) e Gabriele Putrella (batteria) formano una band dalle grandi potenzialità e dalle idee chiare. E poi ci sono gli amici ospiti (impossibile citarli tutti qui) che aggiungono violini, sax, chitarre, mandolini, trombe, pianoforte, percussioni, flauti e, per finire, voci.
Ecco, le voci: con le loro canzoni i Rein danno voce ai disillusi ("gli eroi sono grandi bugiardi, gli eroi son bastardi e tu non crederci mai"), ai lavoratori ("le mie mani scavano da sempre un suolo aspro coltivato a grano"), ai viaggiatori ("ho messo le gambe nel cuore e le ho portate via"), a chi crede nell'amore ("avrei mai potuto amare una ragazza che almeno una volta nella vita non avesse sognato d'essere Amelie Poulain?") e a chi crede nella democrazia e ne ha abbastanza di quella ciurma da tribunale che ha tra le mani le sorti del mondo ("per la gloria dei moderni dittatori scorre il sangue di un popolo sovrano")… cioè alle persone. Sì, alle persone, gli individui dotati di una personalità propria, non costruita da chi li vorrebbe controllare, non artefatta, persone che badano al sodo e non alla superficialità ("la gente sta chiusa in casa a guardare la tv e non parla più").
Registrato nel corso di quindici mesi in vari studi sparsi tra le province di Roma, Viterbo, Perugia, L'Aquila e Bologna, il suono mostra una coesione fuori dall'ordinario, nonostante i diversi generi abbracciati: reggae, blues, jazz, folk, dub, rock, punk, Balcani, Francia, Messico… detto in due parole: tradizione e modernità. In una sola: Patchanka!


(da www.bielle.org del 31 LUGLIO 2008)

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GRAZIANO ROMANI

BETWEEN TRAINS
(FREEDOM RAIN RECORDS) 2008

Ascoltare dischi come Between Trains di Graziano Romani fa bene all'anima, quell'anima che ogni rocker si porta dentro.
A distanza di sette anni dal favoloso Soul Crusader, il rocker emiliano ci presenta un altro disco di cover; ma se là era il solo Bruce Springsteen l'artista da omaggiare, qui ne troviamo tredici, tredici come le canzoni proposte, costante dei suoi dischi di questo terzo millennio.
Dopo la fine dell'esperienza con i Rocking Chairs e la conseguente pubblicazione di Adios, primo dei suoi dischi cantati in italiano, nella seconda metà degli anni novanta aveva già messo in cantiere (con i Megajam 5 e i Souldrivers) progetti simili, ma i risultati ottenuti con Between Trains superano di gran lunga quelli già lusinghieri ottenuti allora.
Perché in questi anni Graziano è cresciuto, ha ritrovato coraggio e confidenza nello scrivere canzoni di suo pugno, ed ha inanellato una serie di albums a dir poco strepitosa, giunta al suo culmine con Painting Over Rust nel 2006 e Tre Colori l'anno successivo, dove "riportando tutto a casa", tornava a cantare in italiano; ma forse sentiva ancora il bisogno di guardarsi un pochino indietro, e di regalarsi / regalarci questa "lucky thirteen".
Il bello è che sembra un disco suo, tale è la coesione dei brani scelti, nonostante le registrazioni abbraccino un lungo arco di tempo (2000-2008, comunque tutte ri-mixate) e le canzoni appartengano a ben cinque diverse decadi. Le incisioni più vecchie sono Real World (rieccolo, il Boss) e una grande versione di Wichita Lineman di Jimmy Webb, che arrivano dall'inedito album dei Souldrivers
Mettere in fila una simile serie di artisti non è impresa facile per nessuno, ma Graziano è il miglior cantante italiano in assoluto e con la sua voce sempre in bilico tra rock e soul, riesce ad equilibrare tra loro songs dalle più diverse estrazioni. Brand New Day (Van Morrison) e Don't Fall Apart On Me Tonight (Bob Dylan) su tutte, ma pregevolissime risultano cover inusuali (soprattutto per una voce maschile) quali Last Chance Lost (Joni Mitchell) e The Living End (Judee Sill), come pure Sound Of Free di Dennis Wilson, all'epoca uscita solo su 45 giri. Sicuramente più conosciute sono Mutineer di Warren Zevon (gran bella versione!) e White Shadow di Peter Gabriel. Di rilievo la personale interpretazione che Romani dà di Struggling Man di Jimmy Cliff e Between Trains di Robbie Robertson. Completano il lotto Genesis Hall (a firma Richard Thompson, periodo Fairport Convention) e Grace Darling (dalla penna di Dave Cousins, Strawbs).
Apprezzato da artisti del calibro di Elliott Murphy e Dirk Hamilton, seguito dai fedeli Spiriti Liberi (paragonabili ai Deadheads dei Grateful Dead, ai Parrotheads di Jimmy Buffett, ai Rusties di Neil Young), Graziano Romani aggiunge un altro tassello prezioso alla sua discografia; peccato solo che farsi notare in questo intasato mercato discografico sia difficile come riuscire a fare una corsa sull'amata, ma ormai altrettanto intasata, Via Emilia.
Voto: 7,5


(da www.rootshighway.it del 12 settembre 2008 e www.grazianoromani.it)

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GRAZIANO ROMANI


CONFESSIONS BOULEVARD
(FREEDOM RAIN RECORDS) 2006

Dopo l'ascolto di Confessions Boulevard una cosa è subito chiara: è il miglior disco di Graziano Romani. Dal soul al rock, alle ballate, Graziano pesca a piene mani nei suoi ricordi e nei suoi sentimenti, e ci regala tredici canzoni che ci terranno compagnia a lungo.
L'inizio (affidato alla title-track) è un torrido rock'n'roll come quelli che tanti anni fa ci insegnava Bob Seger, mentre con Last Moonshine siamo a uno dei capolavori del disco: poche note di chitarra e poi la canzone entra nel vivo, con un'armonica che per tutto il brano si inserisce a tenere alta la tensione, tensione che solo verso la fine sembra spegnersi per andare finalmente verso l'ultimo chiaro di luna.
Come In From The Rain è il primo dei due duetti con Dirk Hamilton e la prima di tre canzoni ripescate da un baule con l'etichetta Souldrivers e rispolverate alla grande. Il duetto in questione è riuscitissimo, e splendido è il finale con le due voci a rincorrersi.
E, se Magdalena's Smile è il singolo perfetto, con reminiscenze vanmorrisoniane e una parte che i fans potranno cantare durante i concerti, la nuova versione di Made Of Gold (l'altro duetto con Hamilton) ha tratto grande giovamento dal nuovo arrangiamento: se ai tempi dei Souldrivers procedeva in modo poco fluido, qui trova la sua versione definitiva. Probabilmente il tutto è dovuto al fatto che Romani da anni si avvale degli stessi musicisti ("Tede" Tedeschini alle chitarre, Max Ori al basso, Pat Bonan alla batteria e "Grizzly" Marmiroli al sax) e l'ingresso in pianta stabile di Chris Gianfranceschi (piano, organo, tastiere) è stato assorbito benissimo, senza influire sulla compattezza della band.
L'esempio è Won't Give Up On You dove sono il piano e poi il sax a dare il via a questa ballata che parla (confessa…) di un amore che non può finire, non mentre si è davanti al Barricada Cafè a guardare la luna.
C'è lo spazio anche per un regalo ai fans di vecchia data, quelli che seguono Graziano dai tempi dei Rocking Chairs: Undercover Lovers è rock'n'roll, e il protagonista non può che essere Max "Grizzly" Marmiroli.
Sun Going Down (inizio per sola chitarra, poi entrano voce e piano, solo in un secondo momento tutti gli altri strumenti) è una riflessione (un'altra confessione) davanti al sole che se ne va, tra ricordi belli, ricordi brutti, e davanti una strada che appare ancora confusa, ma comunque da percorrere. Il ritornello è uno dei più belli di tutto l'album.
Arriva dal periodo Souldrivers anche Turning Another Page, mentre Bittersweet Feeling è un duetto in salsa funky con Brando, ma non è finita, perché The Most Crucial Enemy è il top del disco: un inizio che sembra uscire da una canzone del Neil Young di After The Gold Rush, poi Chris Gianfraceschi prende per mano la band e tutti insieme accompagnano il leader. È ancora un momento di riflessione, il tono si fa amaro, nella scoperta, nell'ammissione, che il nostro più grande nemico ce lo portiamo dentro e siamo noi stessi.
Dolcezza, voglia di credere ancora nell'amore e anche un po' di sollievo si intravedono finalmente verso la fine dei racconti, in Long Walk Home; ma se per il momento la strada di casa è ancora lunga e si rimane in Confessions Boulevard (con la reprise solo piano e voce della title-track), ci viene il dubbio che Viale delle Confessioni non sia una strada dritta, nemmeno un cerchio….. che sia a forma di cuore?

(da www.highwayofdiamonds.135.it)

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EILEEN ROSE & THE HOLY WRECK

LIVE AT LONGVIEW
(AUTOPRODOTTO) 2008

Live at Longview, disco semi-ufficiale dalla bellissima, seppur scarna, confezione della cantautrice di Boston, contiene inediti mischiati a pezzi ripescati dal passato, suonati dal vivo nel giugno 2008 alla Longview Farm, studio di registrazione sito in North Brookfield, Massachussetts. Di non semplice reperibilità (o ai suoi concerti o tramite il suo sito web) queste nove canzoni sono quanto di più eccitante il sottoscritto abbia ascoltato di recente. Nella confezione deluxe del recente At Our Tables, ci sono in regalo altre sette canzoni incise nel medesimo sistema.
Si parte affidandosi al riff che già Neil Young rubò agli Stones per la sua Mister Soul: Trying To Lose You si svolge poi mantenendosi in equilibrio amabilmente tra rock e pop, intento che riesce anche nella seguente Judas, giocata tra piano e chitarre jingle jangle niente male. Eileen Rose è accompagnata dal nashvilliano Rich Gilbert alle chitarre e dalla sezione ritmica formata dal bassista Nicky Ward e dal batterista James Murray. La ruvida All These Pretty Things alza il tiro, poi arriva Comfort Me, unico momento di dolcezza del disco. Il country di Why Am I Awake? ci trasporta in una scalcinata sagra paesana, mentre con la successiva Wheels Going By ci si sposta sulle Appalachi Mountains. Shining vive di continui cambi di ritmo, che comunque rimane teso fino a sfociare in un ruvido rock-bues. Più solare musicalmente è la rockeggiante Simple Touch Of The Hand, con un intermezzo di armonica molto dylaniano. New Penny è sporca come lo era il pavimento dei cessi del CBGB's, ed effettivamente sembra di essere catapultati nella New York della seconda metà dei seventies. Ottima raccolta di canzoni, suonate in modo semplice e diretto, senza fronzoli, che vanno dritti al centro del bersaglio… o leggermente più a sinistra, al cuore.
Voto 7,5


(da www.rootshighway.it dell'ottobre 2008)

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CALVIN RUSSELL

DAWG EAT DAWG
(XIII BIS RECORDS) 2009

Ammetto che mi sono avvicinato a questo disco con un po’ di timore, perchè il precedente Unrepentant di due anni fa, edito dalla stessa Label francese, mi aveva deluso parecchio per la sua mancanza di idee a dir poco imbarazzante.
Ma la buona notizia è che Calvin Russell si è ripreso e Dawg Eat Dawg (notare l’assonanza con il capolavoro Dog Eat Dog) è un buon disco!
Attorniato da un manipolo di misicisti francesi tra i quali spicca Manu Lanvin, chitarrista e co-autore di buona parte delle canzoni, Russell ha registrato il nuovo lavoro tra Parigi e Marrakech.
Inizio rock-blues deciso con Like A Revolution, poi subito uno dei brani migliori dell’album: la ballata 5 Mètres Carrés, ambientata in carcere e cantata in francese. Halloween è dura, molto personale (“Just let me tell my story, Let me give my reason why…”); To You My Love, già a partire dal titolo, è decisamente più dolce (“I saw your face, And I surrendered…”). Una canzone dal titolo Texas Blues Again non ha bisogno di presentazioni, come d’altra parte Sweetest Tenderness; con Rolling Wheel si torna su sonorità più dure, mentre Gangster Of Love appartiene a Johnny Guitar Watson ed è l’unica cover: è un altro blues, stavolta dalle parti di Chicago. Are You Waiting è sicuramente già sentita, mentre la title-track piacerebbe sicuramente agli AC/DC…
Chiudono il disco il blues acustico Too Old To Grow Up Now, anche questa dal testo personale (e infatti composta in solitudine come già Halloween) e la riproposizione di 5 Mètres Carrés, stavolta in duetto con il co-autore Lanvin.
Insomma un buon modo di festeggiare i 20 anni di carriera (tanti ne sono passati dall’esordio con The Characters). Pur senza aver mai raggiunto i livelli compositivi di Townes Van Zandt o di Guy Clark, Russell fa parte di quella schiera di texani (Blaze Foley, Rich Minus, Jubal Clark) che, perdenti o no, hanno saputo trovare spesso la strada polverosa che porta ai nostri cuori.
Voto 6,5

(da www.rootshighway.it dell'ottobre 2009)

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CALVIN RUSSELL

UNREPENTANT
(XIII BIS RECORDS) 2007

Edito sul finire dell'anno passato da una piccola label parigina, uscito praticamente solo in Francia in concomitanza con un tour in quel Paese, Unrepentant è il disco meno riuscito di Calvin Russell.
Peccato, perché il texano dalle mille (e forse anche più!) rughe, dopo una decade di lavori in studio altalenanti come Calvin Russell (1997), Sam (1999) e Rebel Radio (2001), dopo il live Crossroads (2000) e la bella raccolta (2004, con dvd) A Man In Full, nel 2005 sembrava aver imboccato di nuovo la strada giusta con In Spite Of It All, un album che non lo riportava ai livelli qualitativi dei primi anni di carriera, ma accostabile all'ottimo Dream Of The Dog di dieci anni prima. Con Unrepentant si fa qualche passo indietro: sembra fatto in fretta, come se dovesse essere pronto per essere venduto durante le date in Francia, uno dei mercati più ricettivi nei confronti della musica di Calvin Russell.
Dieci brani autografi (una novità) e backing-band composta da Gabriel Rhodes alla chitarra e dalla solida base ritmica del batterista John Gardner e del bassista Jon Blondell: si parte con il rockaccio live senza pretese di Are You Ready per poi proseguire con l'urlo di Free In Freedom (song aperta da un violoncello, Brian Standefer, altra novità) con ospite ai cori L. Z. Love; si va dal blues di Don't Want To Go To Heaven alla notturna Midnite Man, una delle canzoni più riuscite. When You Smile e Why I Love Her sono due canzoni d'amore, tesa la prima, rockata la seconda. Il sax di John Mills e il piano e le tastiere di Mike Thompson sono in evidenza in The More I Know. Me And You è una ballatona delle sue, Different People torna al rock. Petit Gars è cantata in francese, altra novità, ma che ci dà da pensare sulle reali intenzioni di questo disco.
Alcuni testi sono interessanti e graffianti, ma si sente la mancanza di un produttore che lo consigli e lo diriga.
Aspettiamo prove ben più ispirate da Calvin Russell, lui è uno dei nostri.
Voto 5


(da www.rootshighway.it dell'agosto 2008)

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SIMONA SALIS


CHISTIONADA DE MEI
(UPR FOLKROCK - EDEL) 2006

Con Chistionada De Mei arriva l'esordio discografico di Simona Salis, giovane cagliaritana che ha scelto la lingua campidanese per testimoniare l'attaccamento alla sua terra, così come ci racconta nella title-track (Parla Di Me).
È un disco (purtroppo breve, solo 33 minuti) che, per parafrasarne il titolo, farà parlare a lungo: colorato, speziato, intenso ed emozionante. Pur essendo un'opera prima, la maturità di questo lavoro è evidente e occorre dare il giusto merito al produttore Ivan Ciccarelli e ai musicisti Mark Harris, Santi e Carmelo Isgrò, Massimo Germini, Stefano Bandoni, Saverio Porcello, Mauro Settegrani, Enrico Guerzoni, Phil Drummy, per essersi calati perfettamente nella parte: professionisti che non si sono affidati solo alla tecnica, ma che hanno messo il cuore in queste composizioni.
È un disco difficilmente catalogabile, ma dopotutto (parola di Duke Ellington) esistono solo due tipi di musica: quella buona e quella non buona. È acustico, solare, fresco come la carezza della brezza in una serata estiva, ti scalda come il fuoco di un camino durante i giorni di pioggia e di nebbia.
Si parla d'amore in Ita Ti Potzu Nai (Cosa Ti Posso Dire) e Su Chi Mi Praxiri (Quello Che Mi Piace); Sorri Mia (Mia Sorella) è l'ennesima dimostrazione di quanto siano importanti i sentimenti e la famiglia.
Paragonata di volta in volta a Norah Jones o a Ginevra Di Marco, Simona Salis è "semplicemente" Simona Salis: una nuova piccola-grande Autrice dotata di una splendida voce e di un'ottima vena compositrice (tutti i pezzi sono suoi) e l'esempio perfetto potrebbe essere Canticu De Su Prexiu (Cantico Della Gioia) che narra di un lungo viaggio attraverso mille esperienze per poi accorgersi che la felicità la si può cogliere semplicemente assaporando il passare dei giorni. Oppure S'Omini (L'Uomo), che altro non è che la descrizione della chiusura sia a livello fisico che psicologico dell'uomo occidentale.
È un album intimo, che mischia in modo originale suoni etnici, cantautorato, folk.
Con i colori dell'autunno e dell'inverno sono Calat Sa Nii (Scende La Neve), ispirata dal libro Neve di Maxence Fermine, e Mes'e' Idas" (Dicembre); Su Gherreri (Il Guerriero) tratta della necessità di esplodere in un grido che possa essere liberatorio per vincere un dolore interiore.
S'Arriu De Su Coru (Il Fiume Del Cuore), posta al termine del disco, è uno dei pezzi più belli: un pescatore che viaggia nel fiume del cuore con la speranza di arrivare al mare.
Dopo varie esperienze anche all'estero Simona Salis è ripartita dalle sue radici e già al primo colpo ci regala un piccolo capolavoro.

(da www.bielle.org del 16 agosto 2006)

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ELISA SANDRINI


... COME UN TIC-TAC
(AUTOPRODOTTO) 2018

Elisa Sandrini arriva all'esordio discografico con …COME UN TIC-TAC.
Pianista diplomata al Conservatorio Boito di Parma, ma ha anche studiato flauto e fisarmonica, è comunque con il canto che estrinseca la sua naturale e contagiosa energia, e che riesce a condividere le proprie emozioni con il pubblico, ora con un sussurro, ora con voce prorompente.

Ad accomunare le nove canzoni di questo primo album sono le riflessioni sullo scorrere del tempo, sulla frenesia di questi tempi moderni che, pur fra tanti impulsi e stimoli, può davvero stordire e far sentire inadeguate le persone più sensibili, più passionali.
E sicuramente, per avere la possibilità di curiosare, apprezzare, crescere e creare, bisognerebbe che il tempo scorresse più lentamente, più dolcemente.

Nove canzoni tenere, delicate, con i personaggi che vengono descritti spesso come fossero in un limbo tra realtà e sogno. Personaggi talvolta inquieti, sovente in conflitto (con le proprie paure, con il proprio io, con la società), cercano rifugio nel non-reale, non come scappatoia, ma per trovarvi all'interno la forza di affrontare la vita di tutti i giorni; vita di tutti i giorni che significa sì brutture e storture, ma anche amore, gioia, speranza.

Di tutti i suoi amori musicali, da Joni Mitchell a Janis Joplin, da Etta James a Bjork, in questo debutto pare uscire preponderante l'influenza di Tori Amos.
Viaggiando attraverso i trenta minuti di … COME UN TIC-TAC, ci si ritrova piacevolmente sprofondati in un territorio dove i ritmi pop vengono appena lambiti da suoni classici, e uno stupefacente susseguirsi di ballate ti arriva dritto al cuore.
Potere di aperture melodiche semplici. Potere dell'essenza della forma canzone. Ti sembra quasi di vedere questa giovane cantante ed autrice mentre fa nascere, da sola al pianoforte, i propri brani, curvando le parole, costruendo una canzone così come si costruisce un amore. E poi, stremata eppure eccitata per il risultato ottenuto, portare le proprie creazioni al Noise Studio, e alla band formata da Tom Pea a chitarra e basso, Leonardo Cavalca alla batteria, Leonardo Barbieri alla chitarra, Salvatore Iaia al violoncello e Anna Maria Nagy al violino.

"Il presente è tutto ciò che abbiamo per costruire il futuro che desideriamo. Oggi questo presente è molto sfuggevole e non si ha mai tempo di assaporarlo e sentirlo vivo. Il passato è solo un ricordo che ci è servito per crescere e trasformarci in ciò che siamo oggi. Il futuro un sogno e un desiderio di miglioramento e realizzazione", parole (e musica) di Elisa Sandrini.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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SATANTANGO

DOWNHILL (VINZA) 2002

Anna Poiani e i suoi quattro pazzi compagni d'avventura si sono riuniti ad un polveroso e triste crossroad. E ora non importa che tu sia seduto in riva ad un fiume fangoso o stia camminano sul ciglio della strada, perchè è il primo minuto del nuovo giorno e sui marciapiedi lerci escono i protagonisti della notte: santi, peccatori, bastardi, di fuori e di dentro, per nascita o per scelta, perdenti, puttane. Le luci sono quelle dei lampioni, la musica è il blues. Non è il blues di Chicago, non è quello che sguazza nelle putride paludi della Luisiana, è piuttosto il blues come lo canterebbe Patti Smith, ed è la notte come la canterebbe Tom Waits.
Mentre in una bettola qualsiasi del Paradiso, Stiv Livraghi compone poesie che gli angeli cercano di mettere in musica, quaggiù ci pensano i Satantango a colorarne di blu i testi.
I personaggi delle canzoni, pazzi, innamorati, disillusi, randagi, disadattati, possono lasciarsi attrarre dalle luci festanti del luna-park, ma è solo un attimo, poi si ritirano nella sicurezza che dà loro l'oscurità, e rimangono lì, senza risposte, e senza domande; sembrano tutti appartenere ad una novella Corte dei Miracoli, e non è un caso che il sogno da realizzare, la speranza di una vita nuova, sia Parigi. In attesa di un Dio, un Dio qualsiasi, magari anche un medicine man, che azzeri il cronometro della vita.

(da www.blackdiamondbay.it e www.satantango.it)

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COLIN SCOT


COLIN SCOT
(ECLECTIC DISCS - AUDIOGLOBE) 2006 (1971)

Colin Scot non ha avuto il piacere di vedere il suo primo, omonimo, album solista ristampato in compact disc perché ci ha lasciati nel 1999.
Come ogni musicista inglese si trovava a fare i conti con i Beatles, ma non disdegnava certo il rock'n'roll, e apprezzava "la tintinnante musica del cielo del west", come la chiamava Jimi Hendrix.
Con la sua voce malinconica, aveva approntato questo disco in bilico tra folk e cantautorato, che la United Artists si era affrettata a pubblicare contando sul fatto che, oltre all'intrinseca bellezza delle composizioni, si potevano vantare ospiti illustri come Robert Fripp, Peter Gabriel, Phil Collins, Peter Hammill, Rick Wackeman, Jon Anderson…
In due parole, la crema della scena britannica progressive e rock di quel periodo ha partecipato a questo disco che ancora adesso, a distanza di tanti anni, suona tutt'altro che datato. La ristampa della Eclectic ci permette di ascoltare questi quindici brani (sono state aggiunte alcune bonus-tracks) costruiti in modo semplice sugli arpeggi della Gibson di Colin Scot.
Non solo Beatles, come si diceva, tra le influenze (si ascolti My Rain), ma anche il tipico suono west-coast in stile Crosby, Stills, Nash & Young (Nite People); un altro accostamento potrebbe essere Cat Stevens (Hey! Sandy). Del resto, il nostro, nel suo girovagare per pub, alternava i suoi pezzi a numerose cover.
Lungamente attesa dai fans, che magari nel lontano 1971 avevano criticato la presenza dei fin troppo numerosi special guests ritenendoli, a torto o a ragione, ingombranti, questa ristampa viene ora finalmente a mitigare il dolore per la scomparsa di questo cantautore inglese, che sicuramente preferiva un buon bicchiere alle celebrazioni. Però vuoi mettere, ogni tanto, risorgere?


(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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LUCA SERIO BERTOLINI


MANCA LA POLVERE DA SPARO
(AUTOPRODOTTO) 2006

Dopo la decennale esperienza con i Jaele e dopo aver dato alle stampe (in pochissime copie) il mini-cd LSB, il reggiano Luca Serio Bertolini giunge finalmente al primo album. Registrato al Sex Blues Studio, "Manca La Polvere Da Sparo" è un perfetto esordio in stile "cantautorato folk-rock". Qua e là emergono echi dal quadrilatero Bubola-Bertoli-Capossela-Guccini , ma le canzoni sono toste e quello che manca è solo un accurato lavoro di produzione. Delle sette canzoni di LSB son rimaste fuori solamente Bisogna Salvar Tutti e La Prima Vita, le altre son tutte qui. Le acustiche "Le solite cose" e "S.O.S." aprono i giochi, con Luca in completa solitudine (è lui che suona chitarre e percussioni e che si occupa dei cori). In "L'amore non vale" entra in scena la band: la sezione ritmica ("Jambo" Iori al basso e Leo Torricelli alla batteria) accompagna le chitarre twang, fino all'ingresso del sax di Luigi Del Villano, per un tango molto particolare. "Manca la polvere da sparo" è una splendida canzone no-war: su di un acustico ritmo ipnotico gioca splendidamente il piano di Andrea Fontanesi, poi entra la batteria di Matteo Cecchi e l'atmosfera si fa incandescente. "Vien da Est" si avvale dell'armonica di Massimo Castagnetti e mantiene alta la tensione. "La danza della terra" è il ritorno alla semplicità con Luca Serio Bertolini che canta accompagnandosi solo con chitarre e percussioni. La country-irish-folk "Lo zio Piero" vede il ritorno della band, mentre in "Lunga vita al Re" si torna ad atmosfere acustiche, seppur tenendo alto il ritmo, come nella successiva reggaeggiante "Ubriaco di pace". Il sax di Del Villano torna per la filastrocca di "C'era una volta". La dolce "Fin quando vorrai" è aperta dal piano di Fontanesi che dialoga con la chitarra di Luca. Siamo all'ultimo brano, "Riassunto", con Serio Bertolini solo voce e chitarra. Voce matura e sicura, un'ottima vena compositiva, una buona band alle spalle (dal vivo la batteria è suonata da Vittoria Pezzoni e c'è anche Alessio Berrè al violino) Luca Serio Bertolini è un nome da tenere d'occhio per il futuro.

(www.picturesfromrock-west.it e www.bielle.org del novembre 2008)

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EMMANUELLE SIGAL


TABLE RASE
(BRUTTURE MODERNE) 2017

"Let them talk, those who will never understand the difference between the s of stupidiy and the s of sensitivity"

Nel 2015, portando alla luce dieci pezzi nascosti nel suo "sottosuolo" personale, Emmanuelle Sigal ci aveva piacevolmente sorpresi: l'esordio di SONGS FROM THE UNDERGROUND (titolo ispirato dal romanzo di Fëdor Dostoevskij "Memorie dal sottosuolo"), appunto, vedeva la cantante e autrice franco-israeliana, ma ormai anche un poco italiana, avvalersi della collaborazione dei Sacri Cuori. Ne era scaturito un disco brillante, trascinato da "Blues Train", dal dialogo con Bukowski di "My Ass Between Two Chairs" e da quel capolavoro che è "Refugee".
In rete si legge di paragoni con Mary Margaret O'Hara, Les Negresses Vertes, Sade, Lana Del Rey, Anna Calvi, Françoise Hardy; io aggiungerei Lhasa e Norah Jones.
Tutto questo può dare un'idea di ciò che si può ascoltare nelle nove canzoni raccolte nel nuovo lavoro.

A due anni di distanza, TABLE RASE mostra una crescita notevole.
Canzone d'autore, blues, jazz, musica popolare, swing, i ritmi caraibici di "Clean Me Rain", l'avventura nel country di "Bless", il valzer di "Laisse Les Parler", cantando ora in inglese, ora in francese, con voce sensuale e con una sbarazzina leggerezza per niente frivola.

I musicisti coinvolti, Francesco Giampaoli, qui in veste anche di produttore, al basso e alle tastiere, Marco Bovi a chitarre e mandolino, Diego Sapignoli a batteria e percussioni, Enrico Farnedi a tromba, trombone e mellotron, l'ospite speciale Marc Ribot alle chitarre, con incredibile bravura infarciscono il tutto di ottime idee musicali (valga su tutte il velato, ma non troppo, omaggio a Ennio Morricone di "Never Give Jam To Pigs"), unendo in modo unico generi e stili musicali così diversi tra loro. Una grande band. Non è un caso che questi ragazzi vantino collaborazioni con Hugo Race, David Hidalgo dei Los Lobos, John Convertino dei Calexico, Howe Gelb, Massimiliano Larocca, Dan Stuart dei Green On Red, M Ward, e una miriade di altri personaggi, noti e meno noti.
"Table Rase", "Rien Qu'Des Yeux Pour Toi", "Small Talk", con ritmo serrato, completano il lotto delle composizioni insieme alla cover della waitsiana "Telephone Call From Istambul" e alla strumentale "Non Lo So".

Emmanuelle Sigal mostra personalità, carattere, spigliatezza e ironia. Le sue canzoni sono ricche di volti, narrano storie, spesso brutte e per niente edificanti, ma le musiche sono disinvolte e profumano di colori e di allegria, come se una volta in studio (e poi su un palco), collassassero storture, malumori, oscure ombre e piccole e grandi incertezze, e si liberasse invece la gioia derivante dalla consapevolezza che la Musica è una delle rare cose in grado di illuminare repentinamente i nostri sogni, che siano fatti di notte o che siano fatti di giorno.

"Catching a train is cool… catching the right train is better"

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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SPANISH JOHNNY


JOKERJOHNNY.II
(AUTOPRODOTTO) 2007

Gli Spanish Johnny (nome "trovato" in una canzone di Springsteen e titolo di una poesia di Willa Sibert Cather dei primi del '900) invece di stare inutilmente a discutere se il rock ha senso solo se cantato in inglese oppure no, a distanza di pochi mesi dal primo capitolo ci offrono Jokerjohnny.II, anche questo "rigorosamente" metà in italiano e metà in english.
"Non penso che si possa rinunciare a sostenere cose nelle quali ognuno di noi crede", canta ad un certo punto (in "Io personalmente") Alessandro Ducoli (alias Cletus "Jokerdog" Cobb), come non essere d'accordo?
Il disco inizia con "Born in the U.S.A." di Bruce Springsteen; gli Spanish Johnny (Paolo Panteghini - Santiago "Ugly Boots" Lobo e Tommaso Vezzoli - Blue Dakota alle chitarre, James Gelfi - James "Suspicius Mind" O'Presley alla batteria, Tommy Fusco - Geremiah "God Save The Queens" Smith al basso e, Enrico Vezzoli - Henry Dakota a fisarmonica e tastiere) ne fanno una cover irriverente: dura, sporca, quasi punk.
"La mia cellula di guardia" ci riporta alle atmosfere polverose del primo disco: la strada da affrontare, sempre irta di pericoli, di "santi dell'asfalto" che ci lasciano in balìa di traditori e demoni; Ducoli canta con voce filtrata, mentre la splendida voce di Veronica Sbergia (o meglio Bonnie "Bon bon" Baker) ci ricorda la pinkfloydiana The Great Gig In The Sky. "Just keeping" è esattamente a metà strada tra Tom Waits e Chuck E. Weiss, "Morrison's ladies" è un rock'n'roll notturno che mischia serpenti, autostrade, stanze di motel con donne compiacenti. "Wrong idea" si mantiene su atmosfere alla Chuck E. Weiss. "Rino" è una dedica speciale a Rino Gaetano in chiave dapprima folk-acustica che si fa via via più rockeggiante. La guerra fa capolino nella ballata "Natale 1890". "La tua rivoluzione" è introdotta dall'armonica; un'altra canzone sul fatto che non si può mai abbassare la guardia, perché "…i ladri li trovi nascosti ma escono sempre per dare risposte più giuste…". L'amara "Assenza di tempo" e la pianistica "R'n'r funeral" (ancora Veronica Sbergia in evidenza) chiudono il disco.
Fanno parte della partita anche Beppe Donadio - Buddy Allen al piano, Paolo Mazzardi - Erman Lebowsky all'hammond, Alessandra Cecala - Alejandra Cicalito al contrabbasso, Zeno De Rossi - Zevulon Bercovitz alla batteria e Mauro Ottolini - Ibrahim Hotolinko, tuba.
Se siete in grado di tradurre la frasi poste in fondo alla confezione ("only r'n'r' can save our life") o in chiusura di disco ("r'n'r' can never die") sappiate che, prendendo atto della vericidità di quelle affermazioni, vi saranno sempre sufficienti canzoni con due chitarre, un basso e una batteria (con la saltuaria aggiunta di una fisarmonica e di un'armonica a bocca, giusto per ricordarci delle nostre origini) per sentirvi vivi e con la voglia di comunicare emozioni a chi vi sta vicino. Altro che isolarsi con un ipod qualsiasi. Hoka Hey!

(da www.rootshighway.it del 25 aprile 2007 e www.spanishjohnny.it)

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SPANISH JOHNNY


JOKERJOHNNY.I
(AUTOPRODOTTO) 2006

Rock'n'roll!!! È possibile in soli 28 minuti dichiarare con forza che a tutt'oggi il rock non è ancora morto? La risposta è sì, visto che c'è qualcuno che da anni va in giro addirittura a dire che il rock'n'roll non morirà mai…
Sicuramente è d'accordo Alessandro Ducoli, che scrive, arrangia e produce (con l'aiuto di Andrea Bellicini) questo esordio degli Spanish Johnny.
"Rubato" il nome al personaggio protagonista di una vecchia canzone di Springsteen (Incident On 57th Street), ma anche di una poesia dei primi del '900 di Willa Sibert Cather, spogliati i panni di cover-band, Ducoli (alias Cletus "Jokerdog" Cobb, voce, chitarra acustica e armonica) e i suoi pards si presentano con cinque pezzi nuovi, una cover, una sorpresa.
Rock americano, con chitarre a tutta, influenze Paisley Underground, lo stesso Boss, ma anche Neil Young in versione Crazy Horse, i Pearl Jam, l'amore per le atmosfere western.
Inizio al fulmicotone con Spanish Johnny, il classico eroe di strada, e "un angelo vestito in una goccia di profumo". Le chitarre elettriche sono nelle mani di Paolo Panteghini - Santiago "Ugly Boots" Lobo e Tommaso Vezzoli - Blue Dakota; alla batteria James Gelfi (alias James "Suspicius Mind" O'Presley), al basso Tommy Fusco (Geremiah "God Save The Queens" Smith).
Zabulon prosegue sulla stessa falsariga, ma cambia lo scenario: non più la strada, non più la città, ma gli spazi aperti, le colline, un indiano che non vuole diventare… metropolitano.
Ancora grandi spazi in Tombstone. Qui le atmosfere si addolciscono, entrano piano e fisarmonica (Enrico Vezzoli - Henry Dakota): splendida ballata.
Il quarto pezzo in scaletta è Jokerman di Bob Dylan, in una stravolta versione sporcata dagli umori e dai rumori di New Orleans.
Si torna al rock con Demas, anche qui un bel testo, anche se la musica è forse un po' troppo "già sentita".
Sparsi qua e là nelle sette tracce dell'album, ci sono numerosi ospiti dagli improbabili nomi: Bonnie "Bon Bon" Baker (Veronica Sbergia, voce), Erman Lebowsky (Paolo Mazzardi, all'organo Hammond), Buddy Allen (Beppe Donadio, piano e voce), Aaron Van Cleef (mandolino e voce, il già citato Andrea Bellicini). Ma il posto d'onore spetta sicuramente ai Gang, che regalano Figlio, con Marino Severini che ne recita in modo straordinario il testo: "…Figlio sei arrivato ai cancelli del cielo, il sangue scioglierà ancora una volta i tuoi capelli…". Leaving Las Vegas, posta alla fine del disco, è un'altra bella ballata che riprende da Zabulon e Tombstone il tema del volo e dell'aria.
Una considerazione: il rock dovrebbe essere la musica per chi vuole "vivere velocemente", è diventata la musica di chi non vuol farsi prendere dal vortice della vita di oggi, quindi, "se ti capita di avere più tempo, fai un giro dalle parti di Tombstone".

(da www.spanishjohnny.it)

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