Reviews
from Rock - West: albums (M - S)
Mandolin'
Brothers - for real (2000)
Manodopera
- op-là (2006)
Jono
Manson - silver moon (2020)
Guido
Marzorati & The Blugos - journey of hope (2006)
Marvin
- americana (2019)
Maria
McKee - peddlin' dreams (2005)
James
McMurtry - childish things (2005)
Kelley
McRae - never be (2006)
Mé
Pék e Barba - pùtost la bev tòta me (2005)
Miami
& The Groovers - merry go round (2008)
Jon
Nolan - when the summers lasted long (2005)
Tom
Petty - highway companion (2006)
Sarah
Pierce - cowboy's daughter (2008)
Gastone
Pietrucci / La Macina - aedo malinconico ed ardente, fuoco ed
acque di canto (vol. 2) (2006)
Gastone
Pietrucci / La Macina - aedo malinconico ed ardente, fuoco ed
acque di canto (vol. 1) (2002)
Fabrizio
Poggi & Chicken Mambo - mercy (2008)
Fabrizio
Poggi & Chicken Mambo - songs for Angelina (2001)
Fabrizio
Poggi / Francesco Garolfi - the breath of soul (2006)
Fabrizio
Poggi e Turututela - la storia si canta (2006)
Grace
Potter & the Nocturnals - nothing but the water (2006)
PuntinEspansione
- ... una dialettica particolare (2006)
Davide
Ravera - Dr. Dave & Mr. Haze (2008)
Rein
- occidente (2008)
Graziano
Romani - between trains (2008)
Graziano
Romani - Confessions Boulevard (2006)
Eileen
Rose & The Holy Wreck - live at Longview (2008)
Calvin
Russell - dawg eat dawg (2009)
Calvin
Russell - unrepentant (2007)
Simona
Salis - chistionada de mei (2006)
Elisa
Sandrini - ... come un tic-tac (2018)
Satantango
- downhill (2002)
Colin
Scot - Colin Scot (2006)
Luca
Serio Bertolini - manca la polvere da sparo (2006)
Emmanuelle
Sigal - table rase (2017)
Spanish
Johnny - Jokerjohnny.II (2007)
Spanish
Johnny - Jokerjohnny.I (2006)
home reviewshomepage
MANDOLIN'
BROTHERS
FOR REAL
(STUDIOTTANTA - FORTUNA RECORDS) 2000
"Ci abbiamo messo 18 anni per fare questo disco!"
Blues, country, folk e rock mischiati in modo sapiente e con il
cuore da Jimmy Ragazzon e pards. Ragazzon si occupa del canto,
suona l'armonica, scrive testi semplici ed incisivi, mentre le
parti musicali sono divise tra il tastierista-fisarmonicista Stefano
Cattaneo, il chitarrista-mandolinista Bruno De Faveri e il chitarrista
Paolino Canevari, che ha recentemente festeggiato i 25 anni di
attività live. Completano la band Riccardo Fortin al basso
e Daniele Negro, batteria.
Un'ottima roots'n'roll band.
In sessions troviamo anche Maurizio "Gnola", "French"
Scala, Fabio Nicola e le coriste Manuela Salvadeo e Isabella Del
Boccio.
Le canzoni? Su tutte This Time For Real, splendida ballata col
pensiero rivolto al Messico, New York Blues, ispirata da un poema
di Ginsberg, Wind in My Sails, che piacerebbe molto al Boss, a
Tom Petty e a Elliott Murphy, l'altra ottima ballata Can't You
See; ma il livello di tutte le composizioni è decisamente
medio-alto. C'è una cover: Willin'. L'originale rimane
inarrivabile, ma i Mandolin' Bros., allungando la parte strumentale
centrale, ne propongono un'eccellente versione.
VOTO: 7
PERCHE': da queste 13 tracce trasudano la passione e la felicità
di questi sei "ragazzi" nel portare finalmente a compimento
il loro sogno.
(da www.blackdiamondbay.it)
MANODOPERA
OP-LA'
(UPR FOLKROCK) 2006
Secondo album per i veneti
Manodopera, e siamo già vicini al capolavoro!
Quattordici pezzi, tutti giocati sul ritmo della musica popolare,
che sia un tango, che sia musica balcanica, che si vada in America
Latina, oppure in Giamaica: tanta energia, tanto divertimento,
non c'è spazio per la noia.
La strada resta quella tracciata con Terratradita, sempre edito
da UPR Folkrock.
I Manodopera sono Gianluca Nuti (cantante chitarrista, mandolinista,
autore di musiche e testi), Mauro Gatto (batteria, percussioni,
camorra, cori), Fabio Mion (fisarmonica, pianoforte, hammond,
tastiere), Tiziano "Mr. Top" Melchiori (percussioni,
congas, cori), Stefano Andreatta (basso elettrico e contrabbasso),
Mario Vendramini (sax), Mario "Zivas" Cavacece (tromba,
filicorno) e Paolo Berton (trombone); non mancano un'infinità
di ospiti-amici a dare colore e calore alle composizioni.
Le primissime note di L'Eremita ("sa vivere alla grande perché
ha tutto anche se non ha niente") sembrano uscire da un western
di Sergio Leone, ma è un attimo e subito si parte su ritmi
ska. La fisarmonica è la protagonista di La Chambre, poi
arriva Il Circo.
Anita è swing e mambo, piacerebbe a Capossela, mentre forse
Conte preferirebbe La Mosca D'O Bar. La Tammuriata Delle Stagioni
("nel suono della natura c'è tutta la forza dei tuoi
ideali") ricorda Volta La Carta (Faber è sicuramente
tra le fonti d'ispirazione del gruppo); ancora ska per Fudbalerska,
mischiato con sonorità balcaniche. Africa ("respiro
d'Africa, d'ambra e d'argento, etnico è il ritmo di questo
andare lento") non ha bisogno di spiegazioni, così
come il breve strumentale Kingston Prosit. E se La Statua ("da
vivo non ti conviene farti una statua, non porta bene") è
speziata di Messico, El Gæo ci riporta tra i Balcani. Sogno
Blu ha i fiati in evidenza, Agua Natural e Manodopera - Ska Version
ci trasportano ai Carabi.
E proprio nel testo di quest'ultima canzone c'è la filosofia
del gruppo: "la musica popolare che va senza frontiere senza
farsi dominare, unisce come il mare, illumina come il sole, porta
alla gente vitalità e calore".
(da www.bielle.org
del 5 agosto 2006)
JONO MANSON
SILVER MOON
(APPALOOSA RECORDS) 2020
La Villa Real de la Santa
Fe de San Francisco de Asìs è una meravigliosa,
splendida città, posta ad oltre duemila metri sul livello
del mare. Santa Fe, così è nota ai giorni nostri,
è una strana capitale, la più antica capitale statale
degli Stati Uniti, non dotata di aeroporto internazionale e ferrovia.
Questo la rende appetibile, più ancora che dai comunque
numerosi turisti, da chi ha un animo errante e vuole fuggire dal
caos e dalle luci delle capitali della musica che si possono trovare
sulle due coste degli U.S.A., ma anche all'interno, vedi Nashville
o Austin; ed è diventata casa per scrittori, scultori,
fotografi, pittori, attori
Se poi questo qualcuno ha la
fortuna di trovarvi l'amore e anche l'ambiente ideale dove poter
svolgere al meglio il proprio lavoro, ecco che la sua passione
e la sua bravura vengono veicolate magicamente verso un album,
Silver Moon, che è il suo capolavoro.
Jono Manson è l'autore
di tutte le tredici canzoni del disco, da solo o in compagnia,
e del medesimo è anche il produttore. Il suo studio di
registrazione, The Kitchen Sink, sta rapidamente acquistando notorietà,
e non è raro che da quelle parti passino, chi per incidere,
chi magari anche per una chiacchierata, personaggi del calibro
di Terry Allen e Tom Russell. Arrivano anche premi e riconoscimenti,
vedi Land Baby di Lara Manzanares votato quale Best Album ai
New Mexico Music Award.
Dai Kitchen Sink, Jono
Manson parte per le sue scorribande musicali che lo portano dai
locali di Santa Fe a quelli sparsi per gli States. Fino all'amata
Italia: non è un caso che Silver Moon esca per Appaloosa
Records (come al solito in una bellissima confezione con libretto
che riporta i testi sia in inglese che in italiano), così
come non è un caso che fioriscano decine di collaborazioni,
come è successo con i Gang, con i Mandolin' Brothers,
e per non parlare dell'esaltante risultato raggiunto con l'esperienza
Barnetti Bros insieme ad Andrea Parodi, Massimo Bubola e Massimiliano
Larocca.
Silver Moon è l'album
della maturità musicale. Di strada ne ha fatta, Jono,
dai tempi di Joey Miserabile & The Worms, passando attraverso
la partecipazione a The Postman di Kevin Kostner, ammucchiando
dischi e progetti uno sull'altro, suonando centinaia di concerti,
fino all'impegno come presidente della Santa Fe Music Alliance,
per arrivare ai giorni nostri. Qui dentro, in Silver Moon, sono
raccolte tredici storie che affrontano con serenità e sensibilità
temi quali vita, speranza e spiritualità, anche morte ("ma
noi siamo ancora qui!!!", ci tiene sempre a precisare Jono)
dando modo all'ascoltatore di compiere un percorso musicale tra
ballads, rock, blues, soul e americana sulle note della collaborazione.
Sono molti, infatti, gli amici in sala di registrazione, da Warren
Haynes ad Elyza Gilkyson, da "Roscoe" Ambel a Joan Osborne,
dallo stesso Terry Allen a James Maddock, la lista è lunga
ma non si può non citare Jason Crosby strepitoso in tutto
il disco a piano ed organo.
"Se da ben svegli
viviamo come fanno i sognatori, allora chi può dire che
i sogni non possono diventare realtà?"
Grazie Jono, queste tue canzoni culleranno a lungo anche i nostri
sogni, in qualsiasi ora del giorno o della notte vengano fatti.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
GUIDO
MARZORATI & THE BLUGOS
JOURNEY OF HOPE
(VELUT LUNA) 2006
Seconda prova per il veneziano
Guido Marzorati, dopo l'autoprodotto "Live At Home"
che risale all'ormai lontano 1999.
È incredibile come già al secondo lavoro Marzorati
ci offra un disco di notevole maturità, sia per quel che
riguarda le musiche, sia per i testi, con ovviamente il tema del
viaggio in primis, ma sempre con riferimenti a quel che succede
intorno a noi, tra piccoli fatti quotidiani, amore, guerra.
Dicevamo delle musiche: ottimamente supportato dai suoi fantastici
Blugos (contrazione di blues e gospel), Marzorati dichiara il
suo amore per un certo tipo di cantautorato americano in tipico
stile anni settanta, con Jackson Browne su tutti, ma anche Leonard
Cohen, e un pizzico dello Springsteen più intimista.
È quel che si dice rock d'autore.
Pochi i pezzi "duri": il primo è "Complainer's
Disease", su uno dei mali dei nostri giorni, con tante persone,
soprattutto giovani, che affrontano la vita con un'indolenza e
un'apatia che rasentano l'atarassia; proprio il contrario del
protagonista di "Out Of My Skin"; "Keep Beating"
inizia con una chitarra "desertica" per poi aprirsi
in un rock che sarebbe piaciuto molto a Bob Seger.
Ma anche quando il rock'n'roll fa capolino tra un brano e l'altro,
il "rumore" delle chitarre di Marzorati, del basso di
Iliano Vincenzi e della batteria di Andrea Scarpari è comunque
sempre levigato dal pianoforte della fenomenale Elisa Marzorati
che spesso assurge al ruolo di protagonista.
"Journey Of Hope", la title-track, narra del viaggio
di un padre in un Paese straniero alla ricerca del benessere da
offrire al proprio figlio.
"Come To A New Land" e "Virtual Love", seppur
diverse tra loro, sono canzoni che parlano d'amore, mentre "Bloomington
Roots" è il grido disperato di una persona che non
vuole arrendersi mai, a dispetto delle cose brutte che possono
accadere.
È "A little story of war" e in "Song from
the next world" che il riferimento a Cohen diventa evidente.
La conclusiva "What Can I Do?" parte con un'armonica
sbuffante che lascia poi spazio ad un pianoforte da saloon e ai
cori femminili.
"Journey Of Hope" è un disco come non se ne sentivano
da tempo, tutto giocato su un rock stradaiolo rivestito con melodie
allo stesso tempo semplici e affascinanti.
I veneziani sono sempre stati grandi viaggiatori e Guido Marzorati
è partito verso ovest dimostrandoci di aver messo a frutto
le sue esperienze americane (ha suonato in locali storici come
lo Stone Poney): "Journey Of Hope" ne è la summa,
il suo "Il Milione".
(da www.bielle.org
del 4 novembre 2006 e www.guidomarzorati.com)
MARVIN
AMERICANA
(AUTOPRODOTTO) 2019
Il titolo dice già
tutto. È una dichiarazione di intenti. È il girovagare
in lungo e in largo da un angolo allaltro degli States,
geograficamente e musicalmente. È un sogno che diventa
realtà, una realtà che è terreno fertile
per continuare a sognare.
Dallo studio Funklabmusic
del produttore Alberto Benati, sono uscite sette canzoni. Sette
racconti che si poggiano su chitarra, armonica, tastiere, ma soprattutto
sulla calda e profonda voce di Valerio Marvin Melli, nato in quella
Bassa Reggiana che ha tanti rimandi agli U.S.A.: il Po, il grande
fiume associato più volte al Mississippi; la pianura e
la campagna che ci riportano al Mid-west; lafoso caldo estivo
e le zanzare che fanno tanto Sud del Texas; la Via Emilia, vera
e propria Mother Road per tanti italiani.
Love affairs e personaggi
femminili scorrono veloci sul pentagramma di Marvin. Si sente
lurgenza di fermarsi un attimo, ripensare a queste storie
e farle conoscere.
Il dylaniano soffio nellarmonica
apre il disco con il viaggio tra Louisiana, Texas, Arizona e California,
solo un pretesto per voler conoscere il nome della ragazza di
Texarkana, TEXARKANA GIRL. Gli amori si sa, sono difficili, come
nella splendida OUT IN THE WEST oppure finiscono, come nella successiva
SHE AINT COMING HOME. DOWN & BLUE, posta esattamente
in mezzo allalbum, è il capolavoro della raccolta
(Troubles comes and then will pass, Theyre just dirty
waters under your bridges). In RIO GRANDE il protagonista
si affida al fiume per far portare via le lacrime della donna
e (ne sono sicuro) spera che, una volta asciugati gli occhi, lei
(per dirla alla Butch Hancock) gli parli almeno una volta in spagnolo.
YOU OWE SOME KIND OF LOVE, presente anche la batteria, è
gran bel rock di frontiera alla Joe Ely. Si sente la mancanza
di una band in ALABAMA, MISSISSIPPI, ma la canzone regge benissimo
anche così, e chiude alla grande un lavoro ispirato e positivo.
Se vi piacciono Colter
Wall e Ryan Bingham, se tra i vostri miti cè Guy
Clark, questo è lalbum che fa per voi. Scuotete la
polvere dagli stivali e salite sul vostro pick-up, appoggiate
lo Stetson sul sedile a fianco e correte a comprare qualche six-pack
da dividere con gli amici. Americana sarà la colonna sonora
perfetta per la vostra serata.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
MARIA
MC KEE
PEDDLIN' DREAMS (VIEWFINDER RECORDS - COOKING VINYL) 2005
Evviva! Era dai tempi di
You Gotta Sin To Get Saved che Maria Mc Kee non faceva un disco
così bello! Mi sono avvicinato a Peddlin' Dreams con molti
timori, e ho portato il lettore cd alla traccia undici, Barstool
Blues di Neil Young: ebbene, Maria l'ha spogliata di tutta la
sua elettricità, e l'ha trasformata in una stupenda ballata
pianistica. Ecco, le ballate: in tutto il lavoro risalta l'amore
per questa forma di canzone. Si va dall'acquarello folk, ad accenni
country, quasi sempre il tono è sommesso, ma qua e là
compaiono spruzzate di chitarre elettriche; solo spruzzate, si
badi bene, ma l'elettricità l'ex Lone Justice ce l'ha nell'anima,
e questo traspare in tutto il lavoro. La voce, al massimo della
sua espressività, è intensa ed ispirata: ascoltatevi
l'iniziale Season Of The Fair, un pezzo che piacerebbe molto a
Queen Emmylou, ma ottime anche la title-track e Everyone's Got
A Story. Solo sulla finale How Glad I Am si scivola appena, ma
è un peccato veniale. Ben tornata Maria!
(da Jam #117)
JAMES
MC MURTRY
CHILDISH THINGS (COMPADRE RECORDS) 2005
Prendere o lasciare, James
Mc Murtry è fatto così e nulla lo può cambiare.
Anche in Childish Things abbina la sua abilità nello scrivere
ottimi testi a ballate scarne ed elettriche, con la coerenza che
lo contraddistingue ormai da vent'anni.
Qualche piccolo elemento di novità è l'inserimento
di qualche intervento di sax (il figlio Curtis) del trombone (Jon
Blondell) e del contrabbasso (Chris Maresh). Per il resto, grande
spazio agli Heartless Bastards (Daren Hess ai tamburi e Ronnie
Johnson al basso) con l'aggiunta di Tim Holt alle chitarre (che
possiamo considerare il quarto Heartless) e degli amici di lunga
data David Grissom, Joe Ely, Bukka Allen e Randy Garibay Jr. che
supportano qui e lì il leader con la voce o con la chitarra.
L'inizio con See The Elephant è puro Mc Murtry al 100%,
mentre la title track fa da apripista (significativa la frase
finale "non credo al paradiso, ma credo ai fantasmi")
al brano politico più importante del 2005: We Can't Make
It Here. Eccoli qui i fantasmi, gli spettri, le paure, che escono
dai versi della canzone a raccontarci quello che è successo
e quello che sta succedendo. Su un impianto armonico che ricorda
una delle grandi canzoni politiche dei '70 (Ohio di Neil Young),
prendono forma immagini di veterani alla fame, fabbriche non più
in grado di dare lavoro, mentre i politici e ricchi che pagano
sempre meno tasse attraversano strade piene di immondizia, al
sicuro nelle loro limousine. Il duetto con Joe Ely (Slew Foot)
allenta un poco la tensione, e subito dopo arrivano gli assoli
di Grissom in Bad Enough e Restless, per replicare poi in Pocatello,
stupendamente rock'n'roll. A contendersi con Pocatello la palma
di miglior canzone del disco, ci sono Memorial Day e Charlemagne's
Home Town (qui con Allen alla fisa), ma come sempre accade con
Mc Murtry, il cd va gustato nella sua interezza, e non ci sono
momenti di stanca, come dimostrano Six Year Drought, Old Part
Of Town e la conclusiva Holiday.
Io ho deciso, sto dalla sua parte, voi potete ancora scegliere:
prendere o lasciare, questo è James Mc Murtry.
(da www.blackdiamondbay.it)
KELLEY
MC RAE
NEVER BE
(SONA BLAST! RECORDS) 2006
Dipinti con i colori del
folk, del country, del blues e del gospel, questi undici quadretti
che compongono Never Be, ci fanno conoscere Kelley Mc Rae, originaria
del Mississippi, trapiantata a Brooklin, con un nome consolidato
in locali della scena live newyorkese come The Knitting Factory,
Pete's Candy Store, Arlene's Grocery e The Rockwood Music Hall.
Nelle sue canzoni (Time, Johhny Cash, Nothin' To Lose e Break
Us su tutte), ritroviamo l'anima di Patsy Cline e il cuore di
Lucinda Williams, la raffinatezza di Patty Griffin e la freschezza
di Kasey Chambers.
Prodotto da J.D. Foster (anche con Calexico, Richard Buckner e
Laura Cantrell), Never Be ci offre undici pezzi tutti a firma
Mc Rae, con Kelley che si alterna tra chitarra, piano e banjo,
e si avvale delle dolci armonie vocali di Sarah Fullen e Virginia
Kull, della batteria di George Javori (Joan Baez band), le chitarre
di Dave Schramm e Jake Sanders, il basso di Sean Mc Clowry e dello
stesso Foster, il wurlitzer di Zach Mc Nees e l'accordion di Ted
Reichman. Atmosfere soffuse, ritmi rallentati, una vera delizia
per il cuore e per la mente.
(da www.highwayofdiamonds.135.it)
***********
Entrata nel mondo dello
spettacolo come attrice, è bastato poi un corso di chitarra
per cambiarle la vita, e questo Never Be è un gran bel
disco d'esordio. Giovane newyorkese originaria del Mississippi,
Kelley Mc Rae è uno dei nomi emergenti della scena live
del cantautorato della Grande Mela, con numerose serate spese
tra palchi come Rockwood Music Hall, The Knitting Factory e Living
Room.
Never Be spazia tra country, gospel, folk e blues e ci presenta
undici tenui ballate, sempre in bilico tra Lucinda Williams, Patsy
Cline, Mary Gauthier, Emmylou Harris e, (perché no?) un
pizzico di Norah Jones: raffinatezza, ma anche cuore e anima,
si trovano a profusione tra questi solchi.
La produzione è affidata alle esperte mani di J.D. Foster,
già al lavoro con Calexico, Laura Cantrell (altra cantautrice
di stanza a New York, ma "assai poco newyorkese" musicalmente
parlando) e Richard Buckner.
A dir poco splendide sono le curate armonie vocali di Sarah Fullen
e Virginia Kull, mentre la band (Dave Schramm e Jake Sanders alle
chitarre, Sean Mc Clowry al basso, Zach Mc Nees al wurlitzer,
Teid Reichman all'accordion, e ai tamburi George Javori, già
con Joan Baez) accompagna docilmente la leader che si alterna
tra chitarra, piano e banjo.
Tra i titoli spiccano Johnny Cash, ma soprattutto Break Us e Nothin'
To Lose.
I ritmi sono da notte fonda, le atmosfere soffuse, i toni smorzati:
eppure Kelley McRae canta con forza le sue canzoni. C'è
il sapore del sud, il Mississippi natìo, c'è l'indolenza
tipica della grande provincia americana.
Kelley McRae dimostra di poter portare avanti contemporaneamente
la carriera di cantautrice e quella di attrice (ha una piccola
parte al fianco di Kim Carnes e dell'amata Patty Griffin in Loggerheads
di Tim Kirkman, film del 2005 premiato al L.A. Outfest e al Nashville
Film Festival, oltre alla nomination al Sundance Film Festival),
tanto più che le sue canzoni fanno da colonna sonora a
Mentorthat, presentato al Tribeca Film Festival.
Altre canzoni degne di menzione sono Other People's Love Songs
e What Ya Get Is What Ya See, ma si corre il rischio di far torto
alle restanti composizioni, perché in realtà tutto
l'album risulta omogeneo, senza una sola caduta di tono. Si può
passare tranquillamente tutta la notte ad ascoltare questa ragazza,
senza mai stancarsi, fino all'alba, quando sarà la stessa
Kelley a darvi il buon giorno con Morning Song.
(da www.rootshighway.it
del 3 gennaio 2007)
ME
PEK E BARBA
PUTOST LA BEV TOTA
ME
(AUTOPRODOTTO) 2005
Il titolo in dialetto,
rosso, sopra una copertina in bianco e nero che raffigura un fiasco
e due bicchieri appoggiati su una tovaglia a quadretti, la dice
lunga sui contenuti di questo album.
In realtà il Piuttosto La Bevo Tutta Io del titolo è
riferita all'acqua del Po durante una piena, ma è di vino,
di osterie, di notti nella pianura padana, che sono piene queste
tracce dell'esordio discografico dei Mé Pék e Barba.
Capitanati da Sandro Pezzarossa (chitarra acustica), che si divide
il compito di scrivere i pezzi con il fisarmonicista Federico
Romano, e quello di cantare con Andrea Magni, questa scatenata
banda di ragazzi della bassa parmense (ma per i concerti si è
aggiunta la violinista reggiana Francesca Mantovani) ci offre
nove brani in stile folk, mostrando d'aver mandato a memoria la
lezione di gruppi come Modena City Ramblers e Marmaja, o di folk-rockers
come Massimo Bubola.
Il breve Preludio recitato fa da apripista per la title-track,
cantata in dialetto (ma nel booklet son presenti anche le traduzioni);
ballata irish-style, giocata tra fisarmonica e flauto (Marco Piccini).
Con Nott Da Balòos è ancora voglia di danza, con
in evidenza Davide Tonna, vero Signore degli strumenti a corda.
Cenerentola, Credevo
parte tranquilla per poi velocizzare
il ritmo: una rivisitazione della nota fiaba. Esattamente a metà
tra Messico e Irlanda si pone Lacrima Dorata, canzone sulla fine
di una relazione. Arriva anche il rock di Fuori Chitarre, ma con
gli strumenti elettrici (le chitarre di Tonna, il basso di Fabio
Bianchi) e Nicola Bolsi che pesta la batteria, convivono il flauto
di Piccini, la fisarmonica e il piano elettronico (sempre Romano).
Torna il dialetto per La Solita Serata, bagnata dall'alcol, da
tanto alcol, mentre La Festa Di Paese narra di una notte peccaminosa.
In chiusura la triste storia di Siura Carla.
Sul retro del cd c'è un'altra foto in bianco e nero che
testimonia l'attaccamento di questi ragazzi alle loro origini:
i Mé Pék e Barba vengono dal fiume. Salgono sulle
assi dei palchi indossando il kilt, si divertono e fanno divertire,
e quando tutto è finito si rimettono il tabarro e tornano
tra le nebbie che avvolgono tutto, il grande fiume, la pianura,
perfino la notte ed i suoi ubriachi.
(da www.bielle.org
del 17 settembre 2006)
MIAMI
& tHE GROOVERS
MERRY GO ROUND
(AUTOPRODOTTO) 2008
Anche nel 2008, anzi, forse
proprio perchè si è nel 2008, un disco di ragazzi
giovani dedicato a Woody Guthrie, non può non colpire la
nostra attenzione. D'altra parte anche in questo momento "uomini
ricchi stanno facendo bruciare il mondo in un'altra guerra"
(da "Big Mistake", la canzone più politica del
cd) e non si può far finta di niente.
Una rapida occhiata ai credits di "Merry Go Round" e
si notano nomi che evocano lande lontane, eppure ci stiamo abituando
a vedere nei lavori dei nostri cantautori migliori: Jono Manson
ha collaborato con Stefano Barotti e Andrea Parodi, Joel Guzman
con Massimiliano Larocca, portando un ulteriore tocco di classe;
e non dimentichiamo che ospite su quel "Dirty Roads"
che è il loro primo album, c'era un certo Marino Severini
dei Gang, uno che di giovani gruppi promettenti se ne intende
assai.
E allora si va ad iniziare
Venghino Siore e Siori, i romagnoli Miami & The Groovers sono
tornati sulla grande giostra del rock'n'roll! Abbiamo la voce
e le chitarre di Lorenzo Semprini, abbiamo il sax di Claudio Giani,
abbiamo la batteria di Marco Ferri e il basso di Luca Fabbri,
e poi ancora abbiamo le chitarre alla spina (starebbe per elettriche
ehm
) di Beppe Ardito e le tastiere di Alessio Raffaelli!
Inserite il cd nel lettore, e dopo un breve "Intro"
cominceranno le corse lungo la nostra SS-9, che ricorda dannatamente
la I-95 americana. "One Way Ride" è già
chitarre e sudore, con il testo incentrato sul non pensare troppo
alle cose lasciate indietro, cercando invece di "cogliere
l'attimo". "Jewels And Medicine" è un bell'omaggio
ad una notte passata con in testa Janie, una bottiglia di liquore,
magari ascoltando Little Richard. "Night On The Town"
è l'unica cover dell'album, proviene dal repertorio dei
Del Fuegos, e mentre la si ascolta si agitano furiosi i fantasmi
di gruppi come Green On Red e Long Ryders. "My Sweet Rose"
è la deviazione sulla I-10, e poi una volta dalle parti
di San Antonio, giù verso il border, e poi oltre, in Messico;
sono della partita la fisarmonica di Joel Guzman e la dolce voce
alternative-country di Erin Sax Seymour. Altro ospite importante
è Ron Lasalle, che arriva con "Time Has Come":
soul'n'roll! Con "Broken Souls" si torna a correre sulle
freeways, mentre "Love Has No Time" è una dolce
ballata pianistica. "Sliding Doors" e "Big Mistake"
rinvigoriscono i toni. La dylaniana "Trust Revisited"
è l'occasione per invitare Jono Manson a prestare la sua
voce. Il pianoforte e un bell'assolo di sax contribuiscono a fare
di "It's Getting Late" un'altra delle ottime canzoni
che compongono questo disco. La strumentale "Last Ride",
dalle atmosfere desertiche, fa da apripista per la title-track:
"Merry Go Round" inizia con il pianoforte, poi entrano
gli altri strumenti e la voce di Semprini, fino a che tutti si
uniscono al coro nel ritornello. Alla fine, un breve "Outro".
Certo, qua e là, risulta evidente che i ragazzi sono stati
sovente a lezione da Bruce Springsteen (un altro che a sua volta
ha imparato parecchio da Guthrie), ma il tutto suona fresco, godibile
e credibile. Rispetto all'esordio di tre anni fa, Miami &
The Groovers hanno allargato il loro ventaglio musicale, proseguendo
così senza timori sulla strada della piena maturità,
che vuol poi dire anche piena libertà dagli "ingombranti"
Maestri. Io una scommessa ce la faccio: il prossimo disco sarà
un capolavoro!
Venghino Siore e Siori, venghino
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
JON
NOLAN
WHEN THE SUMMERS
LASTED LONG
(MILL TOWN RECORDS) 2005
Dopo dieci anni passati
a contendere all'amico Cliff Murphy la leadership dei Say ZuZu,
ecco arrivare per Jon Nolan la prova solista.
When The Summers Lasted Long è un buon "esordio",
prodotto dallo stesso Nolan, e mixato da Paul Q. Kolderie, già
al lavoro con Radiohead, Morphine, Ryan Adams e Uncle Tupelo.
L'iniziale So Much sembra provenire proprio dal periodo Say ZuZu,
con Jon Nolan che suona tutti gli strumenti. La successiva Mary
(Won't You Come Along?) è una ballata giocata tra piano
e chitarre (sempre Nolan, ma aiutato da Ken Schopf, già
batterista di Jeff Klein e da Dan Cantor alle percussioni). Echi
beatlesiani in Every Morning, ma la canzone si fa ricordare soprattutto
per una parte veramente brutta di tastiere. I Say ZuZu erano state
una delle band più in vista del settore Americana: On &
On ne è un tipico esempio; buona ballata, con Jabe Beyer
che aiuta Nolan con il controcanto. Il disco cresce con Waiting,
con ancora Nolan e Beyer a dividersi gli strumenti e a cantare
insieme. Da Every Mile, l'ultimo disco a nome Say ZuZu, sono passati
ormai cinque anni, passati da Nolan in tour, ad aprire per gente
come Richard Buckner, Silos, Steve Wynn, Joe Ely, Slobberbone.
Tutti questi incontri non possono non averlo influenzato, e il
risultato è Cupboard, il punto più alto dell'album:
Jon alle chitarre, Beyer all'armonica, Steve Ruhm alla batteria
e Nolan McKelvey al basso, per una splendida ballata elettroacustica.
Ottimo il contributo di Jim Gambino (of Swinging Steaks) all'organo
in All Dried Up, la song più elettrica del lotto. Più
rilassata risulta Hey Now, mentre Hope, Ar (A True Story), suonata
e cantata in solitudine da Jon, chiude il disco.
33 minuti, questo il minutaggio totale di When The Summers Lasted
Long. Sicuramente due canzoni (Cupboard e All Dried Up) sono ottimi
pezzi, ma nel complesso ci si aspettava qualcosa di più
da questo album che molti, anche in Italia, attendevano con ansia;
nell'insieme, infatti, risulta di poca sostanza. Probabilmente
dall'aiuto di un produttore più esperto tutto il lavoro
avrebbe tratto giovamento, ma è importante sapere che Jon
Nolan non si è perso per strada, anche se quella strada,
appare al momento terribilmente lunga.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
TOM
PETTY
HIGHWAY COMPANION
(AMERICAN) 2006
Highway Companion lo possiamo
considerare il primo vero disco solista di Tom Petty: infatti
sia su Full Moon Fever sia su Wildflowers i componenti degli Heartbreakers
spaziavano in lungo e in largo; qui abbiamo il solo Mike Campbell
alla solista, e nemmeno in tutte le canzoni. Al piano e all'organo
c'è l'amico Jeff Lynne, che per fortuna non fa troppi danni
quando si occupa della produzione. Tutti gli altri strumenti sono
nelle mani dello stesso Petty.
Questa estate del 2006 ci porta un Tom Petty più song-writer,
meno rockettaro, con più spazio alle ballate e all'introspezione,
ma non mancano episodi più mossi come l'iniziale Saving
Grace, che suona come un rock-blues in stile Texas. Si prosegue
con l'acustica Square One per arrivare a quel palese omaggio agli
amati Byrds che è Flirting With Time; dai Byrds a Dylan
il passo è breve, così ecco Down South.
Si rimane in ambito sixties con Jack, mentre Turn This Car Around
ci riconsegna il puro suono Heartbreakers. Di questa raccolta
di dodici nuove canzoni del biondo autore della Florida, Big Weekend
è un episodio dall'andamento piacevolmente "sgangherato".
Night Driver, sicuramente uno dei pezzi migliori di Highway Companion,
è racchiusa nel suo titolo: un viaggio nella notte, sempre
su sonorità molto sixties. Costruita in modo semplice,
Damaged By Love, risente di un testo troppo "leggero".
Per fortuna il disco si risolleva subito con This Old Town, con
la successiva Ankle Deep (ancora reminiscenze dylaniane) e con
la finale, beatlesiana, The Golden Rose.
Dove collocare Highway Companion nella discografia pettyana? Non
è un brutto disco (anche se qualcuno lo potrebbe definire
inutile), sicuramente lontano da un capolavoro come Wildflowers.
Effettivamente gli ultimi lavori denotano una certa involuzione,
pur rimanendo al di sopra della soglia della sufficienza. Ma da
Tom Petty ci aspettiamo molto di più che una manciata di
belle canzoni ispirate a Bob Dylan e Roger Mc Guinn.
Highway Companion può sì far compagnia per una corsa
sull'autostrada, ma al ritorno viene voglia di ascoltare altro.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
SARAH
PIERCE
COWBOY'S DAUGHTER
(LITTLE BEAR RECORDS) 2008
Cowboy's Daughter è
il settimo album di Sarah Pierce, compreso un disco per bambini
e uno a carattere natalizio.
E, per non smentire coloro che l'hanno accomunata a Emmylou Harris
e Nancy Griffith, va subito detto che questa bionda ragazza ormai
adottata dal Texas ha fatto un gran bel disco, cantato e suonato
benissimo!
Ballate country (Last Real Cowboy, Radio e Jaqueline), ora soffuse
(I Tought I Knew You) ora leggermente più mosse (l'iniziale
My Day In The Sun e Wish It Away), una spruzzatina di blues (Cruel
Man).
Cowboy's Daughter (la title-track) è la storia della sua
vita, Charlie è più cantautorale, What Would You
Do è un omaggio dei Reckless Kelly (che sono ospiti nel
brano), Sun Falling Down è ripresa splendidamente dal vecchio
No Place Like Home (lei stessa racconta di non ricordare nemmeno
più quante volte l'ha incisa!), il disco che la fece conoscere
in Italia. Tumbleweed Dreams è uno dei punti più
alti dell'intero lavoro, mentre Three Cigarettes è un pezzo
portato al successo da Patsy Cline tantissimi anni fa.
Ogni nota è al punto giusto (merito del produttore-batterista-marito
Merel Bregante), Sarah canta come un angelo. Appaiono come ospiti
Rosie Flores all'elettrica e John McEuen (Bregante suonò
con lui nella Nitty Gritty Dirt Band) a chitarra, banjo e mandolino,
mentre la backing-band è composta (oltre che da Merel Bregante)
dagli italiani Alex Adinolfi e Maurizio Fassino (dei Chicken Mambo)
alle chitarre acustiche ed elettriche, Lynn Daniel al basso, Cindy
Cashdollar (Asleep At The Wheel, Willie Nelson, Dixie Chicks,
Merle Haggard
cinque Grammy
) alla steel, al dobro
e alla National, Doug Hudson a chitarra, mandolino e voce, Riley
Osbourn (Willie Nelson, Marcia Ball) al piano.
Non dimenticatelo, Sarah ci tiene:
one earth, one chance!
(da
www.rootshighway.it dell'11 gennaio 2009)
GASTONE
PIETRUCCI / LA MACINA
AEDO MALINCONICO
ED ARDENTE, FUOCO ED ACQUE DI CANTO
(VOL. 2)
(STORIE DI NOTE) 2006
Coerenza. Per tante persone
è purtroppo solo una parola nel dizionario e nulla più:
succede spesso ai politici, ma anche ai musicisti, che magari
si professano grandi ammiratori di un artista o di un genere per
poi far scoprire ad ogni loro uscita discografica che in realtà
le loro intenzioni sono solo biecamente commerciali.
Ma ci sono anche persone che della coerenza hanno fatto uno stile
di vita; è il caso di Gastone Pietrucci e de La Macina.
È il dodicesimo disco in oltre trentacinque anni di carriera,
il secondo volume della trilogia "Aedo Malinconico Ed Ardente,
Fuoco d Acque Di Canto".
Anche qui come nel primo volume (uscito nel 2002) l'intento è
di recuperare antichi canti della tradizione marchigiana, ridare
loro smalto, colore e calore, e riconsegnarli alla gente, perché
non vadano perduti.
Un altro filo che lega il secondo volume al primo è la
presenza di Giovanna Marini (che canta il "La Bella Leandra",
insieme a Moni Ovadia) e di Marino (che duetta con Gastone in
"La Sposa Morta") e Sandro (alla chitarra elettrica
in "Bello Lo Mare E Bbella La Marina
") Severini.
Con i fratelli Severini, anzi, con i Gang (qui compaiono anche
Francesco Caporaletti al basso in cinque brani e Fabio Verdini,
ex tastierista dei Gang, piano e hammond in tre canzoni), Gastone
e La Macina hanno pubblicato in condivisione nel 2004 lo splendido
"Nel Tempo E Oltre, Cantando", dove la tradizione si
sposava perfettamente con il rock.
Ma ci sono anche un paio di novità, con ospite ancora Moni
Ovadia, e in un certo senso sono due "tradimenti": uno
è "Pan Pentito", che arriva dalla Toscana, dal
repertorio di Dodi Moscati; l'altro è "Unter Dayne
Vaise Shtern", canto della tradizione Yiddish scritto da
Sutskever e Broda, tradotto letteralmente da Gastone in "Sotto
La Tua Bianca Stella".
Donne che muoiono per amore, canti di emigrazione, di lavoro,
di guerra, di ragazze rapite che diventeranno regine: Adriano
Taborro, Marco Gigli, Michele Lelli, Roberto Picchio e Giorgio
Cellinese, qua e là aiutati da Federico Mondelci al sax,
accompagnano Gastone Pietrucci nelle dodici storie, dodici canzoni
che compongono l'album; anzi tredici, perché c'è
una ghost-track nella quale, nella prima parte c'è ospite
Allì Caracciolo perché "
abitare una traccia
fantasma è il luogo deputato della poesia
".
(da www.bielle.org
del 17 settembre 2006)
GASTONE
PIETRUCCI / LA MACINA
AEDO MALINCONICO
ED ARDENTE, FUOCO ED ACQUE DI CANTO
(VOLUME 1)
(STORIE DI NOTE) 2002
Un'altra parte importante
dell'antica cultura orale delle Marche è trasposta su disco,
grazie alla paziente, appassionata, meticolosa ricerca di Gastone
Pietrucci e de La Macina.
È l'ennesima selezione, dieci sono i dischi che l'hanno
preceduta, ma con Aedo Malinconico Ed Ardente, Fuoco Ed Acque
Di Canto si imprime un'apertura verso nuove sonorità a
tutto il lavoro fatto nel passato, rendendolo allo stesso tempo
antico e moderno, riportando a vita nuova vecchissimi testi a
rischio oblìo.
Marco Gigli (chitarra, cembalo, voce), Michele Lelli (percussioni,
batteria, voce), Roberto Picchio (fisarmonica, voce), Adriano
Taborro (chitarra, mandolino, voce), coordinati da Giorgio Cellinese;
e poi lui, Aedo (termine con il quale anticamente si indicava
il cantore girovago) dei nostri giorni: etnomusicologo e ricercatore
sul campo, laureato con una tesi sulla "Letteratura tradizionale
orale marchigiane e spoletina", Gastone Pietrucci, con la
sua voce rauca, calda, ora rabbiosa, ora disperata, è lo
strumento in più che arriva dritta alla meta, il cuore.
Grande spazio è riservato alle donne, alle loro storie,
dando così loro il giusto spazio nella Storia con la S
maiuscola: da Sotto La Croce Maria a Collage Di Canti Del Repertorio
Minore Della Filanda Jesina (in questi due brani c'è la
partecipazione di Giovanna Marini), da La Guerriera a Cecilia,
oppure ancora Monaca A Forza. L'altra ospite femminile è
Rossana Casale in Dormi Dormi Core Mia e in Bovi Bovi.
Riccardo tesi è presente con il suo organetto in Benediciamo
A Cristoforo Colombo, splendido testo sul movimento migratorio
della seconda metà dell'800 verso l'America (anzi, Lamerica),
ma anche in Io Me Ne Vojo Andà Pel Mondo Sperso.
Ci son voluti quasi trentacinque anni (metà vita, ci raccontava
il Poeta) di carriera, ma questo disco è un capolavoro,
un'opera fondamentale per fare uscire dai suoi ristretti confini
le musiche, ma soprattutto i testi, della tradizione marchigiana.
Tra gli amici ospiti vanno citati anche Sandro Severini dei Gang
alla chitarra elettrica, Antonio Felicioli al flauto, Costantino
Ravarelli con le nacchere e Diego Ravarelli con il cembalo.
Il punto più alto dell'intero album è probabilmente
l'omaggio a Giuseppe Gasparrini, detto Peppe de Birtina, con La
Ballata Del Brigante Pietro Masi Detto Bellente; la narrazione
della storia di Pietro Masi, disertore dall'esercito napoleonico
divenuto poi brigante e ucciso in un'imboscata quando aveva solo
ventitre anni, diventa il pretesto per uno splendido duetto con
Marino Severini dei Gang, a sua volta autore di una grande galleria
di personaggi che si potrebbero tranquillamente affiancare al
Bellente (da Il Bandito Trovarelli a Bandito Senza Tempo, da La
Pianura Dei Sette Fratelli a Comandante). Ancora oggi nel maceratese
le persone ostinatamente irriducibili, vengono chiamate Bellente.
La partecipazione a questo disco dei fratelli Severini sarà
foriera di future collaborazioni: i Gang, anch'essi marchigiani,
sono sì un gruppo rock, ma profondamente legato alla propria
terra, alle proprie radici.
Cantato e suonato con classe e passione immensi, Aedo Malinconico
Ed Ardente, Fuoco Ed Acque Di Canto è un baule colmo di
tesori riportati alla luce, con quel "volume 1" posto
alla fine del titolo che ci fa pensare che Gastone Pietrucci e
La Macina non si fermeranno certo qui, perché dopotutto,
anche le vecchie canzoni "se ne vojono andà per il
mondo sperso
"
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
FABRIZIO
POGGI & CHICKEN MAMBO
MERCY
(ULTRASOUND) 2008
Il ragazzo che suonava
la sua armonica sotto il cielo del sud è cresciuto. Dall'ultimo
album in compagnia dei Chicken Mambo son passati dieci anni, anni
passati viaggiando alla ricerca, alla riscoperta e alla salvaguardia
delle musiche e delle liriche popolari del proprio Paese (vedi
il progetto Turututela, con due ottimi dischi all'attivo) e a
scrivere testi sull'armonica. Ma sono stati anche anni bui, nei
quali c'è stata molta "pioggia nel suo cuore";
eppure proprio questa pioggia ha permesso alle canzoni di "Mercy"
di germogliare. La sua stessa musica lo ha guarito, così
come la musica del ragazzo di cui sopra "guariva" chi
lo ascoltava.
Spesso è proprio "riportando tutto a casa" che
si trova la forza di ripartire dopo i momenti tristi. Già,
la casa di Fabrizio Poggi è sì la Lombardia dei
Turututela, ma anche la Louisiana, il Texas, il Mississippi dei
Chicken Mambo. La casa di Fabrizio Poggi è in qualsiasi
posto ci sia gente disposta a suonare e cantare con passione e
cultura. E addirittura stavolta il viaggio rigeneratore non è
stato nella solita direttrice est-ovest lungo le Interstate 10,
20 o 40 ma, al contrario, fino a Woodstock, fino alla mitica Big
Pink dell'amato gruppo The Band, con Garth Hudson che impreziosisce
con la sua presenza un già di per sé prezioso disco
(appare nella title track e nelle splendide versioni di "John
The Revelator" e "I Want Jesus To Walk With Me").
Le "dusty roads" sotto il cielo del sud degli States
non sono diverse da quelle che ci sono nelle nostre campagne,
il sudore dei lavoratori nei campi di cotone non è diverso
da quello delle nostre mondine o dei nostri contadini, le lacrime
di una persona rimasta sola sono uguali ad ogni latitudine, il
sangue di chi muore sul lavoro o sul campo di battaglia è
sempre rosso. È da questo sudore, da queste lacrime, da
questo sangue, che arrivavano le folk songs dei Turututela, e
sempre da lì arrivano questi spiritual-blues.
È incredibile come gente che risponde al nome di Seth Walker
(in "Cross Road Blues"), Rob Paparozzi (Blues Brothers
Band e Blood Sweat & Tears, alla voce in "Walkin' Blues"
e "Nobody's Fault But Mine"), Donnie Price (bassista
per Willie Nelson e Jerry Jeff Walker), Ponty Bone (leggenda texana
della fisarmonica al pari di Flaco Jimenez e Joel Guzman), oltre
ai coniugi Hudson (Garth e la moglie Maud), si sia fatta in quattro
per essere in queste sessions. Ma se siete soliti fare le vostre
vacanze nel sud degli Stati Uniti, non di rado vi verrà
chiesto se conoscete Fabrizio Pogghi (pronunciato proprio così,
non è un errore), perché anche chi l'ha visto una
sola volta su un palco ben difficilmente se lo dimentica.
Ma sono i Chicken Mambo tutti, a rendere eccezionali performance
in "People Get Ready", "Down By The Riverside",
"Jesus On The Mainline", "Amazing Grace" (ascoltate
il piccone che batte e dà il ritmo): del resto Maurizio
Fassino (chitarre) è con Fabrizio da una vita, Francesco
Garolfi (chitarre, lap steel e mandolino) è stato compagno
di viaggio di Poggi negli U.S.A. in più di un'occasione,
e Bobby J. Sacchi (accordion), Roberto Re (basso) e Stefano Bertolotti
(batteria) completano una formazione molto affiatata; in più
va citata la voce "nerissima" di Betti Verri in tre
brani.
Posto alla fine del disco c'è un frammento di una vecchia
versione di "Amazing Grace", per dare un senso di circolarità
al tutto, per racchiudere tutto in un cerchio, musica, amicizie,
bevute in compagnia: "Will The Circe Be Unbroken".
(da www.bielle.org
del 31 LUGLIO 2008)
FABRIZIO
POGGI & CHICKEN MAMBO
SONGS FOR ANGELINA:
TEN YEARS ON THE ROAD...
(NEW FRONTIERS) 2001
Con precisa cadenza biennale
i Chicken Mambo ci consegnano il loro nuovo album, il quinto per
la precisione. Ed è l'occasione per ripercorrere dieci
anni di carriera passati in giro, sui palchi di Italia, Svizzera,
Slovenia e U.S.A.
Blues, country, folk, zydeco, mischiati ad arte da Fabrizio Poggi
e i suoi pards Micio Fassino, Joe Barreca, Michele Vittori, insieme
agli amici e agli eroi che si sono alternati nel corso degli anni.
E' una raccolta, ma non mancano i pezzi nuovi, come la dolce Song
for Angelina, che è più di una canzone, è
una bellissima dichiarazione d'amore alla compagna della vita;
possiamo riascoltare Fabrizio mentre duetta con Jerry Jeff Walker
in I'm on the Road Again, oppure mentre ripropone Hey Evangeline
con Zachary Richard e What the Cowboys say con Ponty Bone e Don
McCalister; ci sono rivisitazioni di Knockin' on Heaven's Door
, La Bamba, Guantanamera e Stand by Me; c'è Bayou Queen,
registrata dal vivo a un programma televisivo americano; ci sono
i classici del gruppo, come la stupenda Mexican Moon e come Under
the Southern Sky (dal vivo), un'altra dichiarazione d'amore, stavolta
all'armonica, alla musica, ai sogni, ai cieli stellati.
Voto: 7,5
Perché: è il modo perfetto per salutare tutti gli
amici dei primi dieci anni di carriera, e per dare il benvenuto
a quelli che arriveranno.
(da www.blackdiamondbay.it)
FABRIZIO
POGGI / FRANCESCO GAROLFI
THE BREATH OF SOUL
(ULTRASOUND) 2006
Esistono gli istant-album,
esistono le istant-star, questa è una istant-review: non
appena ho ascoltato questo disco ho sentito il bisogno di iniziare
a pestare con le dita sulla tastiera del computer.
Mai titolo avrebbe potuto essere più appropriato: The Breath
Of Soul. Traducete come volete la parola breath: può essere
il respiro dell'anima inteso come funzione vitale dell'anima;
ed è importante che la nostra anima sia viva, che continui
a provare emozioni per le cose belle della vita, che spesso sono
le più semplici: la musica, gli amici, l'amore. Oppure
la si può intendere come soffio: credo che sia la conseguenza
di quanto si diceva sopra. Un'anima viva, pulsante, trasmette
vitalità, allegria, gioia. La traduciamo come alito? L'alito
dell'anima è come quello del bue e dell'asinello nella
stalla di Betlemme: un dolce tepore rassicurante, un profumo inebriante.
Tutte queste cose possono venire trasmesse anche da un semplice
dischetto, l'importante è, appunto, che sia fatto con l'anima,
che è poi lo strumento in più di The Breath Of Soul,
così parco di strumenti musicali: l'armonica di Fabrizio,
le chitarre (l'acustica, la lap steel, la National resofonica
del 1930) e il mandolino di Francesco. E le due voci, calde e
rilassate.
Le tredici canzoni che il duo Fabrizio Poggi / Francesco Garolfi
ha messo su cd sono il logico risultato di tanti concerti, tante
serate, tanti kilometri (o miglia) passati insieme tra Italia
e Stati Uniti. È blues, blues fino al midollo, con qualche
concessione alla ballata.
Il repertorio è quello dei traditionals (John The Revelator,
Glory Glory / Swing Low Sweet Chariot, Another Man Done Gone)
e dei classici di Blind Willie Johnson (The Soul Of A Man), Robert
Johnson (Dust My Broom, Cross Road Blues), Mississippi John Hurt
(Pay Day), Sonny Boy Williamson II (Checkin' Up On My Baby), mischiati
con autori meno noti al grande pubblico come Sleepy John Estes
(Diving Duck Blues), James "Son" Thomas (Beefsteak Blues).
La title-track è firmata da Fabrizio Poggi, così
come la dolce Song For Angelina. Chiude un altro traditional,
registrato dal vivo alla KFFA Radio di Helena, Arkansas: Sitting
On Top Of The World.
Anima, cuore, passione, amore, blues: parole che non hanno bisogno
di traduzioni e spiegazioni.
(da www.rootsandblues.org)
FABRIZIO
POGGI E TURUTUTELA
LA STORIA SI CANTA
(DUNYA RECORDS / FELMAY) 2006
Il senso del disco è
racchiuso nel titolo: cantare la storia significa dare voce a
chi, nei campi, nelle risaie, nelle fabbriche, sui campi di battaglia,
emigrando per cercare un presente e un futuro migliori, ha fatto
la storia italiana del secolo scorso pur senza comparire sui libri.
Fabrizio Poggi arriva al secondo volume del progetto Turututela
("Canzoni Popolari", uscito nel 2002, aveva ricevuto
il plauso unanime della critica) ed è il brillante risultato
di tanto tempo passato a frugare nei vecchi bauli impolverati
ed ammuffiti del canzoniere italiano.
Recuperare le radici, e con esse tante storie che tanti preferiscono
far dimenticare a vantaggio della vacuità dei nostri tempi,
è quello che da trent'anni fanno Gastone Pietrucci e La
Macina per quel che riguarda le Marche, quello che hanno fatto
Bruce Springsteen con le Seeger Sessions e Francesco De Gregori
nel sodalizio con Giovanna Marini, quello che fanno i Gang con
le loro storie che arrivano dal passato vestendosi di rock, quello
che lo stesso Fabrizio fa da anni con il blues e ora anche con
questo secondo malloppo di canzoni che arrivano dritte dal nostro
patrimonio musicale.
Oltre a Fabrizio Poggi voce e armonica (e chitarra e organetto
in "O cara moglie" di Ivan Della Mea), i Turututela
sono Roberto G. Sacchi alla fisarmonica, Marco Rovino alla chitarra
e al mandolino, Odette Lucchesi ai cori.
Si inizia con "Bella ciao delle mondine" e con la dedica
all'armonica a bocca di "La suneta". "La terribile
sciagura di Mattmark" ricorda le ottantotto vittime di un
ghiacciaio svizzero nell'agosto del 1965. "Vola colomba"
arriva dal Festival di Sanremo del '52, quando ancora si poteva
davvero parlare di festival della canzone italiana.
Non c'è nostalgia in queste riproposizioni, non c'è
tristezza: il suono è scintillante, c'è più
l'atmosfera di una festa popolare, un tappeto sonoro acustico
che fa sfoggio anche di contrabbasso (Roberto Re) e percussioni
(Stefano Bertolotti).
"La Mundena" è una poesia di Angelo Vicini messa
in musica da Poggi, in "Sciur padrun da li beli braghi bianchi"
e in "Saluteremo il signor padrone", altri due tra i
più famosi canti delle mondine, partecipano ai cori Renato
Franchi, Viky Ferrara e Claudio Ravasi, mentre "Anche per
quest'anno le ragazze ci han fregato" vede come ospiti Paolo
Millet all'armonica e Chiara Negro alla ghironda.
"Mamma mia dammi cento lire" non ha certo bisogno di
presentazioni essendo una delle più celebri canzoni sull'emigrazione,
e anche "Miniera" sembra arrivare dall'altra parte dell'oceano,
dall'assolato border tra Messico e Stati Uniti.
Qua e là si possono apprezzare il lavoro di Maurizio "Micio"
Fassino alla chitarra e di Giovanni Lanfranchi al violino, ma
vanno citati anche i cori di Erica Opizzi, Laura Marchesi e del
Sacher Quartet.
"Mamma perché non torni" è tratta dal
repertorio del cantastorie pavese Adriano Callegari e proprio
ai cantastorie è dedicata la title-track, scritta da Sacchi,
Poggi e ancora Vicini.
Chiude il disco una traccia nascosta: "Miniera" cantata
a metà degli anni '70 da Vincenzina "Vice" Mellina
Cavallini.
Sensibilità e passione vanno a braccetto per tutto il disco
e per chi da anni conosce il bluesman di Voghera, in "La
storia si canta" troverà la più piacevole delle
conferme.
(da www.bielle.org
del 14 settembre 2006)
GRACE
POTTER AND THE NOCTURNALS
NOTHING BUT THE
WATER
(RAGGED COMPANY RECORDS) 2006
Rock, blues, accenni soul
e gospel: questo è Nothing But The Water, terzo disco di
Grace Potter, che viene dopo Original Soul (2004) e Live Oh Five
(2005).
Sentendola cantare il pensiero corre agli Stati del sud, Texas,
Alabama, Louisiana
Eppure la ventiduenne Grace è
originaria del Vermont, e con questo nuovo lavoro si sta avviando
sulla strada della maturità, sia nel cantare che nel comporre.
I Nocturnals sono un brillante nucleo di musicisti (Scott Tournet
alle chitarre, Bryan Dondero al basso, Matt Burr alla batteria)
che asseconda alla perfezione la leader nelle sue scorribande
al piano, al Wurlitzer e all'Hammond B-3.
Voce grintosa e calda, vengono in mente Susan Marshall (ricordate
il progetto Mother Station?) e le texane Carolyn Wonderland e
Mary McBride, così che il tributo pagato a Janis Joplin
risulta evidente, ma non si può dimenticare Lucinda Williams,
della quale Grace Potter, on stage, riprende una porzione di Joy
per mischiarla alla sua Joey.
Left Behind e il blues di 2:22 sono episodi prettamente acustici,
mentre Treat Me Right, Sweet Hands, la stessa Joey e Some Kind
Of Ride, sono cavalcate elettriche, sempre sostenute da piano
e organo; All But One è, per contro, una stupenda, dolce,
ballata pianistica. C'è spazio per atmosfere bluesate anche
nell'iniziale Tootbrush And My Table, mentre Ragged Company viene
direttamente dall'anima. Il breve strumentale Below The Beams
fa da apripista per la title-track, lunga e divisa in due parti,
la prima solo voce, la seconda che vede tutta la band impegnata
in un elettrizzante tour de force che finisce, ancora influenzata
dal gospel, laddove iniziava, con le voci e il ritmico battere
delle mani.
C'è anche allegato un dvd con cinque pezzi dal vivo (Joey,
Here's To The Meantime, Left Behind, Over Again, Nothing But The
Water), registrato all'Higher Ground Ballroom di Burlington, nel
natìo Vermont.
Anima e personalità, la giovane Grace, quanto basta perché
il cd rimanga intrappolato nel lettore e non ne voglia più
uscire: sono bastate dodici magiche scintille rock-blues per stregarlo.
(da
www.rootshighway.it del novembre 2006)
PUNTINESPANSIONE
UNA DIALETTICA
PARTICOLARE
(OTIUM RECORDS) 2006
Quattro anni di rodaggio,
tanti concerti, un cd autoprodotto con quattro brani a fine 2003,
ora finalmente il progetto PuntinEspansione arriva alla meta del
primo disco vero.
"L'allegria vince su tutto il resto" e "Non prendersi
troppo sul serio, visto che decisamente seri non siamo" sono
i motti del gruppo, e già dalla copertina (c'è un
bambino che fa una linguaccia) si capisce che i cinque hanno mandato
a memoria la lezione di Rino Gaetano e Fabrizio De Andrè.
Graffiante ironia nei testi per raccontare il sociale, l'amore,
storie a metà tra il serio e il faceto, con musiche che
spaziano dal folk al rock, magari un accenno di tango, passando
per la canzone d'autore.
Francesco Mastrangelo (voce e chitarra acustica) è l'autore
dei brani, il resto della banda è formato da Pepe Laterza
(mandolino e voce), Fabio D'Agrosa (basso e cori), Marcello Malagnino
(chitarre), Giuseppe Tria (batteria): i cinque ragazzi pugliesi
portano a compimento questo lavoro composto di nove brani originali,
una cover, una traccia nascosta che serve di presentazione.
Si parte alla grande con Pascal ("la vita è molto
bella per quelli che come lui hanno deciso di vivere di speranza"),
si prosegue con l'amara ironia di Un'Estate Di Duro Lavoro In
Un Campo Sperduto Nel Cuore Del Sud
(titolo alla Lina Wertmuller).
Il Testimone ("driiiiiiiinn
di domenica mattina")
è puro divertimento, e nessuno si offenda! Cercati Negli
Occhi e L'Ancien Tango sono, seppur diverse tra loro, dediche
all'amore. Si prosegue con Disattendo e Il Valzer Della Terra
("uomini, donne e bambini vivevano a rischio") per arrivare
a Bocca Di Rosa: qui i PuntinEspansione si prendono il lusso di
ridare smalto e vigore ad uno dei brani più famosi della
storia della musica italiana. Non Venirmi A Dire e Il Principe
E Il Custode chiudono nel migliore dei modi questa opera prima.
Passione e anima,
Una Dialettica Particolare è un
disco solare anche quando qualche tenebra vorrebbe calare a rattristarci,
ma d'altra parte "nella vita l'importante è ridere",
parola dell'immortale Conte Mascetti.
(da www.bielle.org
del 5 settembre 2006)
DAVIDE
RAVERA
DR. DAVE &
MR. HAZE
(HAZYMUSIC) 2008
Perseveranza, ovvero fermezza
e costanza di propositi, opinioni e opere.
Queste "2001 recordings" ci hanno messo sette lunghi
anni (sull'importanza del numero 7 date un'occhiata, per esempio,
a Wikipedia), ma alla fine hanno visto la luce.
Operazione importante per Davide Ravera, doveroso ricordo delle
esperienze del passato (alcune dolorose, ma anche tanti viaggi
tra Europa, India e Africa), per passare senza rimpianti a presente
e futuro, con un disco in italiano registrato in studio e intitolato
Bolero.
Ma veniamo a Dr. Dave & Mr. Haze, diviso in due parti: la
prima registrata durante uno show alla radio olandese Vara One,
con la presenza di Anna Palumbo all'accordion ad ingentilire le
tracce, la seconda (più corposa) composta di homemade recordings
in solitaria; il tutto rimasterizzato presso i Sex Blues Studio
di Reggio Emilia.
Sin da Sonya Yana Meme Komba il disco prende il volo, anche se
con Big City Blues (tra zydeco e rock'n'roll) e Born In A Minor
Key si avverte la mancanza di una band. Wind From Seattle è
disarmante nella sua splendida, ingenua ("let the kids come
out to play and resurrect a dream that's fine, a brand new season's
just on time"), semplicità.
Headful Of You, I Got 2 Girls e Without A Smile sono omaggi agli
amati cantautori texani (Townes Van Zandt su tutti). I Wish I
Was In Barcelona gioca tra profumi di late night hours e ritmi
spagnoleggianti. Se Crazy è potenzialmente un ottimo rock,
con Shades Of Blue e Wired si ritorna alle atmosfere intimiste
care ai vari Guy Clark e compagnia. Red Light Angel è ben
giocata sulla slide, Woman's Revenge è un fragile acquerello,
Rock'n'Roll Preacher ("he's gonna write a letter to the ghost
you keep inside") è dedicata allo scrittore Hank Beukema.
La lunga Lighthouse ("friends they move to nowhere with paintings
on their minds") è forse il manifesto dell'album,
ma forse è anche il manifesto della sua vita.
(da
www.rootshighway.it del 2 marzo 2009)
REIN
OCCIDENTE
(AUTOPRODOTTO) 2008
Coraggio a volte fa rima
con Incoscienza. In questo caso fa rima con Indipendenza.
Autoprodurre un disco doppio con venti canzoni (e in più
c'è nascosto qualcosa), nel 2008, può sembrare una
pazzia, e forse la è.
Non solo: seguendo la strada già intrapresa dai Marmaja,
chi vuole può scaricarlo gratuitamente da internet, mentre
chi ama avere tra le mani cd originale e booklet può riceverli
a casa con poca spesa.
A rincarare la dose c'è da aggiungere che i Rein si sono
tolti dalla SIAE, contraria a riconoscere ai propri iscritti il
diritto di disporre della propria opera, di renderla liberamente
condivisibile, ad esempio.
Le canzoni di "Occidente" sono state scritte (Gianluca
Bernardo, chitarrista e cantante, ne è l'autore) in un
lasso di tempo abbastanza lungo, dal 2001 al marzo 2008, date
in cui è iniziata e finita la stesura di "Genova",
uno dei brani portanti dell'album, posto al centro del lavoro
(la decima canzone, l'ultima del primo cd).
Gianluca Bernardo, Luca De Giuliani (chitarre), Claudio Mancini
(chitarre), Pierluigi Toni (basso) e Gabriele Putrella (batteria)
formano una band dalle grandi potenzialità e dalle idee
chiare. E poi ci sono gli amici ospiti (impossibile citarli tutti
qui) che aggiungono violini, sax, chitarre, mandolini, trombe,
pianoforte, percussioni, flauti e, per finire, voci.
Ecco, le voci: con le loro canzoni i Rein danno voce ai disillusi
("gli eroi sono grandi bugiardi, gli eroi son bastardi e
tu non crederci mai"), ai lavoratori ("le mie mani scavano
da sempre un suolo aspro coltivato a grano"), ai viaggiatori
("ho messo le gambe nel cuore e le ho portate via"),
a chi crede nell'amore ("avrei mai potuto amare una ragazza
che almeno una volta nella vita non avesse sognato d'essere Amelie
Poulain?") e a chi crede nella democrazia e ne ha abbastanza
di quella ciurma da tribunale che ha tra le mani le sorti del
mondo ("per la gloria dei moderni dittatori scorre il sangue
di un popolo sovrano")
cioè alle persone. Sì,
alle persone, gli individui dotati di una personalità propria,
non costruita da chi li vorrebbe controllare, non artefatta, persone
che badano al sodo e non alla superficialità ("la
gente sta chiusa in casa a guardare la tv e non parla più").
Registrato nel corso di quindici mesi in vari studi sparsi tra
le province di Roma, Viterbo, Perugia, L'Aquila e Bologna, il
suono mostra una coesione fuori dall'ordinario, nonostante i diversi
generi abbracciati: reggae, blues, jazz, folk, dub, rock, punk,
Balcani, Francia, Messico
detto in due parole: tradizione
e modernità. In una sola: Patchanka!
(da www.bielle.org
del 31 LUGLIO 2008)
GRAZIANO
ROMANI
BETWEEN TRAINS
(FREEDOM RAIN RECORDS) 2008
Ascoltare dischi come Between
Trains di Graziano Romani fa bene all'anima, quell'anima che ogni
rocker si porta dentro.
A distanza di sette anni dal favoloso Soul Crusader, il rocker
emiliano ci presenta un altro disco di cover; ma se là
era il solo Bruce Springsteen l'artista da omaggiare, qui ne troviamo
tredici, tredici come le canzoni proposte, costante dei suoi dischi
di questo terzo millennio.
Dopo la fine dell'esperienza con i Rocking Chairs e la conseguente
pubblicazione di Adios, primo dei suoi dischi cantati in italiano,
nella seconda metà degli anni novanta aveva già
messo in cantiere (con i Megajam 5 e i Souldrivers) progetti simili,
ma i risultati ottenuti con Between Trains superano di gran lunga
quelli già lusinghieri ottenuti allora.
Perché in questi anni Graziano è cresciuto, ha ritrovato
coraggio e confidenza nello scrivere canzoni di suo pugno, ed
ha inanellato una serie di albums a dir poco strepitosa, giunta
al suo culmine con Painting Over Rust nel 2006 e Tre Colori l'anno
successivo, dove "riportando tutto a casa", tornava
a cantare in italiano; ma forse sentiva ancora il bisogno di guardarsi
un pochino indietro, e di regalarsi / regalarci questa "lucky
thirteen".
Il bello è che sembra un disco suo, tale è la coesione
dei brani scelti, nonostante le registrazioni abbraccino un lungo
arco di tempo (2000-2008, comunque tutte ri-mixate) e le canzoni
appartengano a ben cinque diverse decadi. Le incisioni più
vecchie sono Real World (rieccolo, il Boss) e una grande versione
di Wichita Lineman di Jimmy Webb, che arrivano dall'inedito album
dei Souldrivers
Mettere in fila una simile serie di artisti non è impresa
facile per nessuno, ma Graziano è il miglior cantante italiano
in assoluto e con la sua voce sempre in bilico tra rock e soul,
riesce ad equilibrare tra loro songs dalle più diverse
estrazioni. Brand New Day (Van Morrison) e Don't Fall Apart On
Me Tonight (Bob Dylan) su tutte, ma pregevolissime risultano cover
inusuali (soprattutto per una voce maschile) quali Last Chance
Lost (Joni Mitchell) e The Living End (Judee Sill), come pure
Sound Of Free di Dennis Wilson, all'epoca uscita solo su 45 giri.
Sicuramente più conosciute sono Mutineer di Warren Zevon
(gran bella versione!) e White Shadow di Peter Gabriel. Di rilievo
la personale interpretazione che Romani dà di Struggling
Man di Jimmy Cliff e Between Trains di Robbie Robertson. Completano
il lotto Genesis Hall (a firma Richard Thompson, periodo Fairport
Convention) e Grace Darling (dalla penna di Dave Cousins, Strawbs).
Apprezzato da artisti del calibro di Elliott Murphy e Dirk Hamilton,
seguito dai fedeli Spiriti Liberi (paragonabili ai Deadheads dei
Grateful Dead, ai Parrotheads di Jimmy Buffett, ai Rusties di
Neil Young), Graziano Romani aggiunge un altro tassello prezioso
alla sua discografia; peccato solo che farsi notare in questo
intasato mercato discografico sia difficile come riuscire a fare
una corsa sull'amata, ma ormai altrettanto intasata, Via Emilia.
Voto: 7,5
(da
www.rootshighway.it del 12 settembre 2008 e www.grazianoromani.it)
GRAZIANO ROMANI
CONFESSIONS
BOULEVARD
(FREEDOM RAIN RECORDS) 2006
Dopo l'ascolto
di Confessions Boulevard una cosa è subito chiara: è
il miglior disco di Graziano Romani. Dal soul al rock, alle ballate,
Graziano pesca a piene mani nei suoi ricordi e nei suoi sentimenti,
e ci regala tredici canzoni che ci terranno compagnia a lungo.
L'inizio (affidato alla title-track) è un torrido rock'n'roll
come quelli che tanti anni fa ci insegnava Bob Seger, mentre con
Last Moonshine siamo a uno dei capolavori del disco: poche note
di chitarra e poi la canzone entra nel vivo, con un'armonica che
per tutto il brano si inserisce a tenere alta la tensione, tensione
che solo verso la fine sembra spegnersi per andare finalmente
verso l'ultimo chiaro di luna.
Come In From The Rain è il primo dei due duetti con Dirk
Hamilton e la prima di tre canzoni ripescate da un baule con l'etichetta
Souldrivers e rispolverate alla grande. Il duetto in questione
è riuscitissimo, e splendido è il finale con le
due voci a rincorrersi.
E, se Magdalena's Smile è il singolo perfetto, con reminiscenze
vanmorrisoniane e una parte che i fans potranno cantare durante
i concerti, la nuova versione di Made Of Gold (l'altro duetto
con Hamilton) ha tratto grande giovamento dal nuovo arrangiamento:
se ai tempi dei Souldrivers procedeva in modo poco fluido, qui
trova la sua versione definitiva. Probabilmente il tutto è
dovuto al fatto che Romani da anni si avvale degli stessi musicisti
("Tede" Tedeschini alle chitarre, Max Ori al basso,
Pat Bonan alla batteria e "Grizzly" Marmiroli al sax)
e l'ingresso in pianta stabile di Chris Gianfranceschi (piano,
organo, tastiere) è stato assorbito benissimo, senza influire
sulla compattezza della band.
L'esempio è Won't Give Up On You dove sono il piano e poi
il sax a dare il via a questa ballata che parla (confessa
)
di un amore che non può finire, non mentre si è
davanti al Barricada Cafè a guardare la luna.
C'è lo spazio anche per un regalo ai fans di vecchia data,
quelli che seguono Graziano dai tempi dei Rocking Chairs: Undercover
Lovers è rock'n'roll, e il protagonista non può
che essere Max "Grizzly" Marmiroli.
Sun Going Down (inizio per sola chitarra, poi entrano voce e piano,
solo in un secondo momento tutti gli altri strumenti) è
una riflessione (un'altra confessione) davanti al sole che se
ne va, tra ricordi belli, ricordi brutti, e davanti una strada
che appare ancora confusa, ma comunque da percorrere. Il ritornello
è uno dei più belli di tutto l'album.
Arriva dal periodo Souldrivers anche Turning Another Page, mentre
Bittersweet Feeling è un duetto in salsa funky con Brando,
ma non è finita, perché The Most Crucial Enemy è
il top del disco: un inizio che sembra uscire da una canzone del
Neil Young di After The Gold Rush, poi Chris Gianfraceschi prende
per mano la band e tutti insieme accompagnano il leader. È
ancora un momento di riflessione, il tono si fa amaro, nella scoperta,
nell'ammissione, che il nostro più grande nemico ce lo
portiamo dentro e siamo noi stessi.
Dolcezza, voglia di credere ancora nell'amore e anche un po' di
sollievo si intravedono finalmente verso la fine dei racconti,
in Long Walk Home; ma se per il momento la strada di casa è
ancora lunga e si rimane in Confessions Boulevard (con la reprise
solo piano e voce della title-track), ci viene il dubbio che Viale
delle Confessioni non sia una strada dritta, nemmeno un cerchio
..
che sia a forma di cuore?
(da
www.highwayofdiamonds.135.it)
EILEEN
ROSE & THE HOLY WRECK
LIVE AT LONGVIEW
(AUTOPRODOTTO) 2008
Live at Longview, disco
semi-ufficiale dalla bellissima, seppur scarna, confezione della
cantautrice di Boston, contiene inediti mischiati a pezzi ripescati
dal passato, suonati dal vivo nel giugno 2008 alla Longview Farm,
studio di registrazione sito in North Brookfield, Massachussetts.
Di non semplice reperibilità (o ai suoi concerti o tramite
il suo sito web) queste nove canzoni sono quanto di più
eccitante il sottoscritto abbia ascoltato di recente. Nella confezione
deluxe del recente At Our Tables, ci sono in regalo altre sette
canzoni incise nel medesimo sistema.
Si parte affidandosi al riff che già Neil Young rubò
agli Stones per la sua Mister Soul: Trying To Lose You si svolge
poi mantenendosi in equilibrio amabilmente tra rock e pop, intento
che riesce anche nella seguente Judas, giocata tra piano e chitarre
jingle jangle niente male. Eileen Rose è accompagnata dal
nashvilliano Rich Gilbert alle chitarre e dalla sezione ritmica
formata dal bassista Nicky Ward e dal batterista James Murray.
La ruvida All These Pretty Things alza il tiro, poi arriva Comfort
Me, unico momento di dolcezza del disco. Il country di Why Am
I Awake? ci trasporta in una scalcinata sagra paesana, mentre
con la successiva Wheels Going By ci si sposta sulle Appalachi
Mountains. Shining vive di continui cambi di ritmo, che comunque
rimane teso fino a sfociare in un ruvido rock-bues. Più
solare musicalmente è la rockeggiante Simple Touch Of The
Hand, con un intermezzo di armonica molto dylaniano. New Penny
è sporca come lo era il pavimento dei cessi del CBGB's,
ed effettivamente sembra di essere catapultati nella New York
della seconda metà dei seventies. Ottima raccolta di canzoni,
suonate in modo semplice e diretto, senza fronzoli, che vanno
dritti al centro del bersaglio
o leggermente più
a sinistra, al cuore.
Voto 7,5
(da
www.rootshighway.it dell'ottobre 2008)
CALVIN
RUSSELL
DAWG EAT DAWG
(XIII BIS RECORDS) 2009
Ammetto che mi sono avvicinato
a questo disco con un po di timore, perchè il precedente
Unrepentant di due anni fa, edito dalla stessa Label francese,
mi aveva deluso parecchio per la sua mancanza di idee a dir poco
imbarazzante.
Ma la buona notizia è che Calvin Russell si è ripreso
e Dawg Eat Dawg (notare lassonanza con il capolavoro Dog
Eat Dog) è un buon disco!
Attorniato da un manipolo di misicisti francesi tra i quali spicca
Manu Lanvin, chitarrista e co-autore di buona parte delle canzoni,
Russell ha registrato il nuovo lavoro tra Parigi e Marrakech.
Inizio rock-blues deciso con Like A Revolution, poi subito uno
dei brani migliori dellalbum: la ballata 5 Mètres
Carrés, ambientata in carcere e cantata in francese. Halloween
è dura, molto personale (Just let me tell my story,
Let me give my reason why
); To You My Love, già
a partire dal titolo, è decisamente più dolce (I
saw your face, And I surrendered
). Una canzone dal
titolo Texas Blues Again non ha bisogno di presentazioni, come
daltra parte Sweetest Tenderness; con Rolling Wheel si torna
su sonorità più dure, mentre Gangster Of Love appartiene
a Johnny Guitar Watson ed è lunica cover: è
un altro blues, stavolta dalle parti di Chicago. Are You Waiting
è sicuramente già sentita, mentre la title-track
piacerebbe sicuramente agli AC/DC
Chiudono il disco il blues acustico Too Old To Grow Up Now, anche
questa dal testo personale (e infatti composta in solitudine come
già Halloween) e la riproposizione di 5 Mètres Carrés,
stavolta in duetto con il co-autore Lanvin.
Insomma un buon modo di festeggiare i 20 anni di carriera (tanti
ne sono passati dallesordio con The Characters). Pur senza
aver mai raggiunto i livelli compositivi di Townes Van Zandt o
di Guy Clark, Russell fa parte di quella schiera di texani (Blaze
Foley, Rich Minus, Jubal Clark) che, perdenti o no, hanno saputo
trovare spesso la strada polverosa che porta ai nostri cuori.
Voto 6,5
(da
www.rootshighway.it dell'ottobre 2009)
CALVIN
RUSSELL
UNREPENTANT
(XIII BIS RECORDS) 2007
Edito sul finire dell'anno
passato da una piccola label parigina, uscito praticamente solo
in Francia in concomitanza con un tour in quel Paese, Unrepentant
è il disco meno riuscito di Calvin Russell.
Peccato, perché il texano dalle mille (e forse anche più!)
rughe, dopo una decade di lavori in studio altalenanti come Calvin
Russell (1997), Sam (1999) e Rebel Radio (2001), dopo il live
Crossroads (2000) e la bella raccolta (2004, con dvd) A Man In
Full, nel 2005 sembrava aver imboccato di nuovo la strada giusta
con In Spite Of It All, un album che non lo riportava ai livelli
qualitativi dei primi anni di carriera, ma accostabile all'ottimo
Dream Of The Dog di dieci anni prima. Con Unrepentant si fa qualche
passo indietro: sembra fatto in fretta, come se dovesse essere
pronto per essere venduto durante le date in Francia, uno dei
mercati più ricettivi nei confronti della musica di Calvin
Russell.
Dieci brani autografi (una novità) e backing-band composta
da Gabriel Rhodes alla chitarra e dalla solida base ritmica del
batterista John Gardner e del bassista Jon Blondell: si parte
con il rockaccio live senza pretese di Are You Ready per poi proseguire
con l'urlo di Free In Freedom (song aperta da un violoncello,
Brian Standefer, altra novità) con ospite ai cori L. Z.
Love; si va dal blues di Don't Want To Go To Heaven alla notturna
Midnite Man, una delle canzoni più riuscite. When You Smile
e Why I Love Her sono due canzoni d'amore, tesa la prima, rockata
la seconda. Il sax di John Mills e il piano e le tastiere di Mike
Thompson sono in evidenza in The More I Know. Me And You è
una ballatona delle sue, Different People torna al rock. Petit
Gars è cantata in francese, altra novità, ma che
ci dà da pensare sulle reali intenzioni di questo disco.
Alcuni testi sono interessanti e graffianti, ma si sente la mancanza
di un produttore che lo consigli e lo diriga.
Aspettiamo prove ben più ispirate da Calvin Russell, lui
è uno dei nostri.
Voto 5
(da
www.rootshighway.it dell'agosto 2008)
SIMONA
SALIS
CHISTIONADA DE MEI
(UPR FOLKROCK - EDEL) 2006
Con Chistionada De Mei
arriva l'esordio discografico di Simona Salis, giovane cagliaritana
che ha scelto la lingua campidanese per testimoniare l'attaccamento
alla sua terra, così come ci racconta nella title-track
(Parla Di Me).
È un disco (purtroppo breve, solo 33 minuti) che, per parafrasarne
il titolo, farà parlare a lungo: colorato, speziato, intenso
ed emozionante. Pur essendo un'opera prima, la maturità
di questo lavoro è evidente e occorre dare il giusto merito
al produttore Ivan Ciccarelli e ai musicisti Mark Harris, Santi
e Carmelo Isgrò, Massimo Germini, Stefano Bandoni, Saverio
Porcello, Mauro Settegrani, Enrico Guerzoni, Phil Drummy, per
essersi calati perfettamente nella parte: professionisti che non
si sono affidati solo alla tecnica, ma che hanno messo il cuore
in queste composizioni.
È un disco difficilmente catalogabile, ma dopotutto (parola
di Duke Ellington) esistono solo due tipi di musica: quella buona
e quella non buona. È acustico, solare, fresco come la
carezza della brezza in una serata estiva, ti scalda come il fuoco
di un camino durante i giorni di pioggia e di nebbia.
Si parla d'amore in Ita Ti Potzu Nai (Cosa Ti Posso Dire) e Su
Chi Mi Praxiri (Quello Che Mi Piace); Sorri Mia (Mia Sorella)
è l'ennesima dimostrazione di quanto siano importanti i
sentimenti e la famiglia.
Paragonata di volta in volta a Norah Jones o a Ginevra Di Marco,
Simona Salis è "semplicemente" Simona Salis:
una nuova piccola-grande Autrice dotata di una splendida voce
e di un'ottima vena compositrice (tutti i pezzi sono suoi) e l'esempio
perfetto potrebbe essere Canticu De Su Prexiu (Cantico Della Gioia)
che narra di un lungo viaggio attraverso mille esperienze per
poi accorgersi che la felicità la si può cogliere
semplicemente assaporando il passare dei giorni. Oppure S'Omini
(L'Uomo), che altro non è che la descrizione della chiusura
sia a livello fisico che psicologico dell'uomo occidentale.
È un album intimo, che mischia in modo originale suoni
etnici, cantautorato, folk.
Con i colori dell'autunno e dell'inverno sono Calat Sa Nii (Scende
La Neve), ispirata dal libro Neve di Maxence Fermine, e Mes'e'
Idas" (Dicembre); Su Gherreri (Il Guerriero) tratta della
necessità di esplodere in un grido che possa essere liberatorio
per vincere un dolore interiore.
S'Arriu De Su Coru (Il Fiume Del Cuore), posta al termine del
disco, è uno dei pezzi più belli: un pescatore che
viaggia nel fiume del cuore con la speranza di arrivare al mare.
Dopo varie esperienze anche all'estero Simona Salis è ripartita
dalle sue radici e già al primo colpo ci regala un piccolo
capolavoro.
(da www.bielle.org
del 16 agosto 2006)
ELISA
SANDRINI
... COME UN TIC-TAC
(AUTOPRODOTTO) 2018
Elisa Sandrini arriva all'esordio
discografico con
COME UN TIC-TAC.
Pianista diplomata al Conservatorio Boito di Parma, ma ha anche
studiato flauto e fisarmonica, è comunque con il canto
che estrinseca la sua naturale e contagiosa energia, e che riesce
a condividere le proprie emozioni con il pubblico, ora con un
sussurro, ora con voce prorompente.
Ad accomunare le nove canzoni
di questo primo album sono le riflessioni sullo scorrere del tempo,
sulla frenesia di questi tempi moderni che, pur fra tanti impulsi
e stimoli, può davvero stordire e far sentire inadeguate
le persone più sensibili, più passionali.
E sicuramente, per avere la possibilità di curiosare, apprezzare,
crescere e creare, bisognerebbe che il tempo scorresse più
lentamente, più dolcemente.
Nove canzoni tenere, delicate,
con i personaggi che vengono descritti spesso come fossero in
un limbo tra realtà e sogno. Personaggi talvolta inquieti,
sovente in conflitto (con le proprie paure, con il proprio io,
con la società), cercano rifugio nel non-reale, non come
scappatoia, ma per trovarvi all'interno la forza di affrontare
la vita di tutti i giorni; vita di tutti i giorni che significa
sì brutture e storture, ma anche amore, gioia, speranza.
Di tutti i suoi amori musicali,
da Joni Mitchell a Janis Joplin, da Etta James a Bjork, in questo
debutto pare uscire preponderante l'influenza di Tori Amos.
Viaggiando attraverso i trenta minuti di
COME UN TIC-TAC,
ci si ritrova piacevolmente sprofondati in un territorio dove
i ritmi pop vengono appena lambiti da suoni classici, e uno stupefacente
susseguirsi di ballate ti arriva dritto al cuore.
Potere di aperture melodiche semplici. Potere dell'essenza della
forma canzone. Ti sembra quasi di vedere questa giovane cantante
ed autrice mentre fa nascere, da sola al pianoforte, i propri
brani, curvando le parole, costruendo una canzone così
come si costruisce un amore. E poi, stremata eppure eccitata per
il risultato ottenuto, portare le proprie creazioni al Noise Studio,
e alla band formata da Tom Pea a chitarra e basso, Leonardo Cavalca
alla batteria, Leonardo Barbieri alla chitarra, Salvatore Iaia
al violoncello e Anna Maria Nagy al violino.
"Il presente è
tutto ciò che abbiamo per costruire il futuro che desideriamo.
Oggi questo presente è molto sfuggevole e non si ha mai
tempo di assaporarlo e sentirlo vivo. Il passato è solo
un ricordo che ci è servito per crescere e trasformarci
in ciò che siamo oggi. Il futuro un sogno e un desiderio
di miglioramento e realizzazione", parole (e musica) di Elisa
Sandrini.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
SATANTANGO
DOWNHILL (VINZA) 2002
Anna Poiani e i suoi quattro
pazzi compagni d'avventura si sono riuniti ad un polveroso e triste
crossroad. E ora non importa che tu sia seduto in riva ad un fiume
fangoso o stia camminano sul ciglio della strada, perchè
è il primo minuto del nuovo giorno e sui marciapiedi lerci
escono i protagonisti della notte: santi, peccatori, bastardi,
di fuori e di dentro, per nascita o per scelta, perdenti, puttane.
Le luci sono quelle dei lampioni, la musica è il blues.
Non è il blues di Chicago, non è quello che sguazza
nelle putride paludi della Luisiana, è piuttosto il blues
come lo canterebbe Patti Smith, ed è la notte come la canterebbe
Tom Waits.
Mentre in una bettola qualsiasi del Paradiso, Stiv Livraghi compone
poesie che gli angeli cercano di mettere in musica, quaggiù
ci pensano i Satantango a colorarne di blu i testi.
I personaggi delle canzoni, pazzi, innamorati, disillusi, randagi,
disadattati, possono lasciarsi attrarre dalle luci festanti del
luna-park, ma è solo un attimo, poi si ritirano nella sicurezza
che dà loro l'oscurità, e rimangono lì, senza
risposte, e senza domande; sembrano tutti appartenere ad una novella
Corte dei Miracoli, e non è un caso che il sogno da realizzare,
la speranza di una vita nuova, sia Parigi. In attesa di un Dio,
un Dio qualsiasi, magari anche un medicine man, che azzeri il
cronometro della vita.
(da www.blackdiamondbay.it
e www.satantango.it)
COLIN
SCOT
COLIN SCOT
(ECLECTIC DISCS - AUDIOGLOBE) 2006 (1971)
Colin Scot non ha avuto
il piacere di vedere il suo primo, omonimo, album solista ristampato
in compact disc perché ci ha lasciati nel 1999.
Come ogni musicista inglese si trovava a fare i conti con i Beatles,
ma non disdegnava certo il rock'n'roll, e apprezzava "la
tintinnante musica del cielo del west", come la chiamava
Jimi Hendrix.
Con la sua voce malinconica, aveva approntato questo disco in
bilico tra folk e cantautorato, che la United Artists si era affrettata
a pubblicare contando sul fatto che, oltre all'intrinseca bellezza
delle composizioni, si potevano vantare ospiti illustri come Robert
Fripp, Peter Gabriel, Phil Collins, Peter Hammill, Rick Wackeman,
Jon Anderson
In due parole, la crema della scena britannica progressive e rock
di quel periodo ha partecipato a questo disco che ancora adesso,
a distanza di tanti anni, suona tutt'altro che datato. La ristampa
della Eclectic ci permette di ascoltare questi quindici brani
(sono state aggiunte alcune bonus-tracks) costruiti in modo semplice
sugli arpeggi della Gibson di Colin Scot.
Non solo Beatles, come si diceva, tra le influenze (si ascolti
My Rain), ma anche il tipico suono west-coast in stile Crosby,
Stills, Nash & Young (Nite People); un altro accostamento
potrebbe essere Cat Stevens (Hey! Sandy). Del resto, il nostro,
nel suo girovagare per pub, alternava i suoi pezzi a numerose
cover.
Lungamente attesa dai fans, che magari nel lontano 1971 avevano
criticato la presenza dei fin troppo numerosi special guests ritenendoli,
a torto o a ragione, ingombranti, questa ristampa viene ora finalmente
a mitigare il dolore per la scomparsa di questo cantautore inglese,
che sicuramente preferiva un buon bicchiere alle celebrazioni.
Però vuoi mettere, ogni tanto, risorgere?
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
LUCA
SERIO BERTOLINI
MANCA LA POLVERE
DA SPARO
(AUTOPRODOTTO) 2006
Dopo la decennale esperienza
con i Jaele e dopo aver dato alle stampe (in pochissime copie)
il mini-cd LSB, il reggiano Luca Serio Bertolini giunge finalmente
al primo album. Registrato al Sex Blues Studio, "Manca La
Polvere Da Sparo" è un perfetto esordio in stile "cantautorato
folk-rock". Qua e là emergono echi dal quadrilatero
Bubola-Bertoli-Capossela-Guccini , ma le canzoni sono toste e
quello che manca è solo un accurato lavoro di produzione.
Delle sette canzoni di LSB son rimaste fuori solamente Bisogna
Salvar Tutti e La Prima Vita, le altre son tutte qui. Le acustiche
"Le solite cose" e "S.O.S." aprono i giochi,
con Luca in completa solitudine (è lui che suona chitarre
e percussioni e che si occupa dei cori). In "L'amore non
vale" entra in scena la band: la sezione ritmica ("Jambo"
Iori al basso e Leo Torricelli alla batteria) accompagna le chitarre
twang, fino all'ingresso del sax di Luigi Del Villano, per un
tango molto particolare. "Manca la polvere da sparo"
è una splendida canzone no-war: su di un acustico ritmo
ipnotico gioca splendidamente il piano di Andrea Fontanesi, poi
entra la batteria di Matteo Cecchi e l'atmosfera si fa incandescente.
"Vien da Est" si avvale dell'armonica di Massimo Castagnetti
e mantiene alta la tensione. "La danza della terra"
è il ritorno alla semplicità con Luca Serio Bertolini
che canta accompagnandosi solo con chitarre e percussioni. La
country-irish-folk "Lo zio Piero" vede il ritorno della
band, mentre in "Lunga vita al Re" si torna ad atmosfere
acustiche, seppur tenendo alto il ritmo, come nella successiva
reggaeggiante "Ubriaco di pace". Il sax di Del Villano
torna per la filastrocca di "C'era una volta". La dolce
"Fin quando vorrai" è aperta dal piano di Fontanesi
che dialoga con la chitarra di Luca. Siamo all'ultimo brano, "Riassunto",
con Serio Bertolini solo voce e chitarra. Voce matura e sicura,
un'ottima vena compositiva, una buona band alle spalle (dal vivo
la batteria è suonata da Vittoria Pezzoni e c'è
anche Alessio Berrè al violino) Luca Serio Bertolini è
un nome da tenere d'occhio per il futuro.
(www.picturesfromrock-west.it
e www.bielle.org del novembre 2008)
EMMANUELLE
SIGAL
TABLE RASE
(BRUTTURE MODERNE) 2017
"Let them talk, those
who will never understand the difference between the s of stupidiy
and the s of sensitivity"
Nel 2015, portando alla
luce dieci pezzi nascosti nel suo "sottosuolo" personale,
Emmanuelle Sigal ci aveva piacevolmente sorpresi: l'esordio di
SONGS FROM THE UNDERGROUND (titolo ispirato dal romanzo di Fëdor
Dostoevskij "Memorie dal sottosuolo"), appunto, vedeva
la cantante e autrice franco-israeliana, ma ormai anche un poco
italiana, avvalersi della collaborazione dei Sacri Cuori. Ne era
scaturito un disco brillante, trascinato da "Blues Train",
dal dialogo con Bukowski di "My Ass Between Two Chairs"
e da quel capolavoro che è "Refugee".
In rete si legge di paragoni con Mary Margaret O'Hara, Les Negresses
Vertes, Sade, Lana Del Rey, Anna Calvi, Françoise Hardy;
io aggiungerei Lhasa e Norah Jones.
Tutto questo può dare un'idea di ciò che si può
ascoltare nelle nove canzoni raccolte nel nuovo lavoro.
A due anni di distanza,
TABLE RASE mostra una crescita notevole.
Canzone d'autore, blues, jazz, musica popolare, swing, i ritmi
caraibici di "Clean Me Rain", l'avventura nel country
di "Bless", il valzer di "Laisse Les Parler",
cantando ora in inglese, ora in francese, con voce sensuale e
con una sbarazzina leggerezza per niente frivola.
I musicisti coinvolti,
Francesco Giampaoli, qui in veste anche di produttore, al basso
e alle tastiere, Marco Bovi a chitarre e mandolino, Diego Sapignoli
a batteria e percussioni, Enrico Farnedi a tromba, trombone e
mellotron, l'ospite speciale Marc Ribot alle chitarre, con incredibile
bravura infarciscono il tutto di ottime idee musicali (valga su
tutte il velato, ma non troppo, omaggio a Ennio Morricone di "Never
Give Jam To Pigs"), unendo in modo unico generi e stili musicali
così diversi tra loro. Una grande band. Non è un
caso che questi ragazzi vantino collaborazioni con Hugo Race,
David Hidalgo dei Los Lobos, John Convertino dei Calexico, Howe
Gelb, Massimiliano Larocca, Dan Stuart dei Green On Red, M Ward,
e una miriade di altri personaggi, noti e meno noti.
"Table Rase", "Rien Qu'Des Yeux Pour Toi",
"Small Talk", con ritmo serrato, completano il lotto
delle composizioni insieme alla cover della waitsiana "Telephone
Call From Istambul" e alla strumentale "Non Lo So".
Emmanuelle Sigal mostra
personalità, carattere, spigliatezza e ironia. Le sue canzoni
sono ricche di volti, narrano storie, spesso brutte e per niente
edificanti, ma le musiche sono disinvolte e profumano di colori
e di allegria, come se una volta in studio (e poi su un palco),
collassassero storture, malumori, oscure ombre e piccole e grandi
incertezze, e si liberasse invece la gioia derivante dalla consapevolezza
che la Musica è una delle rare cose in grado di illuminare
repentinamente i nostri sogni, che siano fatti di notte o che
siano fatti di giorno.
"Catching a train
is cool
catching the right train is better"
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
SPANISH
JOHNNY
JOKERJOHNNY.II
(AUTOPRODOTTO) 2007
Gli Spanish Johnny (nome
"trovato" in una canzone di Springsteen e titolo di
una poesia di Willa Sibert Cather dei primi del '900) invece di
stare inutilmente a discutere se il rock ha senso solo se cantato
in inglese oppure no, a distanza di pochi mesi dal primo capitolo
ci offrono Jokerjohnny.II, anche questo "rigorosamente"
metà in italiano e metà in english.
"Non penso che si possa rinunciare a sostenere cose nelle
quali ognuno di noi crede", canta ad un certo punto (in "Io
personalmente") Alessandro Ducoli (alias Cletus "Jokerdog"
Cobb), come non essere d'accordo?
Il disco inizia con "Born in the U.S.A." di Bruce Springsteen;
gli Spanish Johnny (Paolo Panteghini - Santiago "Ugly Boots"
Lobo e Tommaso Vezzoli - Blue Dakota alle chitarre, James Gelfi
- James "Suspicius Mind" O'Presley alla batteria, Tommy
Fusco - Geremiah "God Save The Queens" Smith al basso
e, Enrico Vezzoli - Henry Dakota a fisarmonica e tastiere) ne
fanno una cover irriverente: dura, sporca, quasi punk.
"La mia cellula di guardia" ci riporta alle atmosfere
polverose del primo disco: la strada da affrontare, sempre irta
di pericoli, di "santi dell'asfalto" che ci lasciano
in balìa di traditori e demoni; Ducoli canta con voce filtrata,
mentre la splendida voce di Veronica Sbergia (o meglio Bonnie
"Bon bon" Baker) ci ricorda la pinkfloydiana The Great
Gig In The Sky. "Just keeping" è esattamente
a metà strada tra Tom Waits e Chuck E. Weiss, "Morrison's
ladies" è un rock'n'roll notturno che mischia serpenti,
autostrade, stanze di motel con donne compiacenti. "Wrong
idea" si mantiene su atmosfere alla Chuck E. Weiss. "Rino"
è una dedica speciale a Rino Gaetano in chiave dapprima
folk-acustica che si fa via via più rockeggiante. La guerra
fa capolino nella ballata "Natale 1890". "La tua
rivoluzione" è introdotta dall'armonica; un'altra
canzone sul fatto che non si può mai abbassare la guardia,
perché "
i ladri li trovi nascosti ma escono
sempre per dare risposte più giuste
". L'amara
"Assenza di tempo" e la pianistica "R'n'r funeral"
(ancora Veronica Sbergia in evidenza) chiudono il disco.
Fanno parte della partita anche Beppe Donadio - Buddy Allen al
piano, Paolo Mazzardi - Erman Lebowsky all'hammond, Alessandra
Cecala - Alejandra Cicalito al contrabbasso, Zeno De Rossi - Zevulon
Bercovitz alla batteria e Mauro Ottolini - Ibrahim Hotolinko,
tuba.
Se siete in grado di tradurre la frasi poste in fondo alla confezione
("only r'n'r' can save our life") o in chiusura di disco
("r'n'r' can never die") sappiate che, prendendo atto
della vericidità di quelle affermazioni, vi saranno sempre
sufficienti canzoni con due chitarre, un basso e una batteria
(con la saltuaria aggiunta di una fisarmonica e di un'armonica
a bocca, giusto per ricordarci delle nostre origini) per sentirvi
vivi e con la voglia di comunicare emozioni a chi vi sta vicino.
Altro che isolarsi con un ipod qualsiasi. Hoka Hey!
(da www.rootshighway.it
del 25 aprile 2007 e www.spanishjohnny.it)
SPANISH
JOHNNY
JOKERJOHNNY.I
(AUTOPRODOTTO) 2006
Rock'n'roll!!! È
possibile in soli 28 minuti dichiarare con forza che a tutt'oggi
il rock non è ancora morto? La risposta è sì,
visto che c'è qualcuno che da anni va in giro addirittura
a dire che il rock'n'roll non morirà mai
Sicuramente è d'accordo Alessandro Ducoli, che scrive,
arrangia e produce (con l'aiuto di Andrea Bellicini) questo esordio
degli Spanish Johnny.
"Rubato" il nome al personaggio protagonista di una
vecchia canzone di Springsteen (Incident On 57th Street), ma anche
di una poesia dei primi del '900 di Willa Sibert Cather, spogliati
i panni di cover-band, Ducoli (alias Cletus "Jokerdog"
Cobb, voce, chitarra acustica e armonica) e i suoi pards si presentano
con cinque pezzi nuovi, una cover, una sorpresa.
Rock americano, con chitarre a tutta, influenze Paisley Underground,
lo stesso Boss, ma anche Neil Young in versione Crazy Horse, i
Pearl Jam, l'amore per le atmosfere western.
Inizio al fulmicotone con Spanish Johnny, il classico eroe di
strada, e "un angelo vestito in una goccia di profumo".
Le chitarre elettriche sono nelle mani di Paolo Panteghini - Santiago
"Ugly Boots" Lobo e Tommaso Vezzoli - Blue Dakota; alla
batteria James Gelfi (alias James "Suspicius Mind" O'Presley),
al basso Tommy Fusco (Geremiah "God Save The Queens"
Smith).
Zabulon prosegue sulla stessa falsariga, ma cambia lo scenario:
non più la strada, non più la città, ma gli
spazi aperti, le colline, un indiano che non vuole diventare
metropolitano.
Ancora grandi spazi in Tombstone. Qui le atmosfere si addolciscono,
entrano piano e fisarmonica (Enrico Vezzoli - Henry Dakota): splendida
ballata.
Il quarto pezzo in scaletta è Jokerman di Bob Dylan, in
una stravolta versione sporcata dagli umori e dai rumori di New
Orleans.
Si torna al rock con Demas, anche qui un bel testo, anche se la
musica è forse un po' troppo "già sentita".
Sparsi qua e là nelle sette tracce dell'album, ci sono
numerosi ospiti dagli improbabili nomi: Bonnie "Bon Bon"
Baker (Veronica Sbergia, voce), Erman Lebowsky (Paolo Mazzardi,
all'organo Hammond), Buddy Allen (Beppe Donadio, piano e voce),
Aaron Van Cleef (mandolino e voce, il già citato Andrea
Bellicini). Ma il posto d'onore spetta sicuramente ai Gang, che
regalano Figlio, con Marino Severini che ne recita in modo straordinario
il testo: "
Figlio sei arrivato ai cancelli del cielo,
il sangue scioglierà ancora una volta i tuoi capelli
".
Leaving Las Vegas, posta alla fine del disco, è un'altra
bella ballata che riprende da Zabulon e Tombstone il tema del
volo e dell'aria.
Una considerazione: il rock dovrebbe essere la musica per chi
vuole "vivere velocemente", è diventata la musica
di chi non vuol farsi prendere dal vortice della vita di oggi,
quindi, "se ti capita di avere più tempo, fai un giro
dalle parti di Tombstone".
(da www.spanishjohnny.it)