Reviews
from Rock - West: albums (A - F)
Atarassia
Gröp - nonsipuòfermareilvento (2006)
Lorenzo
Bertocchini & The Apple Pirates - Uncertain, Texas (2009)
The
Blackadillacs - Arizona sky (2018)
Alberto
Cantone - c'era un sogno per cappello (2008)
Johnny
Cash - American V: a hundred highways (2006)
Chichimeca
- luce/nur (2005)
Giampaolo
Corradini & The Weekend Warriors (2016)
Crifiu
- tra terra e mare (2006)
CSNY
- déjà vu / live (2008)
Shannon
Curfman - fast lane addiction (2007)
Francesca
De Fazi - one woman band (2005)
Francesca
De Fazi - blues dues + one woman band (2002 + 2005)
Del
Sangre - ...un nome ad ogni pioggia... (2006)
Claude
Diamond - highway of life / diamond dust (2006)
James
Luther Dickinson - Jungle Jim & the voodoo tiger (2006)
Michele
Diemmi - io e te (2018)
Lauren
Dillon - the cost of living (2003)
Lila
Downs - shake away / ojo de culebra (2008)
Lila
Downs - la cantina / "entre copa y copa..." (2006)
The
Drams - jubilee dive (2006)
Emily
Collettivo Musicale - ordinario dissenso (2017)
Blaze
Foley & The Beaver Valley Boys - cold, cold world (2006)
Blaze
Foley - wanted more dead than alive (2005)
Fabrizio
Frabetti - verso casa (2017)
Renato
Franchi & Orchestrina Del Suonatore Jones - sogni e tradimenti
(2006)
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ATARASSIA
GRöP
NONSIPUòFERMAREILVENTO
(KOB RECORDS - MAD BUTCHER RECORDS) 2006
Ecco il nuovo album degli
Atarassia Gröp: un miscuglio di punk, rock, reggae, ballate.
E un misto di rabbia, speranza, amore. Ma soprattutto amore, anzi
Amore, cantato con rabbia e speranza.
Il disco inizia con il recitato dell'ospite Marino Severini dei
Gang (vero e proprio guru per tanti gruppi dei giorni nostri)
con la splendida Il Sogno, appena accompagnato dal suono di un
organo; poi si scatena la band, sulle barricate di Parma con L'Oltretorrente
e a ricordarci che dopo averci messo tanti anni ad abbattere un
muro vergognoso come quello di Berlino, ora, ancora più
vergognosamente, se ne costruisce un altro in Palestina. Ma nonostante
cerchino di metterci Con Le Spalle Al Muro, c'è la speranza
che i nostri figli possano avere un futuro migliore, da costruire
Ad Ogni Passo. E tanti ricordi, tanto amore, per gli All Reds
Rugby Roma, per la resistenza (con Il Testamento Di Neri e L'Ultimo
Minuto Di Gianna), per il poeta Fabrizio De Andrè (con
Canzone Di Gennaio), per lo sport non inquinato dagli interessi
di denaro e politica (Sciarpe Tese), per un Vecchio Amico. E se
c'è il tempo per una Lettera A Genova, per due genitori
che non vedono ancora asciutte le lacrime per la perdita del figlio,
c'è anche il tempo per due sassate alle persone che fanno
di tutto perché non sia l'amore a trionfare (Anime Di Plastica
e Vi Odio), ma noi siamo ancora qui, a resistere e il giusto epilogo
è La Preghiera Dei Banditi, perché si rimanga per
sempre banditi, banditi senza tempo
Bello il booklet, con i testi anche per il mercato estero, bella
l'idea della suddivisione in capitoli, e bella la foto di Fulvio
"Devil" Pinto, uno dei numerosi ospiti - amici.
(da www.blackdiamondbay.it)
LORENZO
BERTOCCHINI & THE APPLE PIRATES
UNCERTAIN, TEXAS
(AUTOPRODOTTO) 2009
Narra la leggenda che un
giorno uno stregone Caddo, stanco del ritmico rullare delle percussioni
degli uomini della tribù, profetizzò l'arrivo di
visi pallidi con canzoni che avrebbero mescolato vari generi musicali
dei bianchi e dei neri chiamando il tutto folk'n'fun.
Mi sono inventato tutto, ma nella zona dov'era stanziata questa
tribù (confine tra Texas e Louisiana) un lago porta il
loro nome, e sulla sua sponda occidentale c'è appunto Uncertain,
Texas.
Cosa accomuna Varese e Uncertain, a parte il lago? Incertezza
Sta di fatto che Lorenzo Bertocchini & The Apple Pirates sono
tornati (a undici anni dal mitico Greatest Hits) sulla giostra
del rock'n'roll, accostandosi così agli altri "Italiani
del Jersey" Miami & The Groovers: come loro, secondo
disco e giostra in copertina; cosa curiosa che mostra una comunanza
di intenti, di gusti, di passioni non indifferente.
Questo viaggio degli Apple Pirates si insinua fin nel cuore degli
U.S.A., partendo proprio dal New Jersey dell'amato Springsteen:
Everybody è già ritmo e sudore, il sax di Dario
Paini che si alterna all'armonica del leader. Last Clean Shirt,
incentrata sul concetto sessodrogarockandroll, è uno dei
punti più alti dell'intero album (ottimo il lavoro ai tasti
di Roberto Masciocchi). Blue è velata di tristezza come
il suo titolo, sorretta dalla pedal steel di Alessandro Grisostolo.
You è una mossa canzone d'amore, poi con What Do You Hate
So Much si arriva in Texas: la sezione ritmica composta da Marco
Negrelli e Floriano Botter entra dopo l'introduzione piano-chitarra-organo
e ci trasporta in una affollata dance-hall, non importa che sia
il Broken Spoke di Austin, piuttosto che il Billy Bob's di Forth
Worth: pure texas music! Too Lazy è reggae. Cosa c'entra?
Ricordatevi che lo "zio" Willie Nelson ha già
ampiamente sdoganato negli States questo genere musicale che arriva
dai Caraibi: folk'n'fun deve essere, che folk'n'fun sia!
Su terreni più consueti è Walkin' Out In The Cold,
Perfect è di nuovo rock. La tenue Follow My Steps è
la pausa acustica prima della scatenata Rosie, Mary And Tiffany.
San Secondo è solo un sogno ambientato nel medioevo, dove
qua e là affiora però la ragazza del Jersey (che
guarda caso saliva sulle giostre del luna-park
) cantata
da Tom e Bruce. Hard Thing To Do è una bolgia sixties con
boogie, blues, rock: due elettriche (Alessandro Talamona e Luca
Pasqua) e via a palla. Sbuca dai sixties anche la lunga My Serenade,
popolata da tanti personaggi non per forza di cose legati alla
musica. Time Is Runnin' Out, elettrica, tastiere e sax, con un
banjo sbucato da chissà dove (Monti Appalachi?) e la buonanotte
affidata a I Am, sembrano riportare tutto verso est, dove il viaggio
ha avuto inizio, dove le luci del luna-park si confondono in quelle
della città, dove si può "ballare nell'oscurità
sulla spiaggia degli amanti disperati", per essere i primi
a veder l'alba
e poi ripartire. Voto: 7
(da www.rootshighway.it
del 17 aprile 2009)
THE BLACKADILLACS
ARIZONA SKY
(AUTOPRODOTTO) 2018
"Possa il Sudovest
essere ancora lì, a deliziarvi e a farvi riflettere, quando
crescerete e vi metterete in cammino alla ricerca del vostro posto
nel mondo."
Con queste parole, Alex Shoumatoff dedicava ai piccoli Oliver
e Zachary il suo libro Legends Of the American Desert.
Le leggende del deserto americano hanno sempre affascinato anche
giovani e meno giovani alle nostre latitudini. Specialmente per
chi è oltre o intorno ai
.anta, la Via Emilia è
sempre stata una sorta di Route 66 al contrario, dove l'orizzonte
e il mare, così come la speranza di libertà, erano
ad Est.
Mattia "Suppi" Superbi (voce e chitarra) e Stefano "Steve"
Ganzerla (chitarre), da 15 anni The Blackadillacs, hanno messo
in musica per la seconda volta (l'esordio era stato con Road &
Roll, gran bel titolo, nel 2013) la loro personale visione del
Southwest americano.
Esperienze personali, aneddoti, personaggi, animano i testi degli
otto brani, mentre la veste sonora è affidata ad un alternarsi
di rock, country, folk e blues.
L'apertura affidata alla title-track, tra caldo, serpenti a sonagli
e meteoriti, non avrebbe sfigurato nei primi dischi dei Dire Straits.
La sezione ritmica della band è composta da "Leo"
Leone al basso e da Daniele Girotti alla batteria (al quale si
alterna in alcuni pezzi Marco De Feo).
BOUND FOR LIVING ON THE EDGE (con Gianluca Magnani al piano elettrico)
è un rock-blues a metà strada tra ZZ Top e Doors,
mentre la successiva JACK vira verso il southern-rock: "every
journey begins saying goodbye to those I'll love forever, yes,
but in my way
".
CALIFORNIA (ONE NIGHT ONLY) è un'oasi elettroacustica in
stile Neil Young: "I am a dreamer and dreaming that night,
only one nigh with your eyes". SANDY IS ALONE mostra sonorità
più dure, e fa da ideale trait d'union tra Deep Purple
e Lynyrd Skynyrd. HAPPY LIFE (con Ivano Malavasi alla pedal steel
e "Dodo" Gattesi al piano) è una tenue ballata
tra passato, presente e futuro. DANGER DREAMERS, ospite Mario
Sehtl al violino, è un'esplosione sixties che sembra uscita
da un vecchio vinile dei Buffalo Springfield. La più cantautorale
("while autumn rips leaves from the branches you'll bask
in the sun") del lotto delle composizioni, BYE BYE MY LOVE,
con Giulio Vincenzi ospite alla pedal steel, è posta a
chiusura dell'album.
Da rimarcare in tutto l'album i cori della 3rd Blackadillacs Ad
Honorem, Elisa Boccafoli.
Se avete in programma di percorrere il tratto di strada che da
Ash Fork vi porta, attraversando Seligman e passando da Hackberry,
verso Kingman, per deviare poi verso Oatman in direzione California,
e vi state chiedendo quale potrebbe essere la colonna sonora ideale,
beh, credetemi, questo ARIZONA SKY è il disco che fa per
voi.
The Blackadillacs: parole, chitarre, genuinità, passione
e sogni (americani).
"Open your soul and let your heart run, babe".
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
ALBERTO
CANTONE
C'ERA UN SOGNO
PER CAPPELLO
(STORIE DI NOTE) 2008
Stefano Barotti, Massimiliano
Larocca, Andrea Parodi, Alberto Cantone
E' assodato: c'è una nuova generazione di cantautori, che
faranno Scuola a quelli che arriveranno dopo di loro, e che vanno
a sostituirsi a quelli che da troppi anni vivono di rendita sul
nome che si son fatti nel passato, non hanno più niente
da dire e magari rinnegano quello che dicevano prima.
Che la voce di Alberto sia tra le più belle del panorama
musicale italiano è una novità solo per chi segue
Sanremo e porcherie simili; ora, tre anni dopo il bellissimo esordio
di "Angeli e Ribelli", in c'era un Sogno per Cappello,
Cantone mette dodici canzoni a disposizione di genî, pazzi,
sognatori, innamorati delusi (non necessariamente innamorati di
una donna o di un uomo), artisti e viaggiatori, in modo che possano
rinfrancarsi e prendersi una rivincita nei confronti di chi li
disprezza e li denigra eppure, sotto sotto, inconsciamente un
poco li invidia.
Strumentalmente ricchissimo, grazie soprattutto alle "invenzioni"
del polistrumentista Sandro Gentile, questo nuovo lavoro è
suonato e cantato da una lunga lista di amici, tra i quali è
d'obbligo citare il Maestro Claudio Lolli, che offre la voce in
"La mia città", zenith di un disco veramente
straordinario, dove viene cantata probabilmente Treviso, in un
ritratto facilmente accostabile a molte città del nord,
sempre più superficiali e dimentiche della propria storia
e tradizione.
In "La notte di Hemingway" c'è una chitarra che
sembra presa in prestito da Buena Vista Social Club. "Il
talento" si snoda tra pianoforte e chitarra e sul finire
("
chi ha il talento
dell'aspettare") va idealmente
a legarsi alla successiva "La saggezza" ancora con ritmi
sudamericani. "C'era" è l'elogio delle vecchie
cose buone passate ("
c'era un fanale di bicicletta
ad illuminare le nostre sere
), soprattutto passate in compagnia,
in giorni dove se non chatti non sei nessuno. "Lo specchio"
è quasi sussurrata, come fosse una ninna-nanna, oppure
una fiaba. Sempre in bilico tra sogno e realtà è
"Una nave d'amore", mentre "Una moneta nella testa"
è un altro dei momenti topici dell'album, con la follia
che si confonde con la saggezza di una persona che, guardando
il mondo "da altre angolazioni", vede forse molto più
chiaramente di noi tutti. Importante anche la successiva "I
sogni", perché "
sono concessi solo ai giovani
ed ai pazzi, ma da un po' di tempo ai giovani un po' meno
".
"Volevo dribblare una stella" è l'omaggio a chi
si sente avvilito quando non può, per mille motivi, dare
sfogo alla propria fantasia. "Terapia" (a firma Marco
Napoletano) e "Mal di luna" sembrano quasi due possibili
finali alternativi della storia di Alfredo, l'uomo con la moneta
nella testa.
Alla fine, nascosta, c'è "La vera canzone di Rosellina
e Alberto Cantone", esilarante parodia (da un'idea di Davide
Camerin) delle canzoni del primo disco.
Non è messa lì a caso. L'ironia è una delle
poche armi che ci sono rimaste per combattere l'ipocrisia dilagante.
Capolavoro!
Voto: 8
(da www.rootshighway.it
dell'11 febbraio 2009)
JOHNNY
CASH
AMERICAN V: A
HUNDRED HIGHWAYS
(AMERICAN - LOST HIGHWAY) 2006
A Hundred Highways è
il disco che contiene l'ultima canzone scritta da Johnny Cash
prima della morte: Like The 309 è una train song cantata
con il cuore in mano, con la sofferenza nella voce, voce che ha
perso forza e che a volte sembra spezzarsi, eppure arriva ancora
a toccarti l'anima; intensa e commovente, seppur più fragile
che in passato.
Johnny Cash ci ha lasciati tre anni fa e questa raccolta di dodici
canzoni non fa che aumentare la nostalgia; ecco però che
la magia ritorna, seppur malinconicamente, ad uscire dalle casse
dello stereo con il quinto capitolo della serie American Recordings,
sempre curata da Rick Rubin.
Le registrazioni sono iniziate all'uscita di America IV con Cash
malato e distrutto dalla perdita della moglie June Carter. Assemblato
come al solito mischiando passato e presente, A Hundred Highways
pesca in cinquant'anni di grande musica: si va dalla Help Me di
Larry Gatlin alla I'm Free From The Chain Gang che era nel repertorio
di Jimmie Rodgers, passando per Gordon Lightfoot (If You Could
Read My Mind), Springsteen (Further On Up The Road), Hank Williams
(On The Evening Train, un'altra storia legata ai treni), Rod McKuen
(Love's Been Good To Me), Don Gibson (A Legend In My Time).
God's Gonna Cut You Down è un tradizionale portato al successo
da Odetta, mentre I Came To Believe è il secondo pezzo
scritto da Cash per questo lavoro.
Spiccano verso la fine, le cover capolavoro di Rose Of My Heart
di Hugh Moffatt e di Four Strong Winds di Ian Tyson.
Tante chitarre (Mike Campbell, Smokey Hormel, Matt Sweeney, Jonny
Polonsky, Randy Scruggs, Pat McLaughlin), Benmont Tench al piano
e all'organo: arrangiamenti scarni ad accompagnare lo strumento
in più, la voce di The Man In Black.
Cento strade percorse (ma forse erano mille di più, e molte
erano pericolose) fino a che, "tired of walkin' all alone"
(da Help Me), non ha imboccato quella che lo riporterà
per sempre accanto alla sua June.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
CHICHIMECA
LUCE - NUR
(TàJRà) 2005
A due anni di distanza
dall'ottimo Barbari, esce Luce - Nur, nuovo album dei sardi Chichimeca.
In realtà è un extended play, solo cinque pezzi,
ma non mancano gli spunti d'interesse. Ad esempio la title-track,
posta all'inizio, è inaspettatamente in lingua araba: una
breve poesia di Claudia Crabuzza, adagiata sui suoni dell'oriente.
I musicisti sono gli stessi del disco precedente: oltre all'espressiva
voce della Crabuzza (autrice dei testi) ci sono la fisarmonica
e il pianoforte di Fabio Manconi, le chitarre di Gianluca Gadau
e il basso di Massimo Canu, mentre Andrea Lubino si occupa di
batteria e percussioni (ospite alle percussioni anche Alberto
Cabiddu).
Il secondo pezzo (Dall'Ombra) è l'unico cantato in italiano,
perché con la cover di El Aparecido di Victor Jara, si
torna allo spagnolo tanto caro ai Chichimeca; già da tempo
questa canzone fa parte del repertorio live del gruppo. Despedida,
ancora in spagnolo, è una bella ballata mexican-style aperta
dalla tromba (Andrea Piu) che improvvisamente si velocizza, con
tutti i musicisti scatenati, per poi tornare tranquilla alla fine
e spegnersi sul pezzo successivo, dove tra il vocìo delle
persone (un locale? una piazza di paese?) violino (Francesca Fadda)
e piano portano a termine il disco.
In attesa di una raccolta di canzoni più corposa, gustiamoci
questi cinque pezzi, pieni di
"bellezza che sorride"
(da www.blackdiamondbay.it)
GIAMPAOLO
CORRADINI & THE WEEKEND WARRIORS
GIAMPAOLO CORRADINI
& THE WEEKEND WARRIORS
(AUTOPRODOTTO) 2016
Una favolosa, folle, veloce
corsa negli anni '60, per recuperarne lo spirito musicale e trasportarne
l'essenza ai giorni nostri.
Questo è l'esordio di Giampaolo Corradini & The Weekend
Warriors.
Messi da parte Substitutes
e The Youngs, Giampaolo Corradini crea otto brani tra beat e rock,
tra Kinks e Dick Dale, e dà libero sfogo ai Weekend Warriors
(gran bel nome!), fantastico ensamble costituito da Piergiorgio
Bonezzi alle chitarre (ce ne sono tante, in questo disco!), Christian
Borghi a piano e tastiera, Luigi Degl'Incerti Tocci al basso e
Marco Falavigna alla batteria.
I testi, in italiano, sono importanti: pur essendo otto storie
prevalentemente legate al quotidiano ("Ma che vita è
questa qua, un giorno prende un altro dà, e tira calci
nel culo mascherati da opportunità", da La sentenza)
trovano al loro interno momenti poetici, e sappiamo quanto difficile
sia trovare la poesia ai giorni nostri ("Se un giorno ti
chiederai dov'è finito quel bambino, dove son spariti i
sogni a cui sembrava così vicino", da Vivere è
bello da morire).
L'inizio è affidato a Ofelia dice ("Ofelia dice che
saltare senza prima aver guardato, è un esercizio che spaventa
i professionisti della vita"); le primissime note ricordano
un po' il suono West-Coast degli America, che comunque sono nati
in Inghilterra, a suggellare un legame, anche di cuore, tra due
mondi musicali che si sono influenzati a vicenda costantemente
nel corso degli ultimi cinquant'anni.
Scorrono così Cicatrice sociale, Umana catena ("Ma
questo è quello che ci viene dato, un romanzo dal finale
scontato, una storia nata già finita, come sabbia scorre
tra le dita"), La spiagga, Il posto fisso, con stile volutamente
old fashioned, ancorato al passato, ma tutto cantato e suonato
con forza, vivacità, passione e competenza.
E quando in Pensa che bello Giampaolo canta "un bicchiere
con gli amici, padre, padre, padre, padre" e sul quarto padre
la voce si spezza, ci si rende conto di quanto sia vero e sentito
questo disco.
Alla fine una voce fuori
campo dice "Ciak, si gira" e ripensi subito a qualche
vecchio film in bianco e nero, dove gli unici effetti speciali
erano la bravura degli attori e le emozioni che sapevano dare.
E quindi sì, si gira, si preme ancora play, e il prossimo
weekend ti sembra più vicino.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
CRIFIU
TRA TERRA E MARE
(ETHNOWORLD - VENUS) 2006
Terzo album per i salentini
Crifiu. La strada da seguire è sempre quella, "La
Strada Del Sogno", come intitolava il primo disco (2001):
il sogno di riuscire a mescolare suoni, ritmi, dialetti della
propria terra, con quelli degli altri popoli che si affacciano
sul Mediterraneo; in più con un'apertura verso l'elettronica
e la programmazione (se ne occupa Alessandro De Paoli, anche al
tin whistle, al flauto e alla ciaramella) per dare un ché
di contemporaneo alle musiche e ai testi di Luigi De Paoli (chitarrista
e mandolinista) e al tradizionale del Salento Sutta 7 Cieli.
"Tra Terra E Mare" giunge a tre anni di distanza da
"Di Periferia
" ed è il risultato di tante
conoscenze avvenute lungo i tanti chilometri percorsi per portare
le proprie canzoni sui palchi di tutta Italia, ma non solo, palchi
divisi spesso con una miriade di altre band, in un continuo scambio
di idee ed emozioni.
Era così inevitabile che le collaborazioni si spostassero
dalle assi di un palco alle mura di una sala di registrazione:
a dare il loro contributo a "Tra Terra E Mare" abbiamo
membri di Modena City Ramblers, Folkabbestia, Mascamirì
e The Gang.
La voce di Andrea Pasca si confronta con quella di Marino Severini
in Onda D'Ombra (introdotta da Cosimo Giagnotti) e Di Pane Di
Vino, La Vita. Le chitarre elettriche di Sandro Severini, Francesco
"Fry" Moneti e Alessio Amato danno più vigore
alla stessa Onda D'Ombra, a Sutta 7 Cieli, a Vorrei Vorrei e Nu'
mm'ha' Dire (dove compare, come in Trans-World Express, la tromba
di Simone Stefanizzi), mentre in Come Sarà? c'è
il violino di Fabio Lo sito; la base ritmica è formata
da Ivan Schito alla batteria e Giovanni Amato al basso (anche
cori e tromba), la fisarmonica è nelle mani di Gianni De
Donno.
A completare il tutto, sparsi qua e là, frammenti di Pippi
De Curse e Pier Paolo Pasolini.
Una citazione a parte merita Cecilia, ispirata all'omonimo canto
tradizionale.
Folk-Core? Sicuramente gli ingredienti musicali di "Tra Terra
E Mare" provengono dal sud dell'Italia, dai Balcani, dall'area
Maghrebina; i Crifiu li mischiano con entusiasmo e creatività
e poi li fanno ripartire dalla loro Terra, spinti dal Vento, sull'Acqua
del Mediterraneo: è il sacro Fuoco della musica.
(da www.bielle.org
del 6 agosto 2006)
CSNY
DEJA' VU / LIVE
(REPRISE) 2008
Escono in contemporanea
film/documentario e colonna sonora incentrati sul Freedom Of Speech
Tour che ha attraversato in lungo e in largo gli States due anni
fa.
Ovviamente il fatto che il tutto veda la luce quasi a ridosso
delle elezioni americane non è un caso: Neil Young con
le canzoni del controverso e discusso Living With War, gli altri
tre con alcuni classici, vogliono contribuire ad assestare l'ultima
spallata al partito repubblicano appoggiando in toto la candidatura
di Barak Obama.
Viene rispolverata What Are Their Names? che era sul favoloso
primo album solista di David Crosby, quel If I Could Only Remember
My Name spesso citato come esempio di spontaneità nelle
collaborazioni tra artisti (partecipò la crema della musica
westcoastiana); il brano (a firma David Crosby, Phil Lesh, Neil
Young, Jerry Garcia, Michael Shrieve), posto giustamente in apertura,
è seguito dalla versione solo pianoforte di Living With
War (registrata in studio) che poi chiuderà anche il disco.
Con After The Garden arrivano i primi problemi, di ordine tecnico:
sembra quasi di ascoltare un bootleg, le voci sovrastano tutto
e si fatica a distinguere le chitarre. Qualcuno si chiederà
perché Young da tempo rinvia l'uscita degli Archivi con
la scusa della nitidezza del suono, ne minaccia l'edizione solo
in Blue-Ray (idea fortunatamente rientrata) e poi fa pubblicare
robe così. Military Madness di Graham Nash non poteva mancare:
in questa versione l'inglese cita anche Bush. La band gira a mille:
Rick Rosas al basso, Chad Cromwell alla batteria, Spooner Oldham
alle tastiere, Ben Keith alla steel, Tom Bray alla tromba, fanno
tutti parte del giro younghiano. Let's Impeach The President è
l'inascoltato grido di richiesta di destituzione di George W.
Bush dalla carica di presidente, evidentemente non solo dalle
nostre parti c'è al potere una vera e propria ciurma da
tribunale, indegna di rappresentare un Paese. La title-track,
a firma Crosby, già dava il titolo al primo disco in studio
del mitico quartetto, che ha venduto ad oggi almeno 8.000.000
di copie solo in U.S.A..
Shock And Awe era uno dei punti più alti di Living With
War, così come Families, che parla del ritorno a casa dei
soldati uccisi infilati in sacchi di plastica. Scorrono poi in
rapida successione Wooden Ships (composta da Stephen Stills, Crosby
e Paul Kantner dei Jefferson Airplane), Looking For A Leader (che
auspicava l'arrivo di Obama), l'inno For What It's Worth (dal
periodo Buffalo Springfield), Living With War (band version),
Roger And Out, per arrivare al gran finale con le immancabili
Find The Cost Of Freedom e Teach Your Children.
Non so se nel 2008 possano ancora interessare a qualcuno questi
vecchietti terribili, sicuramente deve interessare quello che
hanno da dire e, accidenti, se lo sanno dire bene!
Voto: 7,5
(da www.rootshighway.it
del 30 luglio 2008)
SHANNON
CURFMAN
FAST LANE ADDICTION
(PURDY RECORDS) 2007
Per andar forte è
sufficiente schiacciare il pedale dell'acceleratore, più
difficile è "sapere" andare forte. Alle canzoni
di Fast Lane Addiction le canzoni veloci non mancano, ma l'autista
finisce costantemente fuori strada. Guidava meglio quando, non
ancora in età per la patente (Shannon Curfman è
nata a Fargo, North Dakota, il 31 luglio 1985) esordiva ottimamente
con Loud Guitars, Big Suspicions. Era il 1999 e da allora, di
colei che era stata presentata come la novella Bonnie Raitt è
nel frattempo uscito solo un EP (nel 2006) intitolato Take It
Like A Man, le cui cinque canzoni potete comunque ritrovare al
completo in questo nuovo album.
Che ormai tanto nuovo non è, visto che è uscito
sul finire dello scorso anno, ma sul quale per mesi ho ragionato
cercando di capire se c'era qualcosa che poteva essere salvato.
Del rock-blues di anni fa rimane poco (ma là c'era Johnny
Lang), spesso si sfocia in un hard rock di maniera, con songs
che vogliono essere energiche ma che risultano alla fine inconcludenti
e senza fantasia. Forse si pecca anche di presunzione, non includendo
nessuna cover (strepitosa era la The Weight sul primo album) in
favore di dieci brani autografi, seppur co-scritti con gli altri
membri della sua band (più la title-track a firma Krizan/Conklin/Coletti)
da cui ci si aspettava sicuramente di più, avendo avuto
parecchi anni a disposizione. Se al momento dell'uscita questo
disco è passato quasi inosservato un motivo ci sarà
(negli U.S.A. è arrivato al n° 8 della Top Blues di
Billboard, il primo disco arrivò al 3°). Tre anni in
giro con Kenny Wayne Sheperd non le hanno lasciato nulla?
L'inizio con Fast Lane Addiction è interlocutorio, e Do
Me non risolleva di molto le sorti. Little Things continua sullo
stesso tono, ricordando la peggior Sheryl Crow, quella dei tempi
in cui si innamorava di un ciclista (a proposito, il titolo del
primo disco della Curfman era stato pescato nel testo di Hard
To Make A Stand della bionda del Missouri). Square In A Circle
non è male, ma è rovinata da un arrangiamento a
dir poco sciagurato. Can't Let You Go rallenta i ritmi, vira verso
il soul, ma siamo lontani dall'avere un risultato decente. Why
parte benissimo e rimane uno dei pochi brani apprezzabili di questo
lavoro. Tangled e Another sono altri due brani decisamente trascurabili.
Ancora più hard-rock che rock-blues in Stone Cold Bitch,
mentre in Sex Type Thing si tenta di copiare Joss Stone, ma purtroppo
l'ultima e non quella del pregevole The Soul Sessions. Per finire
c'è una bonus track: I Can't Wait To Miss You; solo chitarra
e voce Shannon ritrova una semplicità di fondo che fa comunque
ben sperare per il futuro. La voce è rimasta molto bella,
intensa; la chitarra la sa suonare, non diventerà una Bonnie
Raitt, ma potrebbe almeno reggere il confronto che al momento
la vede perdente con la quasi coetanea Grace Potter.
Voto 4,5
(da www.rootshighway.it
del 28 agosto 2008)
FRANCESCA
DE FAZI
ONE WOMAN BAND
(AUTOPRODOTTO) 2005
One Woman Band è
il disco che vorresti che tante italiche ragazze prendessero come
esempio: non esistono infatti solo le laurepausini o le alecsie,
ma ci sono anche ragazze, come Francesca De Fazi, che armate di
chitarra, voce e un cuore grande così, si imbarcano in
avventure che difficilmente le porteranno al successo ma, seguendo
le passioni, anche a scapito del conto in banca, arriveranno ad
un arricchimento ancora maggiore, quello dell'anima.
Lasciata momentaneamente da parte la band che l'aveva accompagnata
nel precedente Blues Dues, Francesca De Fazi ci presenta una serie
di brani, talora di sua composizione, talora cover scelte con
gusto, presentandosi sul palco del Big Mama con acustica e dobro.
Il blues imperversa e la fa da padrone: si parte da lontano con
un omaggio a Bessie Smith (T'aint Nobody Bizness) e Memphis Minnie
(Me and My Chauffeur) e si mischiano ottime rendition blues della
Love Me 2 Times dei Doors e Working Class Hero di Lennon a brani
autografi (Teachin' While I Learn, Paula, Circe of You), chiudendo
con l'inchino ad un'eroina tra le guitar women dei nostri tempi:
Bonnie Raitt. In tutto dodici pezzi, senza mai cadere di tono.
La tecnica chitarristica è ottima e la voce lascia trasparire
una sincerità che ti lascia il dubbio che Francesca invece
che da Roma, non provenga da un qualsiasi buco adagiato sulle
sponde del fangoso Mississippi. Invece è italiana, andiamone
fieri.
(da www.francescadefazi.it
e da www.highwayofdiamonds.135.it)
FRANCESCA
DE FAZI
BLUES DUES
(AUTOPRODOTTO) 2002
ONE WOMAN BAND
(AUTOPRODOTTO) 2005
Da due concerti tenutisi
al mitico Big Mama di Roma, arrivano questi due album live di
Francesca De Fazi: nel primo, intitolato Blues Dues, è
accompagnata dai fidi Luciano Gargiulo (piano e hammond), Antonio
Santirocco (batteria) e Marco Bonini (basso), mentre nell'acustico
One Woman Band è in solitudine con dobro e chitarra.
Due concerti molto caldi, che offrono l'occasione per presentare
una lunga serie di cover, ma non solo, reinterpretate con gusto
e gran cuore.
Così, mentre il Blues Dues abbiamo Janis Joplin (Move Over)
e Jimi Hendrix (Manic Depression), le splendide Son Of A Preacher
Man (con un grande lavoro di Gargiulo, ma tutti i musicisti vanno
lodati) e A Whiter Shade Of Pale, ma anche le renditions "bluesizzate"
di Like A Virgin e Material Girl, in One Woman Band possiamo ascoltare
pezzi di Steve Winwood (Can't Find My Way Home) e Memphis Minnie
(Me & My chauffeur), alternati a Working Class Hero (John
Lennon), Road Is My Middlename (Bonnie Raitt), mescolati a Robert
Johnson (Come On Into My Kitchen) e Bessie Smith (T'Aint Nobody
Bizness). Sono quindi rappresentate un po' tutte le influenze
della bionda chitarrista, da quando era "una ragazza come
tutte le altre" a quando, vedendo in concerto B. B. King,
le è cambiata la vita.
Sul palco Francesca De Fazi è una forza della natura, sia
da sola, sia supportata dalla band; le doti chitarristiche non
si discutono, e la voce arriva direttamente dall'anima, sincera,
calda, da vera blues-woman. E' così che, ascolto dopo ascolto,
sono i pezzi autografi ad uscire con prepotenza: Paula, Circe
Of Love, la lunga S. Francisco '68 (
Lovin people on the
street, Livin in rocking harmony, Cause you know I feel that way,
S.Francisco '68
), Flowers On The Stage (
Don't you
know, after all, I'm a woman And I've got any kind of fears, Under
these tears of rage
), la scatenata Everywhere I Go, Ache
In My Heart (
Oh darling I wish I could climb the highest
mountain, So high to touch the moon and the sun in the sky, So
far is my favourite star, Shining warm and so bright in your eyes
),
per finire con Teaching While I Learn, unico brano presente in
entrambe le raccolte.
Per chi ama il blues, e magari sente scorrere nelle vene le "muddy
waters": non c'è bisogno di andare a Chicago, o nelle
bettole lungo il delta del Mississippi; ai nostri Fabio Treves,
Paolo Bonfanti, Fabrizio Poggi, Enrico Micheletti, accostate tranquillamente
il nome di Francesca De Fazi: non resterete delusi!
(da www.blackdiamondbay.it)
DEL
SANGRE
UN NOME
AD OGNI PIOGGIA
(BANDONE MUSIC) 2006
C'è un deciso cambio
di rotta nel nuovo album dei Del Sangre: Luca Mirti, cantante
e autore degli undici brani (ma c'è anche una ghost-track),
lascia da parte il country ed il rock, Johnny Cash e Bruce Springsteen,
e vira verso atmosfere più tranquille, in parte legate
ai sixties.
Un Nome Ad Ogni Pioggia
inizia con La Mia Città,
dedica notturna a Firenze, ai suoi santi assassini, ai suoi poeti
contrabbandieri, ai suoi archi e vicoli che puzzano di vino: le
chitarre spagnoleggianti di Luca Mirti e Vieri Bougleux, Marco
"Schuster" Lastrucci al basso e Gianfilippo Boni all'hammond.
Mirti si trasforma in cantastorie e con la sua voce roca qui ricorda
Gastone Pietrucci quando canta delle sue Marche.
La batteria di Marco Barsanti entra sul secondo pezzo, Si Muore
Una Volta Sola: una storia d'amore dal ritmo incalzante, con una
tromba (Luca Marianini) che veste il tutto di tristezza. Il Mio
Nome E' arriva rockeggiante dagli anni '60, mentre Marcella Au
Revoir riporta il disco su toni soffusi, quasi jazzati, con wurlitzer,
archi e tromba.
La morte aleggia in Il Diario Dell'Assassino, brano che sembra
una out-take di Sleeps With Angels di Neil Young. Per Non Lasciarti
Fare
è più cantautorale, con Luca Mirti in
completa solitudine (voce, chitarra, pianoforte). La brevissima
Quando E' Tempo è un rock duro che squarcia per un attimo
le tenebre, ma con Se Potessi, introdotta e chiusa dal suono di
un carillon, si torna alla malinconia che possono dare la notte,
i sogni, un arcobaleno, una farfalla, la pioggia ("
darei
un nome ad ogni pioggia, come te la chiamerei, per bagnarmi col
tuo nome se vorrai
").
Hotel Cristo è uno dei tanti luoghi dove si ritrovano i
personaggi che danno vita e anima alle canzoni di Luca Mirti:
santi, peccatori, assassini, ladri, prostitute; anche qui grande
spazio a pianoforte, archi e tromba. Tra Una Lacrima E Il Cielo
è una richiesta di aiuto ("
ora che sono in bilico
",
"
ora che devo scegliere
"), un grido di speranza
"tra bestemmie e preghiere che Dio ignorerà".
L'anima del rocker che è in Mirti rispunta in Il Confine
Dell'Odio E Dell'Amore / The Line Of Love And Hate, omaggio alle
vittime dell'11 settembre; il leader dei Del Sangre soffia con
passione nell'armonica e duetta con Joe Grushecky: perché
non ci siano più "
sogni lacerati in polvere
e destino, e croci avvolte dal dolore negli occhi di un bambino
".
Pianoforte e tromba sostengono la voce di Luca Mirti nella traccia
fantasma, senza titolo nel bel booklet che accompagna il cd.
Il terzo disco del gruppo toscano è un lavoro più
introspettivo rispetto a quelli che lo hanno preceduto; un altro
passo verso la piena maturazione, senza la rabbia e la sofferenza
che erano in Terra Di Nessuno, che sono ora latenti, ma sono lì
in ogni nota suonata, pronte di nuovo ad esplodere: dopotutto
la strada dei Del Sangre è ancora lunga e, c'è sempre
da dare
Un Nome Ad Ogni Pioggia
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
CLAUDE
DIAMOND
HIGHWAY OF LIFE
/ DIAMOND DUST
(VETTSEL MUSIC - ROUNDER EUROPE - IRD) 2006
Georgiano, 67 anni, Claude
Diamond arriva al suo secondo disco.
Highway Of Life è il titolo del nuovo lavoro, reperibile
unito al precedente Diamond Dust, targato 2004, in un unico cd
per un totale di settantacinque minuti.
Voce e chitarra, Claude Diamond, si fa aiutare da pochi musicisti
(il polistrumentista J. David Leonard che si divide, o si moltiplica,
fate voi, tra tastiere, basso, chitarre, batteria; Robert Taylor
al violino; Tommy Dodd alla steel guitar), e ci regala ventuno
sue composizioni registrate in due studi (Reveal Audio Services
per quel che riguarda quest'anno, Writeside Productions per il
2004) di Marietta, alle porte della capitale mondiale delle bollicine:
Atlanta.
Nessun ospite di nome (ma non ce n'è bisogno), tante le
influenze: vengono alla mente Guy Clark, Billy Joe Shaver, John
Prine. Come in un lungo viaggio lungo la Interstate 20, qua e
là fanno capolino gli stati del sud, con il vento della
Georgia e la polvere del Texas, sfiorando le paludi della Louisiana,
senza dimenticare Alabama e Mississippi. Country music in primis
(Last Man On Earth e Little Copper Wire), ma anche zydeco (Out
On The Salt), dolci ballate (I Waited Too Long e Someone I Need),
un pizzico di blues (Bluesy Blues), episodi più rockeggianti
(Half My Doublewide), profumi del border (Her Old Adress), narrando
di viaggi in auto (North Of Exit Ten, la vecchia Ford di I Hope
Hell Freezes Over), in treno (Nashville Train), in greyhound (Talking
To Strangers), magari cercando Elvis tra le stelle (Spend A Little
Time With Me), o più realisticamente sognando vacanze a
Napoli e Parigi (Land On The Moon), magari con ragazze scatenate
(Dance With The Hurricane), cantando Jerry Lee Lewis (The Girl
I Love), oppure Merle Haggard e George Jones (I Drop Quarters),
senza tralasciare strani incontri con Dio (Highway Of Life, The
Phone Call e Edge Of The World); su tutte Land Of Zydeco, ottimo
esempio di come mischiare in modo sapiente Joe Ely e Calvin Russell.
Fermatevi a fare un pieno di polvere di diamante, il viaggio sulla
superstrada della vita vi sembrerà più lieve: long
may you run!
(da
www.rootshighway.it del novembre 2006)
JAMES
LUTHER DICKINSON
JUNGLE JIM AND
THE VOODOO TIGER
(MERLESS RECORDS) 2006
James Luther (Jim) Dickinson,
ha suonato con Rolling Stones e Ry Cooder (solo per citarne un
paio) e ha lavorato con decine e decine di gruppi, dai Green On
Red ai Replacements, ai Lucero, ai Big Star, a John Hiatt, a Bob
Dylan, ma in quarant'anni di carriera Jungle Jim and the Voodoo
Tiger è solo il quarto disco solista.
È il padre di Luther e Cody, due terzi dei North Mississippi
All Stars, che suonano in questo disco chitarre e banjo (il primo)
e batteria e percussioni (il secondo), insieme ad altri amici
come Alvin Youngblood Hart alle chitarre, Jim Spake al sax, Reba
Russell e Jimmy Davis ai cori, Paul Taylor e Amy Lavere al basso,
Tommy Burroughs al violino, Mark Sallings all'armonica; ovviamente
voce, piano e tastiere ce li mette lo stesso Jim.
Undici cover, tra boogie, rock, swing, country, blues, ballate,
swamp, addirittura samba.
L'inizio è affidato a Red Neck, Blue Collar, intro strumentale,
poi la voce fumosa, cavernosa, incatramata, alcolica, di Dickinson
padre inizia a raccontare questa storia in stile country.
Truck Drivin' Man è una vecchia canzone per camionisti,
Violin Bums è ancora country, ma più in forma di
ballata, cantata in modo quasi confidenziale. Out Of Blue è
ancora ballata, ma a metà tra soul e gospel. Love Bone
mischia blues e soul, mentre Hadacol Boogie sbuffa veloce come
il treno sulle note di piano e violino; e se Rooster Blues richiama
gli albori del rock'n'roll più selvaggio, White Silver
Sands ci porta ancora più indietro, al dixieland.
Can't Beat The Kid (part 2) è ancora blues; la magnifica,
romantica versione di Somewhere Down The Road sarebbe la conclusione
perfetta del disco, ma a sorpresa alla fine c'è curiosamente
Samba De Orfeo.
Sicuramente non "The Greatest Album On Earth" come scritto
sulla brutta copertina, ma il sessantacinquenne produttore, cantante,
compositore, session man, in quaranta minuti ci racconta gran
parte della storia della musica del Sud degli States. E con un
professore così, questo Jungle Jim And The Voodoo Tiger,
diventa un libro, pardon, un disco imperdibile.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
MICHELE
DIEMMI
IO E TE
(AUTOPRODOTTO) 2018
Un disco fortemente voluto,
IO E TE di Michele Diemmi: voluto, pensato e creato nel giro di
tre anni.
Un esordio che aggiunge un volto ed un nome nuovo alla canzone
d'autore di Parma che sta vivendo negli ultimi anni un periodo
fecondo: Michele Diemmi è solo l'ultimo di una lunga lista
che comprende ManinBlù, Francesco Pelosi, Fabrizio Frabetti,
Merovingi, Ugo Cattabiani, Mé Pék & Barba, Elisa
Sandrini
Michele si discosta dagli
altri per la veste musicale scelta, un indie-pop che sottolinea
le varie influenze sotto le quali sono nate le canzoni componenti
la track-list. Prodotto dallo stesso Diemmi sotto la direzione
artistica di Francesco Rabaglia, IO E TE raggruppa otto pezzi
in uno stile che galleggia tra Coldplay e Damien Rice, cantati
con una bellissima voce che potrebbe ricordare il primo Matthew
Ryan.
Ad affiancare la chitarra
del titolare c'è la band composta dal batterista Leonardo
Cavalca (che è anche il co-produttore dell'album), dalla
bassista Nicole Brandini e dal chitarrista Matteo Tonelli, che
dona al cantautorato di Diemmi viraggi brit-pop sempre in bilico
tra delicate ballate ed energiche esplosioni rock. Altri musicisti
coinvolti sono Salvatore Bazzarelli alle tastiere, Daniele Celona
alle chitarre, Simone Tosto al basso e Andrea Ferrari alla batteria.
Introspezione, emotività
e conflitti sentimentali sono i temi che ricorrono nei brani.
"Danzerò intorno all'abitudine per correre il rischio
di incrociare il destino" (canta in "AQUILONE"),
"Aspettiamo adesso l'ultimo silenzio, il momento esatto prima
di combattere" (da "L'ULTIMO SILENZIO") o ancora
"Sai che scrivo con il cuore in mano e stringo le parole
che lentamente scivolano una dopo l'altra dove non volevi tu"
(da "AMAMI"), sono il preludio al capolavoro che arriva
con la pianistica "FUORI PIOVE": "Sai che quando
fuori piove io continuo ad immaginare che le gocce poi si uniscono
Sai che quando fuori piove io non smetto di ascoltare, il rumore
che producono quelle gocce quando cadono, distruggono il silenzio".
Curiosamente posto in apertura c'è l'unico testo non scritto
da Michele; "COME VORREI" è di Federica Melegari,
altra brava cantante e autrice: "ci vuole coraggio per scoprire
un uomo, per correre insieme e avere fiducia, chiudere gli occhi
e guardarsi dentro, e sentirsi, per sentirsi liberi e vicini".
Libertà di stare insieme, un concetto che torna spesso
nei 32 minuti e 50 secondi di IO E TE.
"PREFERIREI", "LONDRA" e "L'UNICA + IO
E TE" completano l'opera prima di Michele Diemmi, giovane,
atipico cantautore con il tempo dalla sua parte, perché
avere le idee già così chiare vuole dire essere
sulla strada giusta per potere in futuro esprimere in pieno il
proprio potenziale.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
LAUREN
DILLON
THE COST OF LIVING (SUGARSHACK RECORDS) 2003
C'è la produzione
di Merel Bregante, c'è chi la definisce la Lyle Lovett
donna, c'è Sara Hickman che la paragona a Bonnie Raitt
.
Ho sommato questi fattori e, incuriosito, ho appoggiato il disco
sul piatto (pardon, il cd nel lettore); certo, nessuna pretesa
di originalità, ma Lauren propone i suoi brani con una
bella dose di sicurezza e freschezza. Ascoltatevi questo The Cost
Of Living: dodici canzoni originali, tra blues (Them Old Blues),
folk acustico (Rib From Your Side) e rock'n'roll (Loveproof).
Vi troverete davanti ad una ragazza che sfodera un ottimo stile
chitarristico, specialmente quando imbraccia la sua stupenda National,
e a riprova che il suo background culturale-musicale è
a denominazione d'origine controllata, la bionda Lauren on stage
alterna i suoi pezzi a classici blues, a canzoni di Townes Van
Zandt, a Willin'. Un altro disco sul quale arriva la luce della
stella solitaria del Texas.
(da www.blackdiamondbay.it)
LILA
DOWNS
SHAKE AWAY
OJO DE CULEBRA
(MANHATTAN RECORDS) 2008
Lila Downs è un
artista folk, una carriera lunga ormai tre lustri, nove albums
(i primi due praticamente introvabili) allattivo compresi
una raccolta e questo nuovo Shake Away / Ojo De Culebra. In passato
ha avuto una canzone (Burn It Blue, dalla colonna sonora del film
Frida) candidata allOscar, e lalbum Una Sangre / One
Blood del 2005 ha vinto un Grammy Latino. Ma questo è il
passato: quello che a noi interessa è che questa Messicana
quarantunenne ci presenta quello che forse è il suo disco
più bello. Per avvicinare a questo lavoro i più
scettici, basterebbe citare le covers di I Envy The Wind di Lucinda
Williams e Black Magic Woman (in una eccitante versione messicaneggiante,
travolgente come quella proposta da Charlie Musselwhite sulla
mai troppo lodata compilation Interstate 10 Chronicles). Non solo
Messico, comunque, ma radici e tradizione (ottima la riproposizione
di Los Pollos) vengono mischiati a jazz, ritmi gitani, suoni moderni
e contemporanei. Una band straordinaria capeggiata dal marito
Paul Cohen (sax, clarinetto, co-autore delle canzoni), più
alcuni ospiti tra i quali va segnalata Mercedes Sosa, famosa cantante
argentina ormai settantenne, in Tierra De Luz. Lila Downs alterna
nel cantato inglese e spagnolo, talvolta la stessa canzone appare
nelle due versioni (ad esempio, quella di Lucinda diventa anche
Yo Envidio El Viento); i testi sempre impegnati la fanno accostare
ad Ani DiFranco, pur con le dovute differenze di background: bellissima,
in questo senso, Justicia (cantata con Enrique Bunbury). Purtroppo
i suoi tour europei non toccano lItalia, così per
vederla dal vivo bisogna accontentarsi (a parte YouTube) del dvd
allegato alla limited edition del Very Best di qualche mese fa,
anche quello imperdibile! Voto: 8
(da www.rootshighway.it
dell'ottobre 2009)
LILA
DOWNS
LA CANTINA
"ENTRE COPA Y COPA
"
(NARADA - VIRGIN) 2006
La Cantina arriva dopo
bei dischi come La Sandunga, Tree Of Life / Arbol De La Vida,
Border / La Linea, One Blood / Una Sangre, e dopo il successo
della colonna sonora del film Frida, dove Lila Downs interpretava
sei brani.
Originaria dello stato di Oaxaca, la cantautrice messicana continua
nel suo lavoro teso a portare alla luce le musiche tradizionali
del suo Paese dando loro quel tocco di moderno che le possa rendere
più fruibili anche alle generazioni più giovani.
Un accostamento con la DiFranco non è più di tanto
azzardato se consideriamo che tanto per Lila quanto per Ani è
molto importante l'impegno sociale.
La Cantina, sottotitolo Entre Copa Y Copa, è il più
norteño dei suoi lavori, il più vicino ai profumi
e ai sapori del border; una sorta di concept album ambientato
nelle cantinas tra ubriaconi, mafiosi, cuori spezzati e tequila
e mezcal che scorrono a fiumi.
Un disco che nonostante sia stato registrato con una ventina di
musicisti diversi, in parte a New York e in parte a Città
Del Messico, con ospiti anche di Austin e di San Antonio, risulta
molto omogeneo: canzoni nuove e tradizionali, suonati mischiando
talvolta sampling moderni a rancheras, corridos, alla tradizione
tejana.
Quindici canzoni nelle quali la voce brillante e coinvolgente
della Downs assurge a strumento vero e proprio, sia che venga
accompagnata da chitarra elettrica, tastiera, batteria e diavolerie
moderne, sia che alle sue spalle ci siano clarinetto o tromba
o sax, piuttosto che chitarre acustiche, guitarron, violini o
la fisarmonica del grande Flaco Jimenez.
Da La Cumbia Del Mole (nella doppia versione spagnolo e inglese)
a Agua De Rosas, da El Relàmpago a El Centenario, e poi
La Tequilera, El Corrido De Tacha "La Teibolera", per
quasi un'ora di fiesta, Lila Downs parte dal patrimonio musicale
popolare messicano per arrivare dritto ai nostri cuori.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
THE
DRAMS
JUBILEE DIVE
(NEW WEST) 2006
Gli Slobberbone non ci
sono più, viva gli Slobberbone!
L'esordio autoprodotto Crow Pot Pie era del 1994, poi riregistrato
per la Doolittle un paio di anni dopo con scaletta e formazione
diversa. Barrel Chested del 1997, era sempre per la Doolittle.
Nel 2000, con il passaggio alla New West, il gruppo di Brent Best
ci ha consegnato il capolavoro Everything You Thought Was Right
Was Wrong Today, mentre Slippage (2002, sempre New West) è
stato il canto del cigno della band, un buon disco, ma sicuramente
inferiore al precedente.
Chiuso il sipario sugli Slobberbone, il leader Brent Best si è
imbarcato per l'avventura solista, che però non ci ha regalato
nessun disco.
Ora, dalle ceneri del gruppo precedente, nascono i Drams: richiamati
il chitarrista Jess Barr ed il batterista Tony Harper, dai Budapest
One sono arrivati il tastierista Chad Stockslager e il bassista
Keith Killoren, che va a sostituire Brian Lane.
Chitarre elettriche in gran spolvero, spazio a piano e tastiere,
Jubilee Dive è un gran disco, il disco che i Jayhawks non
riescono più a fare dai tempi di Hollywood Town Hall L'esempio
più calzante è Des Moines, con un ritornello che
entra subito in circolo e non ti abbandona più: pura Americana.
Roots- rock (Hummalong), rock (l'iniziale Truth Lies Down, Unhinged,
Crudely Drawn), ballate (Holy Moses, September's High), spruzzatine
pop con tanto di fiati (You Won't Forget, seguita dallo strumentale
You & Me, MF che ne è la coda ideale), suoni jingle-jangle
(Fireflies), rare oasi acustiche (When You're Tired). Completano
il lotto Shortsighted (puro stile Jayhawks), Make A Book (batteria
e chitarre a tutta), Wonderous Life (ballata pop sostenuta dal
piano).
Stupenda la copertina, che ci mostra la foto dello studio di registrazione
di una band a metà tra rock e tradizione, e il pensiero
corre veloce alla foto del retro di Everything You Thought Was
Right Was Wrong Today: identico l'intento, identico il risultato.
Quasi settanta minuti di musica, quattordici brani, alcuni sopra
i sei minuti, suonati con fierezza.
Gli Slobberbone non ci sono più, lunga vita a The Drams!
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
EMILY
COLLETTIVO MUSICALE
ORDINARIO DISSENSO
(LOGO / SELF) 2017
Parma è una strana
città. Per fare un banalissimo esempio, molti ciclisti
usano il marciapiede pur avendo la strada a disposizione e usano
la strada quando hanno a fianco la pista ciclabile. Ben lungi
da barlumi di anarchia, il tutto si può ricondurre alla
maleducazione, se non all'arroganza, ma non sorprende in una città
in gran parte inginocchiata e adorante davanti all'altare dell'effimero.
Per fortuna però la scena musicale è particolarmente
florida. Capita così che (facciamo un salto nel 2006) persone
con il cuore al posto giusto si ritrovino insieme e decidano di
formare una band per scrivere canzoni che, immerse tanto nella
storia quanto nella contemporaneità, ci parlino di rispetto
per le persone e per la Terra, di equità, di dignità,
di fratellanza, di Resistenza, avvalendosi allo stesso tempo di
cultura e tradizione.
Nati come Emily County
Folk, passati attraverso vari cambi di formazione e trasformatisi
in Emily Collettivo Musicale, nel 2017 sono approdati alla terza
prova discografica, dopo l'E.P. circoscritto a 5 brani "CREDERE
AI RICORDI" (del 2009), seguito dal lavoro cointestato con
Francesco Pelosi "CANTARI DELLA GUERRA SILENZIOSA" (uscito
nel 2013).
"ORDINARIO DISSENSO",
il nuovo disco, accoglie 10 pezzi con i quali, come sono soliti
fare gli Emily, si utilizza l'arte della musica come veicolo per
far ballare, divertire, unire, pur toccando temi importanti e
difficili.
Folk da tutto il mondo, reggae, rock, patchanka e hip-hop sono
i ritmi che "collettivamente" rivestono l'album, d'altra
parte le influenze musicali rispondono ai nomi di Gang, Gogol
Bordello, Rage Against The Machine, Dropkick Murphys, The Pogues,
CCCP, 99 Posse.
Sia per quel che riguarda
il lato musicale, sia per quanto riguarda i testi, la collaborazione
assurge a vero e proprio marchio di fabbrica; così che
ai vari Matteo Carbognani (voce e chitarra acustica), Nicolas
De Francesco (basso), Corrado Cantoni (batteria), Mauro Padovani
(chitarra elettrica), Roberto Nassini (fisarmonica e tastiere)
e alla leggenda Fiorenzo Fuscaldi (percussioni), si aggiunge sia
in fase di scrittura che poi in studio, una miriade di amici,
vecchi e nuovi compagni di strada, il tutto sotto la direzione
di Marco Martino.
Hisam Allawi e Marco Martino
cantano in KURDISTAN ("la nostra essenza è resistenza"),
BLACK POWER ospita la fantastica Suzi Furede nelle parti in inglese,
in BLACK HILLS c'è il ritorno di Francesco Pelosi (in rete
ne trovate pure una versione con Marino Severini dei GANG). Jorge
CARRASCOSA e l'Argentina dei colonnelli, Thomas Isidore Noël
SANKARA ("osare inventare il futuro") e il suo Burkina
Faso, Nikola TESLA e David Henry THOREAU sono solo alcuni dei
personaggi che animano le canzoni. Gli altri titoli sono LA TRIBU'
UMANA ("la tribù umana
ha la capacità
di sentirsi sempre innocente") e PARADA (già uscita
come singolo, cantata in francese). Posta in fondo, con Marco
Martino alla voce, c'è la title-track: "se vi prendete
il diritto di fare dei muri e tagliarci a metà, è
allora che sento il dovere di urlare più forte cos'è
che non va". E chiusura migliore non avrebbe potuto esserci.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
BLAZE
FOLEY & THE BEAVER VALLEY BOYS
COLD, COLD WORLD
(LOST ART RECORDS) 2006
Continua la riscoperta
a ritroso delle canzoni di Michael David Fuller, alias Blaze Foley,
scomparso in circostanze tragiche, assassinato, nel 1989.
Al Live At The Austin Outhouse (1999, sempre Lost Art Records)
che per la prima volta ci permetteva di sentire la calda voce
di questo autore apprezzatissimo dai colleghi, faceva seguito
un paio di anni fa Oval Room (Lost Art Records per gli U.S.A.,
Munich Records per l'Europa), tratto dagli stessi concerti acustici
all'Austin Outhouse del dicembre '88. In Oval Room il produttore
Gurf Morlix, aggiunse qua e là in studio, in modo pregevole,
cori, chitarre, basso e batteria. Circa un anno fa finalmente
videro la luce registrazioni di studio credute ormai perdute per
sempre: Wanted More Dead Than Alive (Waddell Hollow Records in
U.S.A., Borderdreams in Europa), ripulito, ma poi non molto, nel
suono, era quindi un documento importante, da conservare gelosamente,
perché già troppe volte master di dischi suoi erano
spariti o addirittura sequestrati (chiedere a F.B.I. e D.E.A.).
Con Cold, Cold World si risale a registrazioni effettuate a Houston
nel '79 e a Fredericksburg l'anno seguente. La band è quella
di Morlix: "Disse che gli piacevamo, io non lo conoscevo
e quando gli chiesi il suo nome lui mi rispose Depty Dawg, ma
che l'avrebbe cambiato in Blue Foley o, forse, in Blaze Foley.
Diventammo il suo gruppo". Fanno parte della squadra Jimmy
Don Smith alla chitarra elettrica e il batterista Tony Braunagel
nelle sessions di Houston, John Hill alla batteria, Riley Osbourn
a piano e slide, e un chitarrista di cui nessuno ricorda il nome
(!!!) in quelle ai Loma Ranch Studios di Fredericksburg.
Qui non ci sono i suoi classici, canzoni (If I Coul Only Fly ad
esempio, oppure Clay Pigeons e Oval Room) che via via Merle Haggard,
Lyle Lovett, John Prine, Willie Nelson e Calvin Russell hanno
portato al successo, ma scopriamo sei brani non presenti nei precedenti
dischi (bellissima In The Misty Garden), e riascoltiamo in una
nuova veste pezzi come Picture Cards, Faded Love & Memories
e la stessa Cold, Cold World.
Personaggio adorato dai colleghi (Townes Van Zandt gli dedicherà
Blaze's Blues, Lucinda Williams scriverà per lui la stupenda
Drunken Angel), sempre nei guai con la legge, sempre senza casa,
perfetto conoscitore dei divani degli amici o dei tavoli dei clubs,
anticonformista, era capace di creare testi taglienti musicandoli
sapientemente con country e blues.
Pura musica texana, tramandata a noi attraverso i dischi di Blaze
Foley, uno che era una leggenda, già da vivo.
(da www.rootshighway.it
del 20 gennaio 2007)
BLAZE
FOLEY
WANTED MORE DEAD
THAN ALIVE
(WADDELL HOLLOW RECORDS) 2005
Il titolo dice tutto, e
la storia meriterebbe un film: un disco inciso ai celebri Muscle
Shoals nel 1983 viene confiscato dalla DEA, il master di un album
prodotto da Gurf Morlix viene rubato dalla sua macchina, incisioni
del 1988 con i fratelli Waddell alla base ritmica, Charlie Day
alla steel, Joe Gracey alla chitarra e Kimmie Rhodes armony vocalist,
vengono date per distrutte in un incendio dopo che Blaze non aveva
pagato lo studio di registrazione Bee Creek per mancanza di fondi.
E tutto sembra finire il primo febbraio dell'anno successivo,
quando Foley fu ritrovato assassinato, nemmeno quarantenne.
Ma in questi anni Blaze Foley non è stato dimenticato:
da Calvin Russel a Lyle Lovett, molti hanno riproposto le sue
canzoni, è diventato il Drunken Angel cantato da Lucinda
Williams, e Townes Van Zandt gli ha dedicato Blaze's Blues.
Pochi mesi fa il colpo di scena: il batterista Leland Waddell
riceve una telefonata da un amico che gli dice che pulendo l'auto
ha trovato un cd senza scritte che conteneva canzoni che sembravano
cantate da Blaze! Erano le Bee Creek sessions.
Opportunamente ripulito il tutto in studio, la magìa di
quei giorni e di quella voce è rimasta intatta.
Dopo due dischi live abbiamo tra le mani questa mezz'ora abbondante
di registrazioni in studio, dieci canzoni, otto autografe, tra
le quali la celebre Clay Pigeons (reincisa di recente da John
Prine), If I Could Only Fly (portata al successo da Merle Haggard
e Willie Nelson), Life Of A Texas Man dell'amico Russell, Black
Granite (il materiale della lapide di Foley
) di Jubal Clark.
Documento prezioso, il testamento di un autore della stessa levatura
dei vari colleghi dello stato della stella solitaria.
(da www.highwayofdiamonds.135.it)
FABRIZIO
FRABETTI
VERSO CASA
(AUTOPRODOTTO) 2017
"La riga della strada
ogni tanto porta a casa.
La radio fruscia allegra
come un sogno alla frontiera"
(Fabrizio Frabetti - "Sogno alla frontiera")
Un'anomalia, nel mondo
musicale. Persona schiva, non ambisce apparire a tutti i costi,
ed è cosa rara nel mondo dello spettacolo. Meno rara nel
campo dell'arte.
Da che parte fare stare la musica decidetelo voi.
Fabrizio Frabetti, la sua scelta l'ha fatta. Tanta gavetta, tanto
studio, spettacoli teatrali, due album.
Il primo, UH!, aveva lasciato a bocca aperta per la bontà
delle canzoni e per la veste musicale scelta, poco consona forse
a quanto ci si aspetta comunemente (l'ho già detto che
Frabetti è un personaggio anomalo?) da un disco cantato
in italiano.
Effettivamente, mi vengono in mente solo una manciata di cantautori
(Massimo Bubola, Graziano Romani, in parte Francesco De Gregori,
il Ron di Una Città Per Cantare, senza dimenticare Marino
Severini con il fratello Sandro, ossia i Gang) che avevano "osato"
rivestire di rock, ognuno con le rispettive influenze e senza
risultare dei cloni, le proprie canzoni.
Ma quello era il 2010. Ora è il turno di VERSO CASA, e
stavolta l'ispirazione pare venire più dal classico cantautorato
nostrano degli anni '70 e '80.
Messi da parte i Bluesfrog di Uh!, qui Fabrizio si occupa praticamente
da solo di tutto (dai testi alle musiche, dagli arrangiamenti
alle orchestrazioni, della produzione; e poi voci, chitarre, bassi,
tastiere e programmazione sinth), con la collaborazione di Ellade
Bandini alla batteria.
Le sei che compongono il disco, fanno parte in realtà di
un gruppo di canzoni molto più sostanzioso, e non sono
che la prima metà di quello che sarebbe in origine dovuto
essere un album molto più lungo.
Trovatosi con un cospicuo numero di brani quasi pronti, ma conscio
del fatto che per ultimarli tutti avrebbe dovuto aspettare ancora
parecchio per la pubblicazione, Frabetti ha sentito l'urgenza
di concentrarsi su sei pezzi e poi farli uscire.
L'iniziale "Nuvolette" è quella che più
si ricollega al disco d'esordio, andamento country-rock, con l'ospite
Christian Pascelupo che fa i numeri alle tastiere. "Sogno
alla frontiera" è più notturna, qui l'ospite
è Roberto Pedroni con il suo sax. "Il giorno perfetto"
è avvolta dagli archi,
Le colline, i prati, il vento, la musica, la notte con la luna,
il cielo, la musica. E i colori, tanti colori. Questi sono i temi
dell'album, anche nelle conclusive "Fra tutte le luci del
mondo" e "Verso casa". Quelle sono le cose che
Fabrizio ama, e se potesse "riporterebbe tutto a casa"
ogni volta che torna verso la città, come se questa rappresentasse
la dura realtà (e l'unico colore che la rappresenta è
il grigio) e il solo allontanarsene, anche per brevissimi periodi,
permettesse di sognarla migliore.
La città che è anche la protagonista, seppur in
modo velato, di "Pane e vino" (diciamolo, è un
capolavoro), garbato e poetico ricordo della strage di Bologna.
Speriamo ora che non passi troppo tempo per ascoltare il "capitolo
due", anche se comunque il ritorno a casa sarà solo
un'altra tappa, perché il viaggio di Fabrizio Frabetti
nel mondo musicale, ne sono certo, è destinato a durare
a lungo.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)
RENATO
FRANCHI
&
ORCHESTRINA DEL
SUONATORE JONES
SOGNI E TRADIMENTI
(SUONIMUSIC DISTRIBUZIONE - STORIE DI NOTE - LIOCORNO) 2006
"
noi siamo anche
un po' di tutto quello che abbiamo incontrato sulla nostra strada
"
Queste note dello stesso Renato Franchi accompagnano l'uscita
di Sogni E Tradimenti. Si potrebbe tranquillamente aggiungere
"e un po' di TUTTI quelli che abbiamo incontrato", perché
in questo album, ospiti e influenze varie vanno a braccetto, variegando
nelle musiche le diciotto tracce che lo compongono.
Si passa con leggerezza dalla breve poesia Le canzoni sono come
gli amanti, recitata da Davide Saccozza con l'accompagnamento
al piano elettrico di Michele Renò, al bel duetto con Claudio
Lolli Cento passi, con Marta Franchi ai cori e con il gran lavoro
di Giovanni Arzuffi alla fisarmonica e del polistrumentista Carlo
"Manolo" Cilibrasi; sembra una ballata popolare, e del
resto il testo parla proprio dell'incontro di culture diverse.
Canzone per Ion è dedicata al rumeno Ion Cazacu, protagonista
di un tragico fatto di cronaca; ancora la fisarmonica di Arzuffi,
il flauto di Marta Franchi, l'hammond di Giorgio Macchi. Ospiti
la chitarra elettrica di Sandro Severini e la voce di Marino Severini,
vale a dire i Gang. C'è il country di Come: banjo (Mauro
Logora), dulcimer (Angelo Nuzzo), sax (Elena Lavazza) e ancora
i cori di Marta Franchi. È il primo contributo di Fabrizio
Poggi, con la sua armonica. Il leader dei Chicken Mambo e del
progetto Turututela è protagonista anche in Cara maestra
di Luigi Tenco.
La luna sotto casa di Pierangelo Bertoli e Borghi è l'occasione
per un emozionante duetto con Alberto, figlio dell'indimenticato
autore modenese. La title-track ci trasporta al confine tra Messico
e Stati Uniti: in Sogni e tradimenti nessun ospite, solo l'Orchestrina
Del Suonatore Jones, con un grande Roberto D'Amico al basso. Ancora
carezze esotiche (stavolta in stile Paolo Conte) per Profumo d'Oriente
di Renato Franchi e Davide Saccozza.
Sera jugoslava è stata scritta da Franchi ispirandosi ad
un racconto di Claudio Ravasi che è anche la voce narrante
del brano. Uno dei punti più alti dell'intero lavoro, pura
poesia, a descrivere l'orrore della guerra. Ancora presenti Marino
e Sandro Severini.
Donne di cielo è una splendida ballata pacifista, che Franchi
ha tratto da un testo di Ierina Dabalà.
Campi di fragole è un sentito omaggio ai Beatles, piccolo
squarcio di luce rigenerante subito prima di Cercando Tom Waits,
il sogno ammantato dell'oscurità della notte (non è
da lì che arrivano solitamente i sogni?) d'incontrare il
musicista americano cantato in compagnia di Luca Ghielmetti e
Francesco Marelli. E se Il vino (di Piero Ciampi e G. Marchetti)
è una particolare, appassionata, sentita versione di un
classico del cantautore livornese, Un malato di cuore arriva dritta
dal song-book di Fabrizio de André. I ragazzi della Maddalena
è dedicata ai disabili (che cantano nel coro finale) di
una comunità di Somma Lombardo.
Genova 2001, ballata per Carlo Giuliani, ragazzo è un'intensa
canzone elettroacustica (Giampiero Lecchi alla Rickenbacker, Giorgio
Restelli al basso, Fabrizio Poggi all'armonica) scritta sì
per ricordare il ragazzo assassinato a Genova, ma anche tutte
le vittime delle stragi terroristiche e mafiose che purtroppo
fanno la storia d'Italia. Con Piccolo principe, del batterista
Viky Ferrara, siamo in territorio West-coast: cantata dallo stesso
Ferrara con Franchi e Lolli, per Stefano, un ragazzo di 20 anni.
Ancora fisarmonica (Arzuffi) e armonica (Poggi) per il saluto
finale di Vi lascio, con una chitarra, con il piano, fino al conclusivo
crescendo orchestrale.
Sogni E Tradimenti è un disco dai testi improntati all'impegno
sociale, ma non manca il divertimento: perché è
ancora grande la voglia di fare tanti incontri sulla strada.
(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)