Reviews from Rock - West: albums (A - F)

Atarassia Gröp - nonsipuòfermareilvento (2006)

Lorenzo Bertocchini & The Apple Pirates - Uncertain, Texas (2009)

The Blackadillacs - Arizona sky (2018)

Alberto Cantone - c'era un sogno per cappello (2008)

Johnny Cash - American V: a hundred highways (2006)

Chichimeca - luce/nur (2005)

Giampaolo Corradini & The Weekend Warriors (2016)

Crifiu - tra terra e mare (2006)

CSNY - déjà vu / live (2008)

Shannon Curfman - fast lane addiction (2007)

Francesca De Fazi - one woman band (2005)

Francesca De Fazi - blues dues + one woman band (2002 + 2005)

Del Sangre - ...un nome ad ogni pioggia... (2006)

Claude Diamond - highway of life / diamond dust (2006)

James Luther Dickinson - Jungle Jim & the voodoo tiger (2006)

Michele Diemmi - io e te (2018)

Lauren Dillon - the cost of living (2003)

Lila Downs - shake away / ojo de culebra (2008)

Lila Downs - la cantina / "entre copa y copa..." (2006)

The Drams - jubilee dive (2006)

Emily Collettivo Musicale - ordinario dissenso (2017)

Blaze Foley & The Beaver Valley Boys - cold, cold world (2006)

Blaze Foley - wanted more dead than alive (2005)

Fabrizio Frabetti - verso casa (2017)

Renato Franchi & Orchestrina Del Suonatore Jones - sogni e tradimenti (2006)

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ATARASSIA GRöP


NONSIPUòFERMAREILVENTO
(KOB RECORDS - MAD BUTCHER RECORDS) 2006

Ecco il nuovo album degli Atarassia Gröp: un miscuglio di punk, rock, reggae, ballate.
E un misto di rabbia, speranza, amore. Ma soprattutto amore, anzi Amore, cantato con rabbia e speranza.
Il disco inizia con il recitato dell'ospite Marino Severini dei Gang (vero e proprio guru per tanti gruppi dei giorni nostri) con la splendida Il Sogno, appena accompagnato dal suono di un organo; poi si scatena la band, sulle barricate di Parma con L'Oltretorrente e a ricordarci che dopo averci messo tanti anni ad abbattere un muro vergognoso come quello di Berlino, ora, ancora più vergognosamente, se ne costruisce un altro in Palestina. Ma nonostante cerchino di metterci Con Le Spalle Al Muro, c'è la speranza che i nostri figli possano avere un futuro migliore, da costruire Ad Ogni Passo. E tanti ricordi, tanto amore, per gli All Reds Rugby Roma, per la resistenza (con Il Testamento Di Neri e L'Ultimo Minuto Di Gianna), per il poeta Fabrizio De Andrè (con Canzone Di Gennaio), per lo sport non inquinato dagli interessi di denaro e politica (Sciarpe Tese), per un Vecchio Amico. E se c'è il tempo per una Lettera A Genova, per due genitori che non vedono ancora asciutte le lacrime per la perdita del figlio, c'è anche il tempo per due sassate alle persone che fanno di tutto perché non sia l'amore a trionfare (Anime Di Plastica e Vi Odio), ma noi siamo ancora qui, a resistere e il giusto epilogo è La Preghiera Dei Banditi, perché si rimanga per sempre banditi, banditi senza tempo…
Bello il booklet, con i testi anche per il mercato estero, bella l'idea della suddivisione in capitoli, e bella la foto di Fulvio "Devil" Pinto, uno dei numerosi ospiti - amici.

(da www.blackdiamondbay.it)

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LORENZO BERTOCCHINI & THE APPLE PIRATES

UNCERTAIN, TEXAS
(AUTOPRODOTTO) 2009

Narra la leggenda che un giorno uno stregone Caddo, stanco del ritmico rullare delle percussioni degli uomini della tribù, profetizzò l'arrivo di visi pallidi con canzoni che avrebbero mescolato vari generi musicali dei bianchi e dei neri chiamando il tutto folk'n'fun.
Mi sono inventato tutto, ma nella zona dov'era stanziata questa tribù (confine tra Texas e Louisiana) un lago porta il loro nome, e sulla sua sponda occidentale c'è appunto Uncertain, Texas.
Cosa accomuna Varese e Uncertain, a parte il lago? Incertezza…
Sta di fatto che Lorenzo Bertocchini & The Apple Pirates sono tornati (a undici anni dal mitico Greatest Hits) sulla giostra del rock'n'roll, accostandosi così agli altri "Italiani del Jersey" Miami & The Groovers: come loro, secondo disco e giostra in copertina; cosa curiosa che mostra una comunanza di intenti, di gusti, di passioni non indifferente.
Questo viaggio degli Apple Pirates si insinua fin nel cuore degli U.S.A., partendo proprio dal New Jersey dell'amato Springsteen: Everybody è già ritmo e sudore, il sax di Dario Paini che si alterna all'armonica del leader. Last Clean Shirt, incentrata sul concetto sessodrogarockandroll, è uno dei punti più alti dell'intero album (ottimo il lavoro ai tasti di Roberto Masciocchi). Blue è velata di tristezza come il suo titolo, sorretta dalla pedal steel di Alessandro Grisostolo. You è una mossa canzone d'amore, poi con What Do You Hate So Much si arriva in Texas: la sezione ritmica composta da Marco Negrelli e Floriano Botter entra dopo l'introduzione piano-chitarra-organo e ci trasporta in una affollata dance-hall, non importa che sia il Broken Spoke di Austin, piuttosto che il Billy Bob's di Forth Worth: pure texas music! Too Lazy è reggae. Cosa c'entra? Ricordatevi che lo "zio" Willie Nelson ha già ampiamente sdoganato negli States questo genere musicale che arriva dai Caraibi: folk'n'fun deve essere, che folk'n'fun sia!
Su terreni più consueti è Walkin' Out In The Cold, Perfect è di nuovo rock. La tenue Follow My Steps è la pausa acustica prima della scatenata Rosie, Mary And Tiffany. San Secondo è solo un sogno ambientato nel medioevo, dove qua e là affiora però la ragazza del Jersey (che guarda caso saliva sulle giostre del luna-park…) cantata da Tom e Bruce. Hard Thing To Do è una bolgia sixties con boogie, blues, rock: due elettriche (Alessandro Talamona e Luca Pasqua) e via a palla. Sbuca dai sixties anche la lunga My Serenade, popolata da tanti personaggi non per forza di cose legati alla musica. Time Is Runnin' Out, elettrica, tastiere e sax, con un banjo sbucato da chissà dove (Monti Appalachi?) e la buonanotte affidata a I Am, sembrano riportare tutto verso est, dove il viaggio ha avuto inizio, dove le luci del luna-park si confondono in quelle della città, dove si può "ballare nell'oscurità sulla spiaggia degli amanti disperati", per essere i primi a veder l'alba… e poi ripartire. Voto: 7


(da www.rootshighway.it del 17 aprile 2009)


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THE BLACKADILLACS

ARIZONA SKY
(AUTOPRODOTTO) 2018

"Possa il Sudovest essere ancora lì, a deliziarvi e a farvi riflettere, quando crescerete e vi metterete in cammino alla ricerca del vostro posto nel mondo."
Con queste parole, Alex Shoumatoff dedicava ai piccoli Oliver e Zachary il suo libro Legends Of the American Desert.
Le leggende del deserto americano hanno sempre affascinato anche giovani e meno giovani alle nostre latitudini. Specialmente per chi è oltre o intorno ai ….anta, la Via Emilia è sempre stata una sorta di Route 66 al contrario, dove l'orizzonte e il mare, così come la speranza di libertà, erano ad Est.
Mattia "Suppi" Superbi (voce e chitarra) e Stefano "Steve" Ganzerla (chitarre), da 15 anni The Blackadillacs, hanno messo in musica per la seconda volta (l'esordio era stato con Road & Roll, gran bel titolo, nel 2013) la loro personale visione del Southwest americano.
Esperienze personali, aneddoti, personaggi, animano i testi degli otto brani, mentre la veste sonora è affidata ad un alternarsi di rock, country, folk e blues.
L'apertura affidata alla title-track, tra caldo, serpenti a sonagli e meteoriti, non avrebbe sfigurato nei primi dischi dei Dire Straits. La sezione ritmica della band è composta da "Leo" Leone al basso e da Daniele Girotti alla batteria (al quale si alterna in alcuni pezzi Marco De Feo).
BOUND FOR LIVING ON THE EDGE (con Gianluca Magnani al piano elettrico) è un rock-blues a metà strada tra ZZ Top e Doors, mentre la successiva JACK vira verso il southern-rock: "every journey begins saying goodbye to those I'll love forever, yes, but in my way…".
CALIFORNIA (ONE NIGHT ONLY) è un'oasi elettroacustica in stile Neil Young: "I am a dreamer and dreaming that night, only one nigh with your eyes". SANDY IS ALONE mostra sonorità più dure, e fa da ideale trait d'union tra Deep Purple e Lynyrd Skynyrd. HAPPY LIFE (con Ivano Malavasi alla pedal steel e "Dodo" Gattesi al piano) è una tenue ballata tra passato, presente e futuro. DANGER DREAMERS, ospite Mario Sehtl al violino, è un'esplosione sixties che sembra uscita da un vecchio vinile dei Buffalo Springfield. La più cantautorale ("while autumn rips leaves from the branches you'll bask in the sun") del lotto delle composizioni, BYE BYE MY LOVE, con Giulio Vincenzi ospite alla pedal steel, è posta a chiusura dell'album.
Da rimarcare in tutto l'album i cori della 3rd Blackadillacs Ad Honorem, Elisa Boccafoli.
Se avete in programma di percorrere il tratto di strada che da Ash Fork vi porta, attraversando Seligman e passando da Hackberry, verso Kingman, per deviare poi verso Oatman in direzione California, e vi state chiedendo quale potrebbe essere la colonna sonora ideale, beh, credetemi, questo ARIZONA SKY è il disco che fa per voi.
The Blackadillacs: parole, chitarre, genuinità, passione e sogni (americani).
"Open your soul and let your heart run, babe".

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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ALBERTO CANTONE

C'ERA UN SOGNO PER CAPPELLO
(STORIE DI NOTE) 2008

Stefano Barotti, Massimiliano Larocca, Andrea Parodi, Alberto Cantone…
E' assodato: c'è una nuova generazione di cantautori, che faranno Scuola a quelli che arriveranno dopo di loro, e che vanno a sostituirsi a quelli che da troppi anni vivono di rendita sul nome che si son fatti nel passato, non hanno più niente da dire e magari rinnegano quello che dicevano prima.
Che la voce di Alberto sia tra le più belle del panorama musicale italiano è una novità solo per chi segue Sanremo e porcherie simili; ora, tre anni dopo il bellissimo esordio di "Angeli e Ribelli", in c'era un Sogno per Cappello, Cantone mette dodici canzoni a disposizione di genî, pazzi, sognatori, innamorati delusi (non necessariamente innamorati di una donna o di un uomo), artisti e viaggiatori, in modo che possano rinfrancarsi e prendersi una rivincita nei confronti di chi li disprezza e li denigra eppure, sotto sotto, inconsciamente un poco li invidia.
Strumentalmente ricchissimo, grazie soprattutto alle "invenzioni" del polistrumentista Sandro Gentile, questo nuovo lavoro è suonato e cantato da una lunga lista di amici, tra i quali è d'obbligo citare il Maestro Claudio Lolli, che offre la voce in "La mia città", zenith di un disco veramente straordinario, dove viene cantata probabilmente Treviso, in un ritratto facilmente accostabile a molte città del nord, sempre più superficiali e dimentiche della propria storia e tradizione.
In "La notte di Hemingway" c'è una chitarra che sembra presa in prestito da Buena Vista Social Club. "Il talento" si snoda tra pianoforte e chitarra e sul finire ("…chi ha il talento…dell'aspettare") va idealmente a legarsi alla successiva "La saggezza" ancora con ritmi sudamericani. "C'era" è l'elogio delle vecchie cose buone passate ("…c'era un fanale di bicicletta ad illuminare le nostre sere…), soprattutto passate in compagnia, in giorni dove se non chatti non sei nessuno. "Lo specchio" è quasi sussurrata, come fosse una ninna-nanna, oppure una fiaba. Sempre in bilico tra sogno e realtà è "Una nave d'amore", mentre "Una moneta nella testa" è un altro dei momenti topici dell'album, con la follia che si confonde con la saggezza di una persona che, guardando il mondo "da altre angolazioni", vede forse molto più chiaramente di noi tutti. Importante anche la successiva "I sogni", perché "…sono concessi solo ai giovani ed ai pazzi, ma da un po' di tempo ai giovani un po' meno…". "Volevo dribblare una stella" è l'omaggio a chi si sente avvilito quando non può, per mille motivi, dare sfogo alla propria fantasia. "Terapia" (a firma Marco Napoletano) e "Mal di luna" sembrano quasi due possibili finali alternativi della storia di Alfredo, l'uomo con la moneta nella testa.
Alla fine, nascosta, c'è "La vera canzone di Rosellina e Alberto Cantone", esilarante parodia (da un'idea di Davide Camerin) delle canzoni del primo disco.
Non è messa lì a caso. L'ironia è una delle poche armi che ci sono rimaste per combattere l'ipocrisia dilagante. Capolavoro!
Voto: 8

(da www.rootshighway.it dell'11 febbraio 2009)


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JOHNNY CASH

AMERICAN V: A HUNDRED HIGHWAYS
(AMERICAN - LOST HIGHWAY) 2006

A Hundred Highways è il disco che contiene l'ultima canzone scritta da Johnny Cash prima della morte: Like The 309 è una train song cantata con il cuore in mano, con la sofferenza nella voce, voce che ha perso forza e che a volte sembra spezzarsi, eppure arriva ancora a toccarti l'anima; intensa e commovente, seppur più fragile che in passato.
Johnny Cash ci ha lasciati tre anni fa e questa raccolta di dodici canzoni non fa che aumentare la nostalgia; ecco però che la magia ritorna, seppur malinconicamente, ad uscire dalle casse dello stereo con il quinto capitolo della serie American Recordings, sempre curata da Rick Rubin.
Le registrazioni sono iniziate all'uscita di America IV con Cash malato e distrutto dalla perdita della moglie June Carter. Assemblato come al solito mischiando passato e presente, A Hundred Highways pesca in cinquant'anni di grande musica: si va dalla Help Me di Larry Gatlin alla I'm Free From The Chain Gang che era nel repertorio di Jimmie Rodgers, passando per Gordon Lightfoot (If You Could Read My Mind), Springsteen (Further On Up The Road), Hank Williams (On The Evening Train, un'altra storia legata ai treni), Rod McKuen (Love's Been Good To Me), Don Gibson (A Legend In My Time).
God's Gonna Cut You Down è un tradizionale portato al successo da Odetta, mentre I Came To Believe è il secondo pezzo scritto da Cash per questo lavoro.
Spiccano verso la fine, le cover capolavoro di Rose Of My Heart di Hugh Moffatt e di Four Strong Winds di Ian Tyson.
Tante chitarre (Mike Campbell, Smokey Hormel, Matt Sweeney, Jonny Polonsky, Randy Scruggs, Pat McLaughlin), Benmont Tench al piano e all'organo: arrangiamenti scarni ad accompagnare lo strumento in più, la voce di The Man In Black.
Cento strade percorse (ma forse erano mille di più, e molte erano pericolose) fino a che, "tired of walkin' all alone" (da Help Me), non ha imboccato quella che lo riporterà per sempre accanto alla sua June.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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CHICHIMECA


LUCE - NUR
(TàJRà) 2005

A due anni di distanza dall'ottimo Barbari, esce Luce - Nur, nuovo album dei sardi Chichimeca.
In realtà è un extended play, solo cinque pezzi, ma non mancano gli spunti d'interesse. Ad esempio la title-track, posta all'inizio, è inaspettatamente in lingua araba: una breve poesia di Claudia Crabuzza, adagiata sui suoni dell'oriente. I musicisti sono gli stessi del disco precedente: oltre all'espressiva voce della Crabuzza (autrice dei testi) ci sono la fisarmonica e il pianoforte di Fabio Manconi, le chitarre di Gianluca Gadau e il basso di Massimo Canu, mentre Andrea Lubino si occupa di batteria e percussioni (ospite alle percussioni anche Alberto Cabiddu).
Il secondo pezzo (Dall'Ombra) è l'unico cantato in italiano, perché con la cover di El Aparecido di Victor Jara, si torna allo spagnolo tanto caro ai Chichimeca; già da tempo questa canzone fa parte del repertorio live del gruppo. Despedida, ancora in spagnolo, è una bella ballata mexican-style aperta dalla tromba (Andrea Piu) che improvvisamente si velocizza, con tutti i musicisti scatenati, per poi tornare tranquilla alla fine e spegnersi sul pezzo successivo, dove tra il vocìo delle persone (un locale? una piazza di paese?) violino (Francesca Fadda) e piano portano a termine il disco.
In attesa di una raccolta di canzoni più corposa, gustiamoci questi cinque pezzi, pieni di … "bellezza che sorride"…

(da www.blackdiamondbay.it)

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GIAMPAOLO CORRADINI & THE WEEKEND WARRIORS

GIAMPAOLO CORRADINI & THE WEEKEND WARRIORS
(AUTOPRODOTTO) 2016

Una favolosa, folle, veloce corsa negli anni '60, per recuperarne lo spirito musicale e trasportarne l'essenza ai giorni nostri.
Questo è l'esordio di Giampaolo Corradini & The Weekend Warriors.

Messi da parte Substitutes e The Youngs, Giampaolo Corradini crea otto brani tra beat e rock, tra Kinks e Dick Dale, e dà libero sfogo ai Weekend Warriors (gran bel nome!), fantastico ensamble costituito da Piergiorgio Bonezzi alle chitarre (ce ne sono tante, in questo disco!), Christian Borghi a piano e tastiera, Luigi Degl'Incerti Tocci al basso e Marco Falavigna alla batteria.
I testi, in italiano, sono importanti: pur essendo otto storie prevalentemente legate al quotidiano ("Ma che vita è questa qua, un giorno prende un altro dà, e tira calci nel culo mascherati da opportunità", da La sentenza) trovano al loro interno momenti poetici, e sappiamo quanto difficile sia trovare la poesia ai giorni nostri ("Se un giorno ti chiederai dov'è finito quel bambino, dove son spariti i sogni a cui sembrava così vicino", da Vivere è bello da morire).
L'inizio è affidato a Ofelia dice ("Ofelia dice che saltare senza prima aver guardato, è un esercizio che spaventa i professionisti della vita"); le primissime note ricordano un po' il suono West-Coast degli America, che comunque sono nati in Inghilterra, a suggellare un legame, anche di cuore, tra due mondi musicali che si sono influenzati a vicenda costantemente nel corso degli ultimi cinquant'anni.
Scorrono così Cicatrice sociale, Umana catena ("Ma questo è quello che ci viene dato, un romanzo dal finale scontato, una storia nata già finita, come sabbia scorre tra le dita"), La spiagga, Il posto fisso, con stile volutamente old fashioned, ancorato al passato, ma tutto cantato e suonato con forza, vivacità, passione e competenza.
E quando in Pensa che bello Giampaolo canta "un bicchiere con gli amici, padre, padre, padre, padre" e sul quarto padre la voce si spezza, ci si rende conto di quanto sia vero e sentito questo disco.

Alla fine una voce fuori campo dice "Ciak, si gira" e ripensi subito a qualche vecchio film in bianco e nero, dove gli unici effetti speciali erano la bravura degli attori e le emozioni che sapevano dare. E quindi sì, si gira, si preme ancora play, e il prossimo weekend ti sembra più vicino.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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CRIFIU


TRA TERRA E MARE
(ETHNOWORLD - VENUS) 2006

Terzo album per i salentini Crifiu. La strada da seguire è sempre quella, "La Strada Del Sogno", come intitolava il primo disco (2001): il sogno di riuscire a mescolare suoni, ritmi, dialetti della propria terra, con quelli degli altri popoli che si affacciano sul Mediterraneo; in più con un'apertura verso l'elettronica e la programmazione (se ne occupa Alessandro De Paoli, anche al tin whistle, al flauto e alla ciaramella) per dare un ché di contemporaneo alle musiche e ai testi di Luigi De Paoli (chitarrista e mandolinista) e al tradizionale del Salento Sutta 7 Cieli.
"Tra Terra E Mare" giunge a tre anni di distanza da "Di Periferia…" ed è il risultato di tante conoscenze avvenute lungo i tanti chilometri percorsi per portare le proprie canzoni sui palchi di tutta Italia, ma non solo, palchi divisi spesso con una miriade di altre band, in un continuo scambio di idee ed emozioni.
Era così inevitabile che le collaborazioni si spostassero dalle assi di un palco alle mura di una sala di registrazione: a dare il loro contributo a "Tra Terra E Mare" abbiamo membri di Modena City Ramblers, Folkabbestia, Mascamirì e The Gang.
La voce di Andrea Pasca si confronta con quella di Marino Severini in Onda D'Ombra (introdotta da Cosimo Giagnotti) e Di Pane Di Vino, La Vita. Le chitarre elettriche di Sandro Severini, Francesco "Fry" Moneti e Alessio Amato danno più vigore alla stessa Onda D'Ombra, a Sutta 7 Cieli, a Vorrei Vorrei e Nu' mm'ha' Dire (dove compare, come in Trans-World Express, la tromba di Simone Stefanizzi), mentre in Come Sarà? c'è il violino di Fabio Lo sito; la base ritmica è formata da Ivan Schito alla batteria e Giovanni Amato al basso (anche cori e tromba), la fisarmonica è nelle mani di Gianni De Donno.
A completare il tutto, sparsi qua e là, frammenti di Pippi De Curse e Pier Paolo Pasolini.
Una citazione a parte merita Cecilia, ispirata all'omonimo canto tradizionale.
Folk-Core? Sicuramente gli ingredienti musicali di "Tra Terra E Mare" provengono dal sud dell'Italia, dai Balcani, dall'area Maghrebina; i Crifiu li mischiano con entusiasmo e creatività e poi li fanno ripartire dalla loro Terra, spinti dal Vento, sull'Acqua del Mediterraneo: è il sacro Fuoco della musica.

(da www.bielle.org del 6 agosto 2006)

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CSNY


DEJA' VU / LIVE
(REPRISE) 2008

Escono in contemporanea film/documentario e colonna sonora incentrati sul Freedom Of Speech Tour che ha attraversato in lungo e in largo gli States due anni fa.
Ovviamente il fatto che il tutto veda la luce quasi a ridosso delle elezioni americane non è un caso: Neil Young con le canzoni del controverso e discusso Living With War, gli altri tre con alcuni classici, vogliono contribuire ad assestare l'ultima spallata al partito repubblicano appoggiando in toto la candidatura di Barak Obama.
Viene rispolverata What Are Their Names? che era sul favoloso primo album solista di David Crosby, quel If I Could Only Remember My Name spesso citato come esempio di spontaneità nelle collaborazioni tra artisti (partecipò la crema della musica westcoastiana); il brano (a firma David Crosby, Phil Lesh, Neil Young, Jerry Garcia, Michael Shrieve), posto giustamente in apertura, è seguito dalla versione solo pianoforte di Living With War (registrata in studio) che poi chiuderà anche il disco. Con After The Garden arrivano i primi problemi, di ordine tecnico: sembra quasi di ascoltare un bootleg, le voci sovrastano tutto e si fatica a distinguere le chitarre. Qualcuno si chiederà perché Young da tempo rinvia l'uscita degli Archivi con la scusa della nitidezza del suono, ne minaccia l'edizione solo in Blue-Ray (idea fortunatamente rientrata) e poi fa pubblicare robe così. Military Madness di Graham Nash non poteva mancare: in questa versione l'inglese cita anche Bush. La band gira a mille: Rick Rosas al basso, Chad Cromwell alla batteria, Spooner Oldham alle tastiere, Ben Keith alla steel, Tom Bray alla tromba, fanno tutti parte del giro younghiano. Let's Impeach The President è l'inascoltato grido di richiesta di destituzione di George W. Bush dalla carica di presidente, evidentemente non solo dalle nostre parti c'è al potere una vera e propria ciurma da tribunale, indegna di rappresentare un Paese. La title-track, a firma Crosby, già dava il titolo al primo disco in studio del mitico quartetto, che ha venduto ad oggi almeno 8.000.000 di copie solo in U.S.A..
Shock And Awe era uno dei punti più alti di Living With War, così come Families, che parla del ritorno a casa dei soldati uccisi infilati in sacchi di plastica. Scorrono poi in rapida successione Wooden Ships (composta da Stephen Stills, Crosby e Paul Kantner dei Jefferson Airplane), Looking For A Leader (che auspicava l'arrivo di Obama), l'inno For What It's Worth (dal periodo Buffalo Springfield), Living With War (band version), Roger And Out, per arrivare al gran finale con le immancabili Find The Cost Of Freedom e Teach Your Children.
Non so se nel 2008 possano ancora interessare a qualcuno questi vecchietti terribili, sicuramente deve interessare quello che hanno da dire e, accidenti, se lo sanno dire bene!
Voto: 7,5


(da www.rootshighway.it del 30 luglio 2008)


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SHANNON CURFMAN


FAST LANE ADDICTION
(PURDY RECORDS) 2007

Per andar forte è sufficiente schiacciare il pedale dell'acceleratore, più difficile è "sapere" andare forte. Alle canzoni di Fast Lane Addiction le canzoni veloci non mancano, ma l'autista finisce costantemente fuori strada. Guidava meglio quando, non ancora in età per la patente (Shannon Curfman è nata a Fargo, North Dakota, il 31 luglio 1985) esordiva ottimamente con Loud Guitars, Big Suspicions. Era il 1999 e da allora, di colei che era stata presentata come la novella Bonnie Raitt è nel frattempo uscito solo un EP (nel 2006) intitolato Take It Like A Man, le cui cinque canzoni potete comunque ritrovare al completo in questo nuovo album.
Che ormai tanto nuovo non è, visto che è uscito sul finire dello scorso anno, ma sul quale per mesi ho ragionato cercando di capire se c'era qualcosa che poteva essere salvato. Del rock-blues di anni fa rimane poco (ma là c'era Johnny Lang), spesso si sfocia in un hard rock di maniera, con songs che vogliono essere energiche ma che risultano alla fine inconcludenti e senza fantasia. Forse si pecca anche di presunzione, non includendo nessuna cover (strepitosa era la The Weight sul primo album) in favore di dieci brani autografi, seppur co-scritti con gli altri membri della sua band (più la title-track a firma Krizan/Conklin/Coletti) da cui ci si aspettava sicuramente di più, avendo avuto parecchi anni a disposizione. Se al momento dell'uscita questo disco è passato quasi inosservato un motivo ci sarà (negli U.S.A. è arrivato al n° 8 della Top Blues di Billboard, il primo disco arrivò al 3°). Tre anni in giro con Kenny Wayne Sheperd non le hanno lasciato nulla?
L'inizio con Fast Lane Addiction è interlocutorio, e Do Me non risolleva di molto le sorti. Little Things continua sullo stesso tono, ricordando la peggior Sheryl Crow, quella dei tempi in cui si innamorava di un ciclista (a proposito, il titolo del primo disco della Curfman era stato pescato nel testo di Hard To Make A Stand della bionda del Missouri). Square In A Circle non è male, ma è rovinata da un arrangiamento a dir poco sciagurato. Can't Let You Go rallenta i ritmi, vira verso il soul, ma siamo lontani dall'avere un risultato decente. Why parte benissimo e rimane uno dei pochi brani apprezzabili di questo lavoro. Tangled e Another sono altri due brani decisamente trascurabili. Ancora più hard-rock che rock-blues in Stone Cold Bitch, mentre in Sex Type Thing si tenta di copiare Joss Stone, ma purtroppo l'ultima e non quella del pregevole The Soul Sessions. Per finire c'è una bonus track: I Can't Wait To Miss You; solo chitarra e voce Shannon ritrova una semplicità di fondo che fa comunque ben sperare per il futuro. La voce è rimasta molto bella, intensa; la chitarra la sa suonare, non diventerà una Bonnie Raitt, ma potrebbe almeno reggere il confronto che al momento la vede perdente con la quasi coetanea Grace Potter.
Voto 4,5

(da www.rootshighway.it del 28 agosto 2008)


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FRANCESCA DE FAZI

ONE WOMAN BAND
(AUTOPRODOTTO) 2005

One Woman Band è il disco che vorresti che tante italiche ragazze prendessero come esempio: non esistono infatti solo le laurepausini o le alecsie, ma ci sono anche ragazze, come Francesca De Fazi, che armate di chitarra, voce e un cuore grande così, si imbarcano in avventure che difficilmente le porteranno al successo ma, seguendo le passioni, anche a scapito del conto in banca, arriveranno ad un arricchimento ancora maggiore, quello dell'anima.
Lasciata momentaneamente da parte la band che l'aveva accompagnata nel precedente Blues Dues, Francesca De Fazi ci presenta una serie di brani, talora di sua composizione, talora cover scelte con gusto, presentandosi sul palco del Big Mama con acustica e dobro. Il blues imperversa e la fa da padrone: si parte da lontano con un omaggio a Bessie Smith (T'aint Nobody Bizness) e Memphis Minnie (Me and My Chauffeur) e si mischiano ottime rendition blues della Love Me 2 Times dei Doors e Working Class Hero di Lennon a brani autografi (Teachin' While I Learn, Paula, Circe of You), chiudendo con l'inchino ad un'eroina tra le guitar women dei nostri tempi: Bonnie Raitt. In tutto dodici pezzi, senza mai cadere di tono. La tecnica chitarristica è ottima e la voce lascia trasparire una sincerità che ti lascia il dubbio che Francesca invece che da Roma, non provenga da un qualsiasi buco adagiato sulle sponde del fangoso Mississippi. Invece è italiana, andiamone fieri.

(da www.francescadefazi.it e da www.highwayofdiamonds.135.it)

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FRANCESCA DE FAZI

BLUES DUES
(AUTOPRODOTTO) 2002

ONE WOMAN BAND
(AUTOPRODOTTO) 2005

Da due concerti tenutisi al mitico Big Mama di Roma, arrivano questi due album live di Francesca De Fazi: nel primo, intitolato Blues Dues, è accompagnata dai fidi Luciano Gargiulo (piano e hammond), Antonio Santirocco (batteria) e Marco Bonini (basso), mentre nell'acustico One Woman Band è in solitudine con dobro e chitarra.
Due concerti molto caldi, che offrono l'occasione per presentare una lunga serie di cover, ma non solo, reinterpretate con gusto e gran cuore.
Così, mentre il Blues Dues abbiamo Janis Joplin (Move Over) e Jimi Hendrix (Manic Depression), le splendide Son Of A Preacher Man (con un grande lavoro di Gargiulo, ma tutti i musicisti vanno lodati) e A Whiter Shade Of Pale, ma anche le renditions "bluesizzate" di Like A Virgin e Material Girl, in One Woman Band possiamo ascoltare pezzi di Steve Winwood (Can't Find My Way Home) e Memphis Minnie (Me & My chauffeur), alternati a Working Class Hero (John Lennon), Road Is My Middlename (Bonnie Raitt), mescolati a Robert Johnson (Come On Into My Kitchen) e Bessie Smith (T'Aint Nobody Bizness). Sono quindi rappresentate un po' tutte le influenze della bionda chitarrista, da quando era "una ragazza come tutte le altre" a quando, vedendo in concerto B. B. King, le è cambiata la vita.
Sul palco Francesca De Fazi è una forza della natura, sia da sola, sia supportata dalla band; le doti chitarristiche non si discutono, e la voce arriva direttamente dall'anima, sincera, calda, da vera blues-woman. E' così che, ascolto dopo ascolto, sono i pezzi autografi ad uscire con prepotenza: Paula, Circe Of Love, la lunga S. Francisco '68 (…Lovin people on the street, Livin in rocking harmony, Cause you know I feel that way, S.Francisco '68…), Flowers On The Stage (…Don't you know, after all, I'm a woman And I've got any kind of fears, Under these tears of rage…), la scatenata Everywhere I Go, Ache In My Heart (…Oh darling I wish I could climb the highest mountain, So high to touch the moon and the sun in the sky, So far is my favourite star, Shining warm and so bright in your eyes…), per finire con Teaching While I Learn, unico brano presente in entrambe le raccolte.
Per chi ama il blues, e magari sente scorrere nelle vene le "muddy waters": non c'è bisogno di andare a Chicago, o nelle bettole lungo il delta del Mississippi; ai nostri Fabio Treves, Paolo Bonfanti, Fabrizio Poggi, Enrico Micheletti, accostate tranquillamente il nome di Francesca De Fazi: non resterete delusi!

(da www.blackdiamondbay.it)

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DEL SANGRE

…UN NOME AD OGNI PIOGGIA…
(BANDONE MUSIC) 2006

C'è un deciso cambio di rotta nel nuovo album dei Del Sangre: Luca Mirti, cantante e autore degli undici brani (ma c'è anche una ghost-track), lascia da parte il country ed il rock, Johnny Cash e Bruce Springsteen, e vira verso atmosfere più tranquille, in parte legate ai sixties.
…Un Nome Ad Ogni Pioggia… inizia con La Mia Città, dedica notturna a Firenze, ai suoi santi assassini, ai suoi poeti contrabbandieri, ai suoi archi e vicoli che puzzano di vino: le chitarre spagnoleggianti di Luca Mirti e Vieri Bougleux, Marco "Schuster" Lastrucci al basso e Gianfilippo Boni all'hammond. Mirti si trasforma in cantastorie e con la sua voce roca qui ricorda Gastone Pietrucci quando canta delle sue Marche.
La batteria di Marco Barsanti entra sul secondo pezzo, Si Muore Una Volta Sola: una storia d'amore dal ritmo incalzante, con una tromba (Luca Marianini) che veste il tutto di tristezza. Il Mio Nome E' arriva rockeggiante dagli anni '60, mentre Marcella Au Revoir riporta il disco su toni soffusi, quasi jazzati, con wurlitzer, archi e tromba.
La morte aleggia in Il Diario Dell'Assassino, brano che sembra una out-take di Sleeps With Angels di Neil Young. Per Non Lasciarti Fare… è più cantautorale, con Luca Mirti in completa solitudine (voce, chitarra, pianoforte). La brevissima Quando E' Tempo è un rock duro che squarcia per un attimo le tenebre, ma con Se Potessi, introdotta e chiusa dal suono di un carillon, si torna alla malinconia che possono dare la notte, i sogni, un arcobaleno, una farfalla, la pioggia ("…darei un nome ad ogni pioggia, come te la chiamerei, per bagnarmi col tuo nome se vorrai…").
Hotel Cristo è uno dei tanti luoghi dove si ritrovano i personaggi che danno vita e anima alle canzoni di Luca Mirti: santi, peccatori, assassini, ladri, prostitute; anche qui grande spazio a pianoforte, archi e tromba. Tra Una Lacrima E Il Cielo è una richiesta di aiuto ("…ora che sono in bilico…", "…ora che devo scegliere…"), un grido di speranza "tra bestemmie e preghiere che Dio ignorerà".
L'anima del rocker che è in Mirti rispunta in Il Confine Dell'Odio E Dell'Amore / The Line Of Love And Hate, omaggio alle vittime dell'11 settembre; il leader dei Del Sangre soffia con passione nell'armonica e duetta con Joe Grushecky: perché non ci siano più "…sogni lacerati in polvere e destino, e croci avvolte dal dolore negli occhi di un bambino…".
Pianoforte e tromba sostengono la voce di Luca Mirti nella traccia fantasma, senza titolo nel bel booklet che accompagna il cd.
Il terzo disco del gruppo toscano è un lavoro più introspettivo rispetto a quelli che lo hanno preceduto; un altro passo verso la piena maturazione, senza la rabbia e la sofferenza che erano in Terra Di Nessuno, che sono ora latenti, ma sono lì in ogni nota suonata, pronte di nuovo ad esplodere: dopotutto la strada dei Del Sangre è ancora lunga e, c'è sempre da dare …Un Nome Ad Ogni Pioggia…

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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CLAUDE DIAMOND

HIGHWAY OF LIFE / DIAMOND DUST
(VETTSEL MUSIC - ROUNDER EUROPE - IRD) 2006

Georgiano, 67 anni, Claude Diamond arriva al suo secondo disco.
Highway Of Life è il titolo del nuovo lavoro, reperibile unito al precedente Diamond Dust, targato 2004, in un unico cd per un totale di settantacinque minuti.
Voce e chitarra, Claude Diamond, si fa aiutare da pochi musicisti (il polistrumentista J. David Leonard che si divide, o si moltiplica, fate voi, tra tastiere, basso, chitarre, batteria; Robert Taylor al violino; Tommy Dodd alla steel guitar), e ci regala ventuno sue composizioni registrate in due studi (Reveal Audio Services per quel che riguarda quest'anno, Writeside Productions per il 2004) di Marietta, alle porte della capitale mondiale delle bollicine: Atlanta.
Nessun ospite di nome (ma non ce n'è bisogno), tante le influenze: vengono alla mente Guy Clark, Billy Joe Shaver, John Prine. Come in un lungo viaggio lungo la Interstate 20, qua e là fanno capolino gli stati del sud, con il vento della Georgia e la polvere del Texas, sfiorando le paludi della Louisiana, senza dimenticare Alabama e Mississippi. Country music in primis (Last Man On Earth e Little Copper Wire), ma anche zydeco (Out On The Salt), dolci ballate (I Waited Too Long e Someone I Need), un pizzico di blues (Bluesy Blues), episodi più rockeggianti (Half My Doublewide), profumi del border (Her Old Adress), narrando di viaggi in auto (North Of Exit Ten, la vecchia Ford di I Hope Hell Freezes Over), in treno (Nashville Train), in greyhound (Talking To Strangers), magari cercando Elvis tra le stelle (Spend A Little Time With Me), o più realisticamente sognando vacanze a Napoli e Parigi (Land On The Moon), magari con ragazze scatenate (Dance With The Hurricane), cantando Jerry Lee Lewis (The Girl I Love), oppure Merle Haggard e George Jones (I Drop Quarters), senza tralasciare strani incontri con Dio (Highway Of Life, The Phone Call e Edge Of The World); su tutte Land Of Zydeco, ottimo esempio di come mischiare in modo sapiente Joe Ely e Calvin Russell.
Fermatevi a fare un pieno di polvere di diamante, il viaggio sulla superstrada della vita vi sembrerà più lieve: long may you run!

(da www.rootshighway.it del novembre 2006)

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JAMES LUTHER DICKINSON

JUNGLE JIM AND THE VOODOO TIGER
(MERLESS RECORDS) 2006

James Luther (Jim) Dickinson, ha suonato con Rolling Stones e Ry Cooder (solo per citarne un paio) e ha lavorato con decine e decine di gruppi, dai Green On Red ai Replacements, ai Lucero, ai Big Star, a John Hiatt, a Bob Dylan, ma in quarant'anni di carriera Jungle Jim and the Voodoo Tiger è solo il quarto disco solista.
È il padre di Luther e Cody, due terzi dei North Mississippi All Stars, che suonano in questo disco chitarre e banjo (il primo) e batteria e percussioni (il secondo), insieme ad altri amici come Alvin Youngblood Hart alle chitarre, Jim Spake al sax, Reba Russell e Jimmy Davis ai cori, Paul Taylor e Amy Lavere al basso, Tommy Burroughs al violino, Mark Sallings all'armonica; ovviamente voce, piano e tastiere ce li mette lo stesso Jim.
Undici cover, tra boogie, rock, swing, country, blues, ballate, swamp, addirittura samba.
L'inizio è affidato a Red Neck, Blue Collar, intro strumentale, poi la voce fumosa, cavernosa, incatramata, alcolica, di Dickinson padre inizia a raccontare questa storia in stile country.
Truck Drivin' Man è una vecchia canzone per camionisti, Violin Bums è ancora country, ma più in forma di ballata, cantata in modo quasi confidenziale. Out Of Blue è ancora ballata, ma a metà tra soul e gospel. Love Bone mischia blues e soul, mentre Hadacol Boogie sbuffa veloce come il treno sulle note di piano e violino; e se Rooster Blues richiama gli albori del rock'n'roll più selvaggio, White Silver Sands ci porta ancora più indietro, al dixieland.
Can't Beat The Kid (part 2) è ancora blues; la magnifica, romantica versione di Somewhere Down The Road sarebbe la conclusione perfetta del disco, ma a sorpresa alla fine c'è curiosamente Samba De Orfeo.
Sicuramente non "The Greatest Album On Earth" come scritto sulla brutta copertina, ma il sessantacinquenne produttore, cantante, compositore, session man, in quaranta minuti ci racconta gran parte della storia della musica del Sud degli States. E con un professore così, questo Jungle Jim And The Voodoo Tiger, diventa un libro, pardon, un disco imperdibile.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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MICHELE DIEMMI

IO E TE
(AUTOPRODOTTO) 2018

Un disco fortemente voluto, IO E TE di Michele Diemmi: voluto, pensato e creato nel giro di tre anni.
Un esordio che aggiunge un volto ed un nome nuovo alla canzone d'autore di Parma che sta vivendo negli ultimi anni un periodo fecondo: Michele Diemmi è solo l'ultimo di una lunga lista che comprende ManinBlù, Francesco Pelosi, Fabrizio Frabetti, Merovingi, Ugo Cattabiani, Mé Pék & Barba, Elisa Sandrini…

Michele si discosta dagli altri per la veste musicale scelta, un indie-pop che sottolinea le varie influenze sotto le quali sono nate le canzoni componenti la track-list. Prodotto dallo stesso Diemmi sotto la direzione artistica di Francesco Rabaglia, IO E TE raggruppa otto pezzi in uno stile che galleggia tra Coldplay e Damien Rice, cantati con una bellissima voce che potrebbe ricordare il primo Matthew Ryan.

Ad affiancare la chitarra del titolare c'è la band composta dal batterista Leonardo Cavalca (che è anche il co-produttore dell'album), dalla bassista Nicole Brandini e dal chitarrista Matteo Tonelli, che dona al cantautorato di Diemmi viraggi brit-pop sempre in bilico tra delicate ballate ed energiche esplosioni rock. Altri musicisti coinvolti sono Salvatore Bazzarelli alle tastiere, Daniele Celona alle chitarre, Simone Tosto al basso e Andrea Ferrari alla batteria.

Introspezione, emotività e conflitti sentimentali sono i temi che ricorrono nei brani.
"Danzerò intorno all'abitudine per correre il rischio di incrociare il destino" (canta in "AQUILONE"), "Aspettiamo adesso l'ultimo silenzio, il momento esatto prima di combattere" (da "L'ULTIMO SILENZIO") o ancora "Sai che scrivo con il cuore in mano e stringo le parole che lentamente scivolano una dopo l'altra dove non volevi tu" (da "AMAMI"), sono il preludio al capolavoro che arriva con la pianistica "FUORI PIOVE": "Sai che quando fuori piove io continuo ad immaginare che le gocce poi si uniscono… Sai che quando fuori piove io non smetto di ascoltare, il rumore che producono quelle gocce quando cadono, distruggono il silenzio".
Curiosamente posto in apertura c'è l'unico testo non scritto da Michele; "COME VORREI" è di Federica Melegari, altra brava cantante e autrice: "ci vuole coraggio per scoprire un uomo, per correre insieme e avere fiducia, chiudere gli occhi e guardarsi dentro, e sentirsi, per sentirsi liberi e vicini".
Libertà di stare insieme, un concetto che torna spesso nei 32 minuti e 50 secondi di IO E TE.
"PREFERIREI", "LONDRA" e "L'UNICA + IO E TE" completano l'opera prima di Michele Diemmi, giovane, atipico cantautore con il tempo dalla sua parte, perché avere le idee già così chiare vuole dire essere sulla strada giusta per potere in futuro esprimere in pieno il proprio potenziale.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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LAUREN DILLON

THE COST OF LIVING (SUGARSHACK RECORDS) 2003

C'è la produzione di Merel Bregante, c'è chi la definisce la Lyle Lovett donna, c'è Sara Hickman che la paragona a Bonnie Raitt…. Ho sommato questi fattori e, incuriosito, ho appoggiato il disco sul piatto (pardon, il cd nel lettore); certo, nessuna pretesa di originalità, ma Lauren propone i suoi brani con una bella dose di sicurezza e freschezza. Ascoltatevi questo The Cost Of Living: dodici canzoni originali, tra blues (Them Old Blues), folk acustico (Rib From Your Side) e rock'n'roll (Loveproof). Vi troverete davanti ad una ragazza che sfodera un ottimo stile chitarristico, specialmente quando imbraccia la sua stupenda National, e a riprova che il suo background culturale-musicale è a denominazione d'origine controllata, la bionda Lauren on stage alterna i suoi pezzi a classici blues, a canzoni di Townes Van Zandt, a Willin'. Un altro disco sul quale arriva la luce della stella solitaria del Texas.

(da www.blackdiamondbay.it)

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LILA DOWNS

SHAKE AWAY
OJO DE CULEBRA

(MANHATTAN RECORDS) 2008

Lila Downs è un artista folk, una carriera lunga ormai tre lustri, nove albums (i primi due praticamente introvabili) all’attivo compresi una raccolta e questo nuovo Shake Away / Ojo De Culebra. In passato ha avuto una canzone (Burn It Blue, dalla colonna sonora del film Frida) candidata all’Oscar, e l’album Una Sangre / One Blood del 2005 ha vinto un Grammy Latino. Ma questo è il passato: quello che a noi interessa è che questa Messicana quarantunenne ci presenta quello che forse è il suo disco più bello. Per avvicinare a questo lavoro i più scettici, basterebbe citare le covers di I Envy The Wind di Lucinda Williams e Black Magic Woman (in una eccitante versione messicaneggiante, travolgente come quella proposta da Charlie Musselwhite sulla mai troppo lodata compilation Interstate 10 Chronicles). Non solo Messico, comunque, ma radici e tradizione (ottima la riproposizione di Los Pollos) vengono mischiati a jazz, ritmi gitani, suoni moderni e contemporanei. Una band straordinaria capeggiata dal marito Paul Cohen (sax, clarinetto, co-autore delle canzoni), più alcuni ospiti tra i quali va segnalata Mercedes Sosa, famosa cantante argentina ormai settantenne, in Tierra De Luz. Lila Downs alterna nel cantato inglese e spagnolo, talvolta la stessa canzone appare nelle due versioni (ad esempio, quella di Lucinda diventa anche Yo Envidio El Viento); i testi sempre impegnati la fanno accostare ad Ani DiFranco, pur con le dovute differenze di background: bellissima, in questo senso, Justicia (cantata con Enrique Bunbury). Purtroppo i suoi tour europei non toccano l’Italia, così per vederla dal vivo bisogna accontentarsi (a parte YouTube) del dvd allegato alla limited edition del Very Best di qualche mese fa, anche quello imperdibile! Voto: 8

(da www.rootshighway.it dell'ottobre 2009)

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LILA DOWNS

LA CANTINA
"ENTRE COPA Y COPA…"

(NARADA - VIRGIN) 2006

La Cantina arriva dopo bei dischi come La Sandunga, Tree Of Life / Arbol De La Vida, Border / La Linea, One Blood / Una Sangre, e dopo il successo della colonna sonora del film Frida, dove Lila Downs interpretava sei brani.
Originaria dello stato di Oaxaca, la cantautrice messicana continua nel suo lavoro teso a portare alla luce le musiche tradizionali del suo Paese dando loro quel tocco di moderno che le possa rendere più fruibili anche alle generazioni più giovani.
Un accostamento con la DiFranco non è più di tanto azzardato se consideriamo che tanto per Lila quanto per Ani è molto importante l'impegno sociale.
La Cantina, sottotitolo Entre Copa Y Copa, è il più norteño dei suoi lavori, il più vicino ai profumi e ai sapori del border; una sorta di concept album ambientato nelle cantinas tra ubriaconi, mafiosi, cuori spezzati e tequila e mezcal che scorrono a fiumi.
Un disco che nonostante sia stato registrato con una ventina di musicisti diversi, in parte a New York e in parte a Città Del Messico, con ospiti anche di Austin e di San Antonio, risulta molto omogeneo: canzoni nuove e tradizionali, suonati mischiando talvolta sampling moderni a rancheras, corridos, alla tradizione tejana.
Quindici canzoni nelle quali la voce brillante e coinvolgente della Downs assurge a strumento vero e proprio, sia che venga accompagnata da chitarra elettrica, tastiera, batteria e diavolerie moderne, sia che alle sue spalle ci siano clarinetto o tromba o sax, piuttosto che chitarre acustiche, guitarron, violini o la fisarmonica del grande Flaco Jimenez.
Da La Cumbia Del Mole (nella doppia versione spagnolo e inglese) a Agua De Rosas, da El Relàmpago a El Centenario, e poi La Tequilera, El Corrido De Tacha "La Teibolera", per quasi un'ora di fiesta, Lila Downs parte dal patrimonio musicale popolare messicano per arrivare dritto ai nostri cuori.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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THE DRAMS

JUBILEE DIVE
(NEW WEST) 2006

Gli Slobberbone non ci sono più, viva gli Slobberbone!
L'esordio autoprodotto Crow Pot Pie era del 1994, poi riregistrato per la Doolittle un paio di anni dopo con scaletta e formazione diversa. Barrel Chested del 1997, era sempre per la Doolittle.
Nel 2000, con il passaggio alla New West, il gruppo di Brent Best ci ha consegnato il capolavoro Everything You Thought Was Right Was Wrong Today, mentre Slippage (2002, sempre New West) è stato il canto del cigno della band, un buon disco, ma sicuramente inferiore al precedente.
Chiuso il sipario sugli Slobberbone, il leader Brent Best si è imbarcato per l'avventura solista, che però non ci ha regalato nessun disco.
Ora, dalle ceneri del gruppo precedente, nascono i Drams: richiamati il chitarrista Jess Barr ed il batterista Tony Harper, dai Budapest One sono arrivati il tastierista Chad Stockslager e il bassista Keith Killoren, che va a sostituire Brian Lane.
Chitarre elettriche in gran spolvero, spazio a piano e tastiere, Jubilee Dive è un gran disco, il disco che i Jayhawks non riescono più a fare dai tempi di Hollywood Town Hall L'esempio più calzante è Des Moines, con un ritornello che entra subito in circolo e non ti abbandona più: pura Americana.
Roots- rock (Hummalong), rock (l'iniziale Truth Lies Down, Unhinged, Crudely Drawn), ballate (Holy Moses, September's High), spruzzatine pop con tanto di fiati (You Won't Forget, seguita dallo strumentale You & Me, MF che ne è la coda ideale), suoni jingle-jangle (Fireflies), rare oasi acustiche (When You're Tired). Completano il lotto Shortsighted (puro stile Jayhawks), Make A Book (batteria e chitarre a tutta), Wonderous Life (ballata pop sostenuta dal piano).
Stupenda la copertina, che ci mostra la foto dello studio di registrazione di una band a metà tra rock e tradizione, e il pensiero corre veloce alla foto del retro di Everything You Thought Was Right Was Wrong Today: identico l'intento, identico il risultato.
Quasi settanta minuti di musica, quattordici brani, alcuni sopra i sei minuti, suonati con fierezza.
Gli Slobberbone non ci sono più, lunga vita a The Drams!

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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EMILY COLLETTIVO MUSICALE

ORDINARIO DISSENSO
(LOGO / SELF) 2017

Parma è una strana città. Per fare un banalissimo esempio, molti ciclisti usano il marciapiede pur avendo la strada a disposizione e usano la strada quando hanno a fianco la pista ciclabile. Ben lungi da barlumi di anarchia, il tutto si può ricondurre alla maleducazione, se non all'arroganza, ma non sorprende in una città in gran parte inginocchiata e adorante davanti all'altare dell'effimero.
Per fortuna però la scena musicale è particolarmente florida. Capita così che (facciamo un salto nel 2006) persone con il cuore al posto giusto si ritrovino insieme e decidano di formare una band per scrivere canzoni che, immerse tanto nella storia quanto nella contemporaneità, ci parlino di rispetto per le persone e per la Terra, di equità, di dignità, di fratellanza, di Resistenza, avvalendosi allo stesso tempo di cultura e tradizione.

Nati come Emily County Folk, passati attraverso vari cambi di formazione e trasformatisi in Emily Collettivo Musicale, nel 2017 sono approdati alla terza prova discografica, dopo l'E.P. circoscritto a 5 brani "CREDERE AI RICORDI" (del 2009), seguito dal lavoro cointestato con Francesco Pelosi "CANTARI DELLA GUERRA SILENZIOSA" (uscito nel 2013).

"ORDINARIO DISSENSO", il nuovo disco, accoglie 10 pezzi con i quali, come sono soliti fare gli Emily, si utilizza l'arte della musica come veicolo per far ballare, divertire, unire, pur toccando temi importanti e difficili.
Folk da tutto il mondo, reggae, rock, patchanka e hip-hop sono i ritmi che "collettivamente" rivestono l'album, d'altra parte le influenze musicali rispondono ai nomi di Gang, Gogol Bordello, Rage Against The Machine, Dropkick Murphys, The Pogues, CCCP, 99 Posse.

Sia per quel che riguarda il lato musicale, sia per quanto riguarda i testi, la collaborazione assurge a vero e proprio marchio di fabbrica; così che ai vari Matteo Carbognani (voce e chitarra acustica), Nicolas De Francesco (basso), Corrado Cantoni (batteria), Mauro Padovani (chitarra elettrica), Roberto Nassini (fisarmonica e tastiere) e alla leggenda Fiorenzo Fuscaldi (percussioni), si aggiunge sia in fase di scrittura che poi in studio, una miriade di amici, vecchi e nuovi compagni di strada, il tutto sotto la direzione di Marco Martino.

Hisam Allawi e Marco Martino cantano in KURDISTAN ("la nostra essenza è resistenza"), BLACK POWER ospita la fantastica Suzi Furede nelle parti in inglese, in BLACK HILLS c'è il ritorno di Francesco Pelosi (in rete ne trovate pure una versione con Marino Severini dei GANG). Jorge CARRASCOSA e l'Argentina dei colonnelli, Thomas Isidore Noël SANKARA ("osare inventare il futuro") e il suo Burkina Faso, Nikola TESLA e David Henry THOREAU sono solo alcuni dei personaggi che animano le canzoni. Gli altri titoli sono LA TRIBU' UMANA ("la tribù umana… ha la capacità di sentirsi sempre innocente") e PARADA (già uscita come singolo, cantata in francese). Posta in fondo, con Marco Martino alla voce, c'è la title-track: "se vi prendete il diritto di fare dei muri e tagliarci a metà, è allora che sento il dovere di urlare più forte cos'è che non va". E chiusura migliore non avrebbe potuto esserci.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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BLAZE FOLEY & THE BEAVER VALLEY BOYS

COLD, COLD WORLD
(LOST ART RECORDS) 2006

Continua la riscoperta a ritroso delle canzoni di Michael David Fuller, alias Blaze Foley, scomparso in circostanze tragiche, assassinato, nel 1989.
Al Live At The Austin Outhouse (1999, sempre Lost Art Records) che per la prima volta ci permetteva di sentire la calda voce di questo autore apprezzatissimo dai colleghi, faceva seguito un paio di anni fa Oval Room (Lost Art Records per gli U.S.A., Munich Records per l'Europa), tratto dagli stessi concerti acustici all'Austin Outhouse del dicembre '88. In Oval Room il produttore Gurf Morlix, aggiunse qua e là in studio, in modo pregevole, cori, chitarre, basso e batteria. Circa un anno fa finalmente videro la luce registrazioni di studio credute ormai perdute per sempre: Wanted More Dead Than Alive (Waddell Hollow Records in U.S.A., Borderdreams in Europa), ripulito, ma poi non molto, nel suono, era quindi un documento importante, da conservare gelosamente, perché già troppe volte master di dischi suoi erano spariti o addirittura sequestrati (chiedere a F.B.I. e D.E.A.). Con Cold, Cold World si risale a registrazioni effettuate a Houston nel '79 e a Fredericksburg l'anno seguente. La band è quella di Morlix: "Disse che gli piacevamo, io non lo conoscevo e quando gli chiesi il suo nome lui mi rispose Depty Dawg, ma che l'avrebbe cambiato in Blue Foley o, forse, in Blaze Foley. Diventammo il suo gruppo". Fanno parte della squadra Jimmy Don Smith alla chitarra elettrica e il batterista Tony Braunagel nelle sessions di Houston, John Hill alla batteria, Riley Osbourn a piano e slide, e un chitarrista di cui nessuno ricorda il nome (!!!) in quelle ai Loma Ranch Studios di Fredericksburg.
Qui non ci sono i suoi classici, canzoni (If I Coul Only Fly ad esempio, oppure Clay Pigeons e Oval Room) che via via Merle Haggard, Lyle Lovett, John Prine, Willie Nelson e Calvin Russell hanno portato al successo, ma scopriamo sei brani non presenti nei precedenti dischi (bellissima In The Misty Garden), e riascoltiamo in una nuova veste pezzi come Picture Cards, Faded Love & Memories e la stessa Cold, Cold World.
Personaggio adorato dai colleghi (Townes Van Zandt gli dedicherà Blaze's Blues, Lucinda Williams scriverà per lui la stupenda Drunken Angel), sempre nei guai con la legge, sempre senza casa, perfetto conoscitore dei divani degli amici o dei tavoli dei clubs, anticonformista, era capace di creare testi taglienti musicandoli sapientemente con country e blues.
Pura musica texana, tramandata a noi attraverso i dischi di Blaze Foley, uno che era una leggenda, già da vivo.

(da www.rootshighway.it del 20 gennaio 2007)


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BLAZE FOLEY

WANTED MORE DEAD THAN ALIVE
(WADDELL HOLLOW RECORDS) 2005

Il titolo dice tutto, e la storia meriterebbe un film: un disco inciso ai celebri Muscle Shoals nel 1983 viene confiscato dalla DEA, il master di un album prodotto da Gurf Morlix viene rubato dalla sua macchina, incisioni del 1988 con i fratelli Waddell alla base ritmica, Charlie Day alla steel, Joe Gracey alla chitarra e Kimmie Rhodes armony vocalist, vengono date per distrutte in un incendio dopo che Blaze non aveva pagato lo studio di registrazione Bee Creek per mancanza di fondi. E tutto sembra finire il primo febbraio dell'anno successivo, quando Foley fu ritrovato assassinato, nemmeno quarantenne.
Ma in questi anni Blaze Foley non è stato dimenticato: da Calvin Russel a Lyle Lovett, molti hanno riproposto le sue canzoni, è diventato il Drunken Angel cantato da Lucinda Williams, e Townes Van Zandt gli ha dedicato Blaze's Blues.
Pochi mesi fa il colpo di scena: il batterista Leland Waddell riceve una telefonata da un amico che gli dice che pulendo l'auto ha trovato un cd senza scritte che conteneva canzoni che sembravano cantate da Blaze! Erano le Bee Creek sessions.
Opportunamente ripulito il tutto in studio, la magìa di quei giorni e di quella voce è rimasta intatta.
Dopo due dischi live abbiamo tra le mani questa mezz'ora abbondante di registrazioni in studio, dieci canzoni, otto autografe, tra le quali la celebre Clay Pigeons (reincisa di recente da John Prine), If I Could Only Fly (portata al successo da Merle Haggard e Willie Nelson), Life Of A Texas Man dell'amico Russell, Black Granite (il materiale della lapide di Foley…) di Jubal Clark.
Documento prezioso, il testamento di un autore della stessa levatura dei vari colleghi dello stato della stella solitaria.

(da www.highwayofdiamonds.135.it)

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FABRIZIO FRABETTI

VERSO CASA
(AUTOPRODOTTO) 2017

"La riga della strada
ogni tanto porta a casa.
La radio fruscia allegra
come un sogno alla frontiera"
(Fabrizio Frabetti - "Sogno alla frontiera")

Un'anomalia, nel mondo musicale. Persona schiva, non ambisce apparire a tutti i costi, ed è cosa rara nel mondo dello spettacolo. Meno rara nel campo dell'arte.
Da che parte fare stare la musica decidetelo voi.
Fabrizio Frabetti, la sua scelta l'ha fatta. Tanta gavetta, tanto studio, spettacoli teatrali, due album.
Il primo, UH!, aveva lasciato a bocca aperta per la bontà delle canzoni e per la veste musicale scelta, poco consona forse a quanto ci si aspetta comunemente (l'ho già detto che Frabetti è un personaggio anomalo?) da un disco cantato in italiano.
Effettivamente, mi vengono in mente solo una manciata di cantautori (Massimo Bubola, Graziano Romani, in parte Francesco De Gregori, il Ron di Una Città Per Cantare, senza dimenticare Marino Severini con il fratello Sandro, ossia i Gang) che avevano "osato" rivestire di rock, ognuno con le rispettive influenze e senza risultare dei cloni, le proprie canzoni.
Ma quello era il 2010. Ora è il turno di VERSO CASA, e stavolta l'ispirazione pare venire più dal classico cantautorato nostrano degli anni '70 e '80.
Messi da parte i Bluesfrog di Uh!, qui Fabrizio si occupa praticamente da solo di tutto (dai testi alle musiche, dagli arrangiamenti alle orchestrazioni, della produzione; e poi voci, chitarre, bassi, tastiere e programmazione sinth), con la collaborazione di Ellade Bandini alla batteria.
Le sei che compongono il disco, fanno parte in realtà di un gruppo di canzoni molto più sostanzioso, e non sono che la prima metà di quello che sarebbe in origine dovuto essere un album molto più lungo.
Trovatosi con un cospicuo numero di brani quasi pronti, ma conscio del fatto che per ultimarli tutti avrebbe dovuto aspettare ancora parecchio per la pubblicazione, Frabetti ha sentito l'urgenza di concentrarsi su sei pezzi e poi farli uscire.
L'iniziale "Nuvolette" è quella che più si ricollega al disco d'esordio, andamento country-rock, con l'ospite Christian Pascelupo che fa i numeri alle tastiere. "Sogno alla frontiera" è più notturna, qui l'ospite è Roberto Pedroni con il suo sax. "Il giorno perfetto" è avvolta dagli archi,
Le colline, i prati, il vento, la musica, la notte con la luna, il cielo, la musica. E i colori, tanti colori. Questi sono i temi dell'album, anche nelle conclusive "Fra tutte le luci del mondo" e "Verso casa". Quelle sono le cose che Fabrizio ama, e se potesse "riporterebbe tutto a casa" ogni volta che torna verso la città, come se questa rappresentasse la dura realtà (e l'unico colore che la rappresenta è il grigio) e il solo allontanarsene, anche per brevissimi periodi, permettesse di sognarla migliore.
La città che è anche la protagonista, seppur in modo velato, di "Pane e vino" (diciamolo, è un capolavoro), garbato e poetico ricordo della strage di Bologna.
Speriamo ora che non passi troppo tempo per ascoltare il "capitolo due", anche se comunque il ritorno a casa sarà solo un'altra tappa, perché il viaggio di Fabrizio Frabetti nel mondo musicale, ne sono certo, è destinato a durare a lungo.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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RENATO FRANCHI

&

ORCHESTRINA DEL SUONATORE JONES

SOGNI E TRADIMENTI
(SUONIMUSIC DISTRIBUZIONE - STORIE DI NOTE - LIOCORNO) 2006

"…noi siamo anche un po' di tutto quello che abbiamo incontrato sulla nostra strada…"
Queste note dello stesso Renato Franchi accompagnano l'uscita di Sogni E Tradimenti. Si potrebbe tranquillamente aggiungere "e un po' di TUTTI quelli che abbiamo incontrato", perché in questo album, ospiti e influenze varie vanno a braccetto, variegando nelle musiche le diciotto tracce che lo compongono.
Si passa con leggerezza dalla breve poesia Le canzoni sono come gli amanti, recitata da Davide Saccozza con l'accompagnamento al piano elettrico di Michele Renò, al bel duetto con Claudio Lolli Cento passi, con Marta Franchi ai cori e con il gran lavoro di Giovanni Arzuffi alla fisarmonica e del polistrumentista Carlo "Manolo" Cilibrasi; sembra una ballata popolare, e del resto il testo parla proprio dell'incontro di culture diverse. Canzone per Ion è dedicata al rumeno Ion Cazacu, protagonista di un tragico fatto di cronaca; ancora la fisarmonica di Arzuffi, il flauto di Marta Franchi, l'hammond di Giorgio Macchi. Ospiti la chitarra elettrica di Sandro Severini e la voce di Marino Severini, vale a dire i Gang. C'è il country di Come: banjo (Mauro Logora), dulcimer (Angelo Nuzzo), sax (Elena Lavazza) e ancora i cori di Marta Franchi. È il primo contributo di Fabrizio Poggi, con la sua armonica. Il leader dei Chicken Mambo e del progetto Turututela è protagonista anche in Cara maestra di Luigi Tenco.
La luna sotto casa di Pierangelo Bertoli e Borghi è l'occasione per un emozionante duetto con Alberto, figlio dell'indimenticato autore modenese. La title-track ci trasporta al confine tra Messico e Stati Uniti: in Sogni e tradimenti nessun ospite, solo l'Orchestrina Del Suonatore Jones, con un grande Roberto D'Amico al basso. Ancora carezze esotiche (stavolta in stile Paolo Conte) per Profumo d'Oriente di Renato Franchi e Davide Saccozza.
Sera jugoslava è stata scritta da Franchi ispirandosi ad un racconto di Claudio Ravasi che è anche la voce narrante del brano. Uno dei punti più alti dell'intero lavoro, pura poesia, a descrivere l'orrore della guerra. Ancora presenti Marino e Sandro Severini.
Donne di cielo è una splendida ballata pacifista, che Franchi ha tratto da un testo di Ierina Dabalà.
Campi di fragole è un sentito omaggio ai Beatles, piccolo squarcio di luce rigenerante subito prima di Cercando Tom Waits, il sogno ammantato dell'oscurità della notte (non è da lì che arrivano solitamente i sogni?) d'incontrare il musicista americano cantato in compagnia di Luca Ghielmetti e Francesco Marelli. E se Il vino (di Piero Ciampi e G. Marchetti) è una particolare, appassionata, sentita versione di un classico del cantautore livornese, Un malato di cuore arriva dritta dal song-book di Fabrizio de André. I ragazzi della Maddalena è dedicata ai disabili (che cantano nel coro finale) di una comunità di Somma Lombardo.
Genova 2001, ballata per Carlo Giuliani, ragazzo è un'intensa canzone elettroacustica (Giampiero Lecchi alla Rickenbacker, Giorgio Restelli al basso, Fabrizio Poggi all'armonica) scritta sì per ricordare il ragazzo assassinato a Genova, ma anche tutte le vittime delle stragi terroristiche e mafiose che purtroppo fanno la storia d'Italia. Con Piccolo principe, del batterista Viky Ferrara, siamo in territorio West-coast: cantata dallo stesso Ferrara con Franchi e Lolli, per Stefano, un ragazzo di 20 anni. Ancora fisarmonica (Arzuffi) e armonica (Poggi) per il saluto finale di Vi lascio, con una chitarra, con il piano, fino al conclusivo crescendo orchestrale.
Sogni E Tradimenti è un disco dai testi improntati all'impegno sociale, ma non manca il divertimento: perché è ancora grande la voglia di fare tanti incontri sulla strada.

(esclusiva www.picturesfromrock-west.it)

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